CONFRONTI e il resto ai partigiani. Rifiutare, nell'uno e nell'altro caso, significava esporsi al pericolo di tremende rappresaglie. Tra quella gente rozza e ignorante, che riconosceva come unica legge (sostiene Kosinski) il diritto del più forte sul più debole e quello del più ricco sul più povero, il figlio cittadino dell'industriale e filologo di Lodz passò anni di stenti e umiliazioni. "Lo credevano uno zingaro o un ebreo vagabondo" scrive ancora Kosinski del protagonista del romanzo che gli ha dato la notorietà, "e ospitare zingari o ebrei, destinati ai ghetti e ai campi di sterminio, costava agli individui e alle comunità le pene più severe dei tedeschi." Tutto ciò non poteva che aumentare la diffidenza di quei pallidi ucraini nei riguardi di un essere umano fisicamente tanto diverso da loro. C'è da augurarsi che Kosinski non abbia sofferto tutto quello che soffrì il ragazzo dell'Uccello dipinto. Ciò nondimeno, la sua esperienza fu così traumatica che a nove anni perse la favella. Doveva riacquistarla solo a quindici, in seguito a un fortuito incidente di sci. Intanto erano successe molte cose. La guerra era finita. Ufficiali dell'Armata Rossa avevano trovato il bambino ed erano riusciti a restituirlo ai genitori, miracolosamente sopravvissuti allo sterminio degli ebrei polacchi. E Mieczyslaw Kosinski, con l'aiuto dei maestri di una scuola per handicappati, gli aveva insegnato a leggere e scrivere. Il 1948 è, per Kosinski, l'anno del ritorno alla "normalità". Il ragazzo si iscrive al ginnasio, poi al liceo, poi all'università della sua città natale, dove conseguirà brillanti titoli di studio in storia e in scienze politiche. Nel 1950 ha fatto amicizia con un ragazzo vivace come lui, un certo Roman Polanski. D'inverno, per guadagnare qualche soldo, fa il maestro di sci a Zakopane. Col passare del tempo il suo interesse si concentra sempre più su un argomento: la sorte dell'individuo nelle società collettivizzate. Le sue dissertazioni sulla Russia dell'Ottocento, d'impronta nettamente sociologica, vengono pubblicate nel 1954 sulla "Przeglad Nauk Historycznych i Spolecznych" (Rivista di scienze storiche e sociali) dell'università di Lodz. Per due anni, dal 1955 al 1957, Kosinski è ricercatore dell'Accademia polacca delle arti e delle scienze e dell'università sovietica Lomonosov. Sono gli anni in cui si realizza il suo distacco dalla sociologia (lo studio della quale è stato abolito in Polonia per motivi politici tra il 1950 e il 1955). Sono anche gli anni in cui matura nella mente di Kosinski l'idea di lasciare il suo paese. Perché il giovane e promettente ricercatore abbandona la sociologia? Perché la sociologia non è una scienza. Perché !'"alto grado di astrazione" inerente al suo lavoro avvicina il sociologo allo scrittore di fantasia. Che fa, infatti, il sociologo se non prendere certe forze reali e racchiuderle in formule astratte buone per tutti gli usi? "Durante il periodo staliniano" spiega Kosinski, "mi resi conto che questo [lavoro] era impossibile, che facendo il sociologo non soltanto scrivevo della.fiction, ma che l'intreccio della mia.fiction mi era dato proprio dalle forze che aborrivo e che mi terrorizzavano: il partito comunista e il suo sistema totalitario." Fare della sociologia significava, dunque, scrivere un "copione" per la polizia sovietica, che avrebbe potuto servirsene per arrestare chiunque. La dissertazione sociologica di Kosinski poteva essere usata come "piano per un pogrom". Oppure, "se mi rifiutavo di renderla politicamente 'valida', sarebbe stata usata come piano per un pogrom della mia persona, dei miei familiari e dei miei amici. Per questo passai alla chimica." Iscrittosi come uditore ai corsi di chimica fotografica, Kosinski comincia, come per caso, a scattare e sviluppare fotografie. Il suo lavoro viene accolto bene, anche nell'Unione Sovietica, e in brevissimo tempo egli entra nel numero dei più apprezzati foto30 grafi dell'Europa orientale. La camera oscura - tanto presente anche in Abitacolo (edizione italiana Longanesi) - diventa il simbolo della sua vita e una metafora ricorrente in tutta la sua opera di scrittore. Perché? Perché "solo nella camera oscura potevo agire senza essere osservato", risponde Kosinski. La camera oscura non offre solo la possibilità di leggere i libri "proibiti" - lui stesso ammette di non avere letto molto, a parte un po' di Nietzsche e Dostoevskij (disponibile, quest'ultimo, in Urss)- ma anche quella di esistere "pienamente" nella propria integrità, il che è possibile - sostiene Kosinski - solo al riparo da tutti quegli occhi indiscreti che vedono di te (e con ciò fanno anche esistere) soltanto quello che vogliono vedere. È in questa camera oscura che Kosinski, come racconta proprio in Abitacolo, prepara meticolosamente la sua evasione dalla Polonia, inventando quattro luminari della scienza, mettendoli in comunicazione per iscritto con gli organi dirigenti del partito e dell'università, e facendosi infine spedire all'estero con una borsa di studio mai esistita. Il 20 dicembre 1957 un Kosinski ventiquattrenne sbarca all'aeroporto di New York, con due dollari in tasca e una pelliccia di lupo siberiano sulle spalle. È allora, in quel momento, che il suo passato si annulla e scompare, sopravvivendo solo come serbatoio di ricordi al quale attingere, soffitta colma di vecchi cimeli tra cui scegliere quelli che fanno più paura, deposito di materiale da utilizzare nei suoi libri futuri. Perché è lì, in quel momento, o se non in quel momento poco dopo, che Kosinski decide di rinascere: negli Stati Uniti, la patria che si è scelto, non farà né il fotografo né alcun altromestiere (se nonquelli strettamente indispensabili a sopravvivere nei primi difficili momenti), ma imparerà l'inglese e con questa lingua nuova, in un tempo e in un mondo nuovo, descriverà la dura lotta dell'io contro un universo sempre più impersonale, collettivo e meccanizzato. In America, dunque, il primo "abitacolo" di Kosinski, la camera oscura, si trasforma in una scrivania; e la carta, prima sensibile alla luce, diventa ora sensibile all'inchiostro con cui la istoria l'esule polacco. Ma c'è un salto di qualità, tra la prima e la seconda condizione. In Polonia, come fotografo, Kosinski poteva solo riprodurre la realtà. Negli Stati Uniti, come scrittore, può inventarla. O meglio: come fotografo Kosinski poteva creare esattamente la foto immaginaria che aveva in mente. E questo era "molto scoraggiante", per lui, perché se la sua immaginazione sapeva concepire solo immagini facilmente riproducibili in qualsiasi camera oscura, anche sovietica, "non doveva davvero valere gran che". Ora invece, come scrittore, egli può soltanto approssimarsi alla visione che ha davanti agli occhi, può soltanto codificarla e spedirla, mediante un "astratto messaggero" (la lingua), a un "ignoto destinatario" (il lettore). "Io non so se [il mio libro] sarà letto, non conosco chi lo leggerà e ignoro il significato che avrà per lui. Ed è questo non sapere, proprio questo, che più mi piace nello scrivere romanzi, perché le cose che in sostanza mi interessano sono la mia immaginazione e il mio codice; nient' altro e nessun'altra cosa." Significativo appare il modo in cui Kosinski verifica, appena giunto a New York, la sua capacità di codificare, cioè di comunicare, sia pure nella forma così astratta e distaccata consentitagli dalla nuova lingua di cui, con l'aiuto del padre lontano, va impadronendosi rapidamente: nel cuore della notte, smessa la tuta di camionista o di operaio, fa lo zero del disco telefonico e legge ad anonime centraliniste insonnolite interi paragrafi dei suoi primi libri (The Future Is Ours, Comrade e No Third Path). Il principio della camera oscura è rispettato: nessuno può vederlo, mentre legge, e restare influenzato dai suoi gesti e dalla sua espressione; solo il suono della voce trasmette all'"ignoto destinatario" un messaggio di cui occorre accertare il grado di com-
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