Linea d'ombra - anno X - n. 73 - lug./ago. 1992

IL CONTESTO Il mariuolo, il partito e il sistema Luigi Bobbio È difficile dare risposte adeguate allo scandalo milanese. Non mi riferisco solo alle risposte politiche. C'è, prima di tutto, un problema di analisi. Di fronte al mondo disvelato dai giudici milanesi, ci rendiamo istintivamente conto che bisogna ripensare ai termini con cui abbiamo finora descritto il nostro sistema politico, i partiti e la democrazia. Intuiamo che qualche passaggio traumatico deve essere avvenuto a nostra insaputa e che l'attuale sistema di selezione della classe politica e di decisione ha ormai poco a che spartire con quello che abbiamo conosciuto (o descritto) nel passato. Ma fatichiamo a trovare le parole adatte. I partiti continuano nelle loro vecchie logiche come se i fatti milanesi fossero un incidente (anche molto grave) che non rimette in discussione la loro natura e i loro rapporti reciproci. La maggior parte dei commentatori finisce per assecondarli prendendo sul serio le loro strategie ed evitando di connetterle alle reti affaristiche occulte sulle quali esse si fondano. Le spiegazioni dei fenomeni corruttivi che sono circolate in questi mesi sono infatti riduttive e minimizzatrici. Non perché non riconoscano la serietà del male, ma perché lo interpretano come un'infezione che rimane a lato del sistema politico, senza intaccarne le tradizionali modalità di funzionamento. Gli argomenti che ricorrono con più frequenza possono essere ricondotti a quattro diverse teorie della corruzione che possiamo designare rispettivamente come: a) la teoria del mariuolo, b) la teoria dei costi della politica, c) la teoria del rispecchiamento, d) la teoria delle mani slegate. Proviamo a discuterle separatamente, insieme ai rimedi che ciascuna di esse suggerisce. La teoria del mariuolo La teoria del mariuolo è stata enunciata per la prima volta, in questa forma, da Craxi dopo l'arresto di Mario Chiesa. Su di essa si è talmente ironizzato negli ultimi mesi, che verrebbe la tentazione di non prenderla neanche in considerazione. Ma sarebbe un errore perché, malgrado costituisca il tentativo più rozzo e sbrigativo di liquidare la faccenda, continua ad essere la più seguita dai leaders politici- almeno come prima linea di difesa - anche se spesso anche sotto altre formulazioni (teoria della mela marcia; teoria della pecora nera) e apre, suo malgrado, qualche spiraglio nella comprensione dei fenomeni di corruzione. Secondo la teoria del mariuolo, la corruzione è spiegata dall'esistenza dei corrotti. L'emergere di questi ultimi non ha bisogno di essere spiegato perchè si dà per scontato, realisticamente, che dove circolano soldi e potere possano infiltrarsi individui senza scrupoli. Quello che la teoria afferma invece con forza è che è sempre possibile tracciare una netta linea di demarcazione tra i corrotti e gli onesti (tra i quali si colloca automaticamente chi enuncia la teoria): la corruzione può essere anche molto diffusa, ma esiste sempre una parte sana in ciascun partito. La terapia conseguente consiste nel tagliare risolutamente la parte infetta; cosa che tutti i partiti si affrettano a fare, ma - e qui sta il problema - solo dopo che i corrotti sono stati scoperti dalla magistratura. Non èmai accaduto che un partito li individuasse e colpisse di sua iniziati va (l'unica eccezione -di cui va dato atto - è quella di Giorgio La Malfa nei confronti di Gonnella). 4 La teoria del mariuolo si rivela perciò come un'arma a doppio taglio. Vorrebbe circoscrivere il fenomeno, ma finisce per metterne in luce alcuni aspetti inquietanti. Mostra che normalmente i partiti convivono con i corrotti e non posseggono alcuno strumento per proteggersi da essi. Lascia intendere che un'intera classe di individui, non identificabile, né delimitabile dai partiti stessi, opera al loro interno prevalentemente con scopi affaristici e mezzi illeciti. Anzi, proprio nel concentrare l'attenzione sulla figura del corrotto, questa teoria finisce per sollevare involontariamente una serie di domande imbarazzanti: come nasce il mariuolo? quali risorse usa per la sua affermazione? che rapporto intrattiene con i partiti? in che misura contribuisce a trasformarli? Proprio ponendosi su questo terreno, Alessandro Pizzorno, a conclusione di una ricerca sulla corruzione in Italia, ha ipotizzato che se i corrotti sono per lo più homines novi di oscure origini sociali che, essendosi separati dai propri gruppi di provenienza, possono pagare un basso costo morale per le loro pratiche illecite, non sono tuttavia figure marginali nei partiti, ma ne costituiscono sempre di più l'ossatura. I politici d'affari, grazie alla disponibilità di denaro e alle "risorse di relazione" che sono in grado di coltivare, si rivelano più forti dei politici esperti e dei politici d'immagine. Nell'habitat della foresta politica il processo di selezione naturale va tutto a vantaggio dei primi: i politici cattivi tendono a scacciare i politici buoni. Serve dunque poco mettere all'indice le mele marce, perché da esse si dirama una trama ben più estesa. Né è possibile stabilire una linea di confine tra la parte infetta e la parte sana. Non tutti rubano. Quasi tutti si avvantaggiano in un modo o nell'altro delle reti occulte e dei rapporti fiduciari costruiti da faccendieri e politici affaristi. · La teoria dei costi della politica Quando l'argomento della mela marcia fallisce, si ripiega solitamente su un'altra strategia argomentativa che tende ad imputare la corruzione a fattori di ordine ambientale. Si tratta di una strategia rischiosa, perché riconosce esplicitamente la pervasività delle pratiche illecite (cosa che l'immagine del mariuolo cercava invece di negare), ma ha il vantaggio di scaricarne le responsabilità sul sistema, sgravando i singoli individui. Tra le teorie sistemiche della corruzione, la più circostanziata è quella dei costi della politica. Paradossalmente - si dice - le democrazie moderne si fondano sui partiti, ma non si preoccupano dei costi che le organizzazioni politiche di massa comportano. Anzi rimuovono completamente il problema. È quindi del tutto naturale che attorno al finanziamento dei partiti, dei loro organi di stampa, dei loro congressi ecc. (tutte attività non solo lecite ma indispensabili perii buon funzionamento del sistema) si sviluppino pratiche sporche, ai margini della le,tsalità.La corruzione è dunque figlia dell'imprevidenza delle democrazie. Ma questa spirale perversa può essere fermata, tanto agendo sul lato delle entrate, quanto sul lato delle spese. Si possono offtire adeguate risorse legali ai partiti sotto forma·di contributi pubblici (secondo il modello adottato nel 1974, ma in misura irrisoria, con il finanziamento pubblico dei partiti). Si possono

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