CONFRONTI Lacuriosità,er il mondo. Unacollanacliviaggiatori Paolo Bertinetti Nella prefazione a Il mondo che ho visto Mario Praz si domandava quale fosse diventato il senso del viaggiare, ora che anche i viaggi più lontani e un tempo più difficili sono alla portata di (quasi) tutti, che agenzie e voli charter portano masse uniformi di turisti negli angoli più distanti della terra, un tempo così diversi e ormai così uniformati anch'essi. Praz, grande viaggiatore d'altri tempi, in fondo pensava di no. E suggeriva come antidoto alla monotonia e al livellamento del nostro mondo la lettura degli "ultimi viaggi in cui era ancora possibile la sorpresa e il senso dell 'esotico". Per la verità ci sono dei viaggiatori del nostro tempo che sono perfettamente in grado di comunicarci la sorpresa che nasce dalla scoperta di realtà altre e misconosciute. Sono quei viaggiatori più dotati di immaginazione sociologica, come il Naipaul dei libri sul Sud degli Usa e sull'India, che riescono ad affrontare nel viaggio la realtà di oggi con tale curiosità, con tale capacità di collegare gli uomini, le cose, il paesaggio alla politica, alla cultura, all'economia di un Paese, da far scattare la curiosità anche in noi, da spingerci a cercare di capire con loro quei mondi in realtà a noi ignoti che convivono con il nostro mondo. Ci sono però anche i libri che raccomandava Praz, quei libri sul passato che ci interessano proprio perché sono sul passato, perché sappiamo che il mondo di oggi è diverso e che la descrizione di quello di ieri ci serve anche per il presente, ci dà il senso della realtà e della storia. Alcuni di questi libri di viaggio, tra cui uno dello stesso Praz, dovuti a viaggiatori colti, eruditi, capaci di connettere un certo fenomeno artistico ad altre forme d'arte, oppure al paesaggio, oppure a un abito o a un gioco, capaci cioè di collegare aree e campi di espressione diversi, sono pubblicati nella collana "Viaggi e Avventura" della casa editrice EDT. li più "manualistico" è il Breve viaggio in Francia di Henry James, che è un viaggio nella provincia, lontano dalla Parigi "compendio di civiltà" ma alla continua ricerca dei segni di quella stessa civiltà. E che è, per l'appunto, un libro pieno di sorprese. Delle sorprese dell'autore, che scopre per sé e per i lettori di allora angoli e monumenti di Francia da gustare con raffinato piacere. E delle sorprese per il lettore di oggi, che a fatica riesce a riconoscere i luoghi a lui famigliari nelle parole con cui l'autore li descriveva prima dell'avvento del turismo di massa. Non che i primi segnali già non ci fossero, come testimoniano gli sdegnosi commenti di James su ciò che gli appariva "spettacolo per turisti". Ma certo non piccolo è il disorientamento causato da pagine come quelle dedicate a Les Baux, che descrivono con toni quasi accorati l'opera distruttrice del tempo e della storia. James avrebbe senza dubbio preferito, nonostante tutto, le rovine. Noi, forse, non possiamo far altro che registrare il nostro sconcerto. Un paese di rovine è l'India di Pierre Loti affidata alle pagine del volume più recente della EDT, L'India (senza gli Inglesi). Il titolo allude al fatto che nel libro non ci sono riferimento al dominio coloniale britannico. In parte perché altre cose dell'India interessano a Loti; in parte perché, come a James o a Praz, non gli interessa l'economia, non gli interessano le condizioni "materiali" di un Paese. In questo ci è più lontano del suo lontano predecessore François Bernier, che nel secondo Seicento aveva raccontato nel suo Viaggio negli Stati del Gran Mogol il fascino della civiltà indiana insieme alla storia e alla vita quotidiana di un popolo. Loti nell'India vede soprattutto le rovine, intese come il segno della decadenza di una civiltà. E la decadenza si accompagna alla malinconia che domina nelle sue impressioni di viaggiatore: una malinconia che nasce da fonti diverse, dal rimpianto di ciò che è stato, dalla miseria e dalla sofferenza, dalla bellezza sublime di paesaggi e di palazzi, e che fa tutt'uno con il suo disagio di europeo che cerca nell'Oriente "altro" le certezze e le verità che l'Occidente non gli offre più. Il libro più "curioso" di questa collana è però proprio quello di Praz, Penisola pentagonale, un viaggio nella Spagna degli anni Venti che l'autore percorre con un occhio abituato a cercare nella vita il riflesso della testimonianza culturale. Per lui l'esperienza è come una seconda lettura di ciò che già si conosce attraverso l'arte. La vita e la storia esistono, ma non sono rilevanti di per sé: è solo quando si consolidano in un'opera artistica o letteraria che assumono interesse. Ma per fortuna il libro, pieno di raffinata erudizione, è poi animato da una curiosità vivacissima e intelligente, da un gusto per la scoperta che poi si traduce in un gusto narrativo straordinario, percorso da una sottile ed elegante ironia. Alcune sue notazioni sull'animo spagnolo sono illuminanti, specie quando si vengono a toccare gli aspetti più vicini a quell'"agonia romantica" a cui Praz ha affidato la sua fama di studioso. Ma, curiosamente, alcune delle pagine più belle sono quelle dedicate agli inglesi in lspagna: è attraverso il loro ritratto un po' beffardo che viene fuori la pochezza degli stereotipi affibiati alle genti della penisola pentagonale. E, indirettamente, che emerge la lettura originale di Praz, lo sguardo curioso con cui anche noi, anche ora, dobbiamo guardare alle differenze. 27
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