STORIE/LEWIS alle spalle, un colpo basso, una di quelle cose che non vanno mai dette, una sciocchezza che paralizza, che a un uomo toglie la parola. Sembrava che avessi steso sulla sua mente un drappo gelido, aderente come un guanto, fino a ricoprirla tutta. Mi aspettavo ormai di dovermi fare strada con la forza per uscire dalle salle à manger, e mi chiesi se facesse a pugni usando le tecniche di Chicago o quelle di Tolosa - o si sarebbe messo a saltellarmi intorno con i pugni che colpivano come pistoni o mi avrebbe affondato la testa nello stomaco, dandomi una ginocchiata sul mento e terminando poi l'opera con il coup de lafourchette, che consiste nel colpire con il pugno lasciando tesi l'indice e il mignolo per ficcarli negli occhi, uno di qua e uno di là dal naso. E invece l'avevo steso. La situazione gli era sfuggita completamente di mano. La parola "barbone", poi, gli opprimeva l'animo come un boccone indigesto. L'ultima parola che avevo usato era americana. Mentre mi dirigevo verso la porta, rimase seduto perfettamente immobile. Poi, contorcendosi sulla sedia con una lentezza penosa, ruotò appena il viso nel tentativo di raggiungermi con lo sguardo, nonostante l'incantesimo che avevo gettato su di lui. Quando vide che stavo lasciando la stanza, sembrò ancor più confuso. Avevo risposto alla sua apostrofe conclusiva con un colpo basso; e ora lo portavo a termine scomparendo completamente dal ring, come se il combattimento fosse finito, mentre lui era rimasto immobilizzato al centro della scena. A quanto pare non gli era mai passato per la mente che io avrei potuto alzarmi e andarmene dalla sala da pranzo. Percepii dei suoni che provenivano da lui, poi delle parole - frammenti ibridi persi sul confine fra francese e inglese che sembravano indicare una protesta, uno stupore attonito, interrogazioni allarmate. Ma io ero già scomparso. Entrai in cucina sano e salvo e mi immersi in quel ronzio profondo che proveniva dal cuore delle attività che vi si svolgevano, con gli occhi luccicanti per la luce battagliera dell'umorismo. Mentre mi accingevo a prendere la candela dalle mani di una cameriera, udii dietro di me un ruggito nasale. Salii le scale tre gradini alla volta, con il facchino alle calcagna e la cameriera che gli ansimava dietro. Una volta accompagnato con tanta fretta nella mia camera, spinsi fuori i camerieri senza fiato e chiusi a chiave la porta mettendo anche il catenaccio. Mi buttai sul letto ululando come un lupo esultante mentre, come in estasi, agitavo sul cuscino da una parte e dall'altra la mia testa bionda. Questo mio tipico ululato penetrante - ululato umoristico - fece tremare le pareti di cartone della camera e sbattere le cornici di stucco; ma il tumulto prodotto dal personale dell'albergo in cortile impedì a questo suono di espandersi oltre le camere da letto. Quell'esplosione mi aveva fiaccato e me ne stavo sdraiato come si conviene, asciugandomi la fronte e ansimando in modo artificioso. Poi, come sempre mi ·succede, si fece strada in me un senso di pietà per la mia vittima. Poveraccio! La mia condotta era imperdonabile! Avevo brutalizzato quel tenero fiorellino delle praterie del West! Perché poi avevo tirato in ballo il "maledetto Midi"? Era stata una cattiveria bella e buona. Mi ero comportato proprio male. Mi venne l'impulso di scendere immediatamente a chiedergli scusa, mentre una lacrima suscitata dal troppo ridere pendeva ancora da un ciglio addolorato. La mia camera si trovava sul retro. La finestra si affacciava sulla cucina, proprio sopra le scale che portavano alle camere da 58 letto. Mi alzai perché mi sembrò di aver udito un suono inconsueto inmezzo al frastuono delle macchine. Dalla finestrella, ovviamente tristissima e insalubre, proprio al di sopra dei calderoni più grandi, scoprii che potevo vedere il mio avversario che se ne stava laggiù, in quel luogo oscuro, per metà cortile e per metà cucina. Era proprio lui, e con un po' di attenzione potevo perfino afferrare le sue parole. E scoprii che il rumore che gli avevo attribuito era stato soltanto frutto della mia fantasia. Osservato dall'alto, appariva molto diverso. Fino a quel momento non lo avevo mai visto in piedi. Gli abiti da yankee che indossava, evidentemente tagliati da un sarto guascone sotto la sua direzione, lo facevano apparire largo tanto quanto era alto. La magrezza di quel corpo che si agitava in modo così furioso dava un aspetto precario e vacillante alla sua persona; in quel preciso momento, sotto lo sguardo apatico della proprietaria, si stava esibendo in una danza di guerra, rinchiuso in quella morbida armatura nazionale. Era una danza strascicata e impetuosa, con delle componenti jazzistiche, sostenuta dalla gesticolazione tipica dei francesi. Non sembrava la stessa persona con cui avevo parlato poco prima. Evidentemente, in questo albergo incantato, possedeva tutta una gamma di personalità. Non era lo stesso uomo. Qualcun altro era saltato dentro ai suoi vestiti - qualcuno a cui non stavano affatto bene - e stava continuando la discussione. L'uomo di prima, quello più imponente, era scomparso. Lo avevo ucciso. Questo omuncolo aveva assunto la vita disordinata e agitata di quell'altro nell'istante e nel luogo preciso in cui l'avevo messo K.O. nella sala da pranzo, con la medesima intensità della sua passione, ma con coraggio nuovo e con identici sentimenti razziali dell'uomo al quale era subentrato. Parlava in spagnolo - uno spagnolo molto più corretto del suo inglese. La donna ascoltava, gli occhi pesanti che si muovevano rapidamente su di lui con un'espressione risentita, come quelli di una persona adirata che stia facendo pigramente un inventario. Mentre l'uomo conduceva con ardore il suo attacco a quegli abissi di languore dietro i quali si celava lo spirito vitale della donna, di tanto in tanto si girava per rivolgersi al più vicino dei domestici, come in cerca di approvazione per qualcosa che stava dicendo. Di quale crimine mi accusava? Bisbigliai rapide preghiere nella speranza che l'opprimente riservatezza della proprietaria si dimostrasse impenetrabile, in caso contrario, sarei stato probabilmente buttato fuori di peso dal Fonda del Mundo e, nello stato di spossatezza in cui mi trovavo, avrei dovuto cercare più lontano un altro tetto. Sapevo che stava parlando di me. Cosa poteva sapere con certezza a mio riguardo, considerando che ci conoscevamo così poco? Comunque, stava certamente sostenendo che ero una canaglia intrigante, una di quelle persone che nessun albergo rispettabile avrebbe accettato di ospitare, se non a proprio rischio e pericolo. Probabilmente stava affermando che era mia intenzione svaligiare l'albergo, oppure stava soltanto dicendo: "Quel tipo non mi va a genio; non so dirle quanto non-mivada a genio! Non c'è mai stato nessuno che mi sia andato poco a genio quanto lui. Al solo pensiero, il sangue mi ribolle. Non so dirle fino a che punto quell'organismo insulare mi faccia contorcere le membra dal disgusto. Butti fuori quell'abominio! Oh! Lo butti fuori, se non vuole vedermi crollare ai suoi piedi in uno dei miei accessi di mauvais sang!"
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