Linea d'ombra - anno X - n. 73 - lug./ago. 1992

lHUKlli/ LliWl5 quale non sembrava affatto sorpreso; pareva però che l'acuta consapevolezza dell'autenticità del suo accento lo rendesse ancor più insolente e incurante degli errori che commetteva parlando, così come della correttezza stessa del suo inglese. Aveva assunto in tutto e per tutto la mentalità americana, o meglio americanaanglosassone: un disprezzo assoluto per tutto ciò che, in un modo o nell'altro, non possedeva l'accento americano. Per quanto grammaticalmente esatto, il mio inglese era sprovvisto di tale accento e dunque paragonato alle sue frasi altamente scorrette, non era altro che un rudimentale veicolo del pensiero. Prima di procedere. sento il dovere di chiarire che non mi dispiace affallo il modo americano di accentare 1· inglese. L ·americano possiede una forza indolente e un tono sarcastico che si rivelano armi assai efficaci per esprimere concetti ironici con parole pungenti. Spontaneo e cinico al tempo stesso, quell'accento è lo strumento linguistico di Mark Twain e di un migliaio di umoristi inimitabili. Lo considero migliore della sentimentale stravaganza della lingua irlandese. L'americano, come l'inglese, si illude ritenendosi superiore al cittadino delle altre nazioni; e perciò l'atteggiamento da "Nazione Prescelta da Dio" di alcuni americani è in realtà più anglosassone del loro stesso sangue. Ho incontrato molti sedicenti americani, originari di città per nulla americane quali Odessa, Trieste e Barcellona. L'America non è stata loro di grande aiuto: tendevano a diventare sognatori, ebbri di spazi smisurati e di opportunità che non avevano mai avuto. Quest'uomo era insieme uguale e diverso da loro. Il motivo di tale diversità venne alla luce, così pensai, quando mi informò di essere cittadino degli Stati Uniti. Gli credetti immediatamente, senza alcuna riserva. Mi convinse quel senso di sicurezza che possedeva, e che solo il fatto di essere americano può convalidare. Non me lo disse subito. Tra l'inizio della conversazione in inglese e l'annuncio della propria nazionalità passò un intervallo indeterminato di tempo. In questo frattempo, egli sapeva bene cosa possedeva, e sapeva anche che io non ne ero al corrente. Questo lo spinse a farmi qualche concessione poiché, almeno per quanto mi riguarda, fin quando questa realtà rimaneva nascosta non avrei mai potuto indovinarla. Ne fu costretto, sebbene sentisse che la situazione non era ancora completamente matura. Così riprendemmo il discorso, attenendoci allo stesso ordine di argomenti seguito durante la conversazione in francese, passando dalla discussione sul tempo (argomento per noi molto delicato) a quella su Parigi. A questo punto - non erano trascorsi ancora 56 dieci minuti - la nostra conoscenza era dolorosamente completa. Avevo già la sensazione istintiva che alcuni argomenti bisognasse evitarli. Sapevo già quali sfumature nell'espressione avrebbero fatto nascere in lui il sospetto, quali l'odio e quali ancora un violento disprezzo. Da parte sua non nominò mail' Inghilterra, con la chiara intenzione di evitare un soggetto foriero di pericoli, come se si fosse trattato di un argomento sul quale non ci si poteva aspettare che mantenesse la calma. Se qualcuno fosse stato inglese, e io lo ero, e glielo avesse ricordato, automaticamente se la sarebbe presa. Ovviamente l'altro avrebbe tentato di trame vantaggio a sue spese. E infatti per ora vigeva il presupposto- unica via d'uscita da queste difficoltà - che io fossi americano. "Va in Spagna, no?" mi disse. "Sa, gli americani non sono ben visti laggiù. È un posto barbaro, amico mio, non ci si può credere quanto è arretrato quel paese. Per fare quattrini basta sembrare furbi. Senza problemi. No, perdinci! Vai in giro a perdere tempo e fai mille volte più affari di quei dannati terroni!" La cittadinanza americana spazzava via il fatto repellente costituito dalla sua origine meridionale; in caso contrario, trattandosi di un guascone, egli stesso avrebbe potuto essere considerato un terrone. "Sul Guadalquivir- capito dove? - una specie di capitale di stato, qualche manzanas, un mucchio di baracche, rendo l'idea?" Riporto le frasi del mio vicino in modo molto più comprensibile di quanto fossero in realtà. In ogni modo, ora si era buttato a capofitto in quell'idioma oscuro e vertiginoso, cominciando a raccontare una storia. La storia ci affogò dentro; afferrai comunque che stava raccontando di quando, durante un viaggio in macchina, non era riuscito a trovare benzina in una città abbastanza importante. Era così concentrato nel suo racconto che fui preso di contropiede e un paio di volte si capì benissimo che avevo perso il filo. Non comprendevo il suo inglese, e fu questo a rovinarmi. Terminò la storia in modo brusco. Calò un profondo silenzio. - Fu allora che rivelò di essere cittadino americano. La situazione cominciava a farsi pesante e a non promettere niente di buono. Con la rivelazione di questo fatto sconcertante, persi in un attimo tutti i vantaggi di quella finzione opportuna nella quale per un po' ci eravamo crogiolati - vale a dire, del fatto che fossi americano. Ora non poteva fare a meno di assumere un'aria ancor più arrogante di prima. Rappresentava gli Stati Uniti - non si poteva sfuggire, quello era l'alto ufficio che gli imponeva lo svelamento della propria nazionalità. Ogni compromesso, ogni

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