CONFRONTI Stranieria Milano nel nuovo librodi GiulioAngioni Mario Barenghi II nuovo libro di Giulio Angioni si apre con la descrizione della pensioncina dove il protagonista alloggia, e dove ogni mattina, _faticosamente, si risveglia: voci, rumon, gesti, piccole abitudini di una stentata ripresa di contatti con il mondo, fino all'affannosa rincorsa dell'autobus per Milano. Giunti alla co~clusione: 1,0 vediamo la sera aggirarsi per le vie della Cttta, più stranito che stanco, e riconoscere con emozione incredula uno dei frutti del propno lavoro in una scintillante vetrina di corso Buenos Aires. Tra i due estremi, la narrazione di una e di tante oiornate della vita del giovane sardo Tore Melis, tagliatore di stoffe in una fabbrichetta di capi intimo-donna, e del suo sodalizio con il coetaneo kenyano Warùi. Due immigrazioni parallele, dunque, una tradizionale (d~,l Mezzogiorno al Nord), una di nuovo ma gia consolidato stampo (dall'Africa in Italia). Unaignotacompagnia(Feltrinelli, pp. 174, L. 25000) è innanzi tutto un racconto ben costruito che intreccia senza sforzo il tempo iterativo della quotidianità e il tempo irreversibile di una storia che inizia e che finisce. In secondo luogo, è un racconto che parla d'un problema attuale e importante:~ lo fa in m~do intelligente, aperto, senza tesi precost1tmte, rifuggendo dai facili pietismi e dall'amirazzismo di maniera. Lodevole, sopra ogni cosa, appare l'intento di ritrarre un settore tanto cruciale quanto - a conti fatti - poco conosciuto della moderna realtà metropolitana: quella zona incerta fra integrazione ed emarginazione sociale dove coabitano in precario equilibrio immigrati vecchi e nuovi, operai, lavoranti a domicilio, esponenti d'una borghesia p1_ccolae infima a contatto con i vu' cumprà meno disper~ti, e poco più su degli sbandati e dei vagabondi. . Angioni, che professionalmente s1occupa di antropologia culturale, è cosciente del f~tto che in questi strati "bassi" della soc1eta s1 decide gran parte dell'avvenire della civiltà nel nostro paese. Tuttavia egli evita con cur~ d1 assumere il ruolo dello studioso o del saggista: si limita a mettere in scena dei personaggi, psicologicamente poco complessi ma ~i~i, e a farli agire e parlare, non di rado con esiti assai convincenti (la Signora, il "coro" femmrntle delle cucitrici, varie figure e figurine minori). La dimensione meditativa- ma forse dovremmo dire: sapienziale - idealmente protesa a congiungere l'eredità del passato e il progetto del futuro, è affidata invece ai numerosi commenti interni: proverbi popolari, massime di avi sardi o kenyani, sparsi passi d'una canzone di Warùi (che all'occorrenza sa vestire i panni 28 del cantante rap). Insomma, Una ignota compagnia è un libro altamente raccomandabile, per serietà d'intenti e gradevolezza d1 tratto, che affronta temi importanti in maniera non banale sollecitando la riflessione del lettore. A comin~iare dal titolo, desunto da un passo di Eschilo: che, se non m'inganno, si presta a differenti interpretazioni. Una compagnia di "ignoti", cioè gli stranieri, che siamo sempre tentati di respingere, in base a giudizi preconcetti e frettolosamente denigratori; gli "ignoti" (gli estranei) che restiamo troppo spe_ssonoi tutti, gli uni per gli altri, ancorché stretti da una sorte comune; il prossimo - la "compagnia" -che non sappiamo (ancora) riconoscere come tale, ma con cui già condividiamo gran ~arte della nostra esperienza; dal quale possiamo apprendere molto più di quanto sospe~tiamo, e più di quanto possiamo a nostra volta insegnare. Al cuore dell'operazione letteraria compiutada Angioni si annida tuttavia una contraddizione. Dal punto di vista stilistico il racconto vuole caratterizzarsi soprattutto per lo spiccato plurilinguismo. Sul terreno di una, ~~rittur~ abbastanza corrente e colloquiale (pm scntt1 sono solo certi brani che riferiscono pensieri del colto e acuto Warùi) fiorisce una vegetazione lessicale quanto mai variegata: espressioni Giulio Angioni in una foto di E. De luigi (Effige) in milanese, inglese, swahili, portoghese, arabo, veneziano, kikuyu (un glossarietto provvede a chiarire i casi più ostici). Ora, quale che fosse l'intenzione dell'autore, siffatta pluralità di voci non produce alcun autentico attrito, alcuna dissonanza: sono pennellate, macchie di colori, che non stridono e non fanno scintille. Si tratta, in altri termini, di un caso di plurilinguismo non conflittuale, non gaddiano, pressoché pacificato - o comunque assai povero di tensione drammatica. E infatti, malgrado le tante differenze, i personaggi dopo tutto s'intendono, ciascuno parlando a suo modo e secondo Ii proprio interesse; regola confer_matae ~ontrario da un'isolata escursione fra I ceti alti, dove il ricco industriale dottor Vogogna ammanta una fasulla filantropia di un ipocrita sardo da turista. Ovviamente non è il caso di rimproverare ad Angioni un - come dire? - ottimismo linguistico, che scaturisce da istanze profondamente democratiche e progressive; il suo implicito messaggio di fiducia nell'avvenire di un nostrano melting pot potrà lasciar freddo 11 nostro intelletto, non certo la nostra volontà o la nostra coscienza. Il punto è che la vicenda narrata non giustifica affatto tale prospettiva. Sia l'introverso Tore (che narra in prima persona) sia l'amico Warùi, tanto più perspicace e dinamico, càmpano in quel di Milano (o dt Brugherio) una vita ben grama, che lascia pochissimo spazio a speranze di miglioramento. E infatti alla fine entrambi decidono (separatamente, ma per motivi analoghi) di fare ritorno ciascuno alla propria terra, che rimane la sola patria possibile. Dunque, Una ignota compagnia è sostanzialmente la storia di un doppio fallimento, che non trova compenso sul piano dell'intreccio in alcun paradigma alternativo di integrazione felicemente riuscita o di complessivo progresso civile. A fronte di questa realtà di fatto - di cui nessuno vorrà negare la verosimiglianza- la soluzione espressiva del patchwork moderatamente mistilingue,_tram_ato di inflessioni genericamente settentnonaiI e (presumibilmente) sarde, ma aderente in sostanza a un generico parlato corrente, appare debole; in un certo senso, perfino un po' delusoria. Non abbastanza babelica né abbastanza idiosincrasica per suffragare lo squallore della vicenda rappresentata, né abbastanza estrosa (o giocosa, o grottesca) per esorcizzarlo davvero, la scrittura di Angioni si attesta su un hvello medio-comico che non rende ragione alla complessità della sua percezione del real_e: pu; garantendo una leggibilità che rimane d1per se un indiscutibile valore. Due auguri, per concludere. Il primo è che Una ignota compagnia trovi molti lettori, specie fra i giov.ani, perché è un libro ricco di umanità, istruttivo senz'essere edificante, letterariamente pregevole. Il secondo è che trovi più emuli che seguaci. Anche se - sia chiaro - non è mai agli scrittori che si può chiedere la soluzione dei drammi dell'umanità, neanche quando si chiamino Giovanni Verga o Nadine Gordimer.
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