CONFRONTI Sessanta in un quartiere di Prato. Ha fatto la cronaca di una partita di calcio del campionato femminile di serie A. Si è fatto fare il preventivo di una fattura contro il malocchio dall'assistente del mago dell' Andalusia. Ha mangiato nel più esclusivo ristorante di Londra insieme a un tizio con i capelli rasta e il chiodo di pelle nera pieno di borchie. Ha passeggiato nel centro di Milano chiuso al traffico per lo smog. Ha assistito a un dibattito autogestito fra studenti della Pantera e critici d'arte nella Facoltà di Lettere occupata a Roma. Ha cercato inutilmente la tomba di Malcolm Lowry nel Sussex. Ha visto un TIR investito dal treno a un passaggio a livello volare dentro l'aia di un contadino. Si è immischiato nelle indagini di un delitto in provincia di Brescia che sembrava uscito di peso da un libro di Truman Capote. Ha intervistato i mozziconi di frasi di Totò Schillaci. Ha visitato il ventre della bestia meccanica che macera i libri invenduti vicino a Verona. Ha fatto la fila tutta la notte davanti a un negozio di Viareggio, insieme a centinaia di ragazzi, per comprarsi un Happy Fish, nuovo modello Swatch. Ha salutato per l'ultima volta Moravia al cimitero del Verano. Questo libro è una meditazione sulla possibilità, per uno scrittore, di fare esperienza dell'Italia di oggi. La maggioranza delle Cronache italiane (Mondadori) è al tempo stesso plausibile e assurda: potrebbero essere tutte inventate (il sottotitolo del libro è Racconti), e infatti una di esse è veramente falsa, come avverte una nota in apertura di libro, senza specificare quale. lo scommetto sui pesci-siluro, ma ho letto su un giornale un commento che non credeva al TIR che vola. Un mio amico invece non si fida della storia del mago. È chiaro che nella società dello spettacolo tutto cospira affinché questa logica del vero-falso non abbia alcun senso, e se Veronesi la evoca ali' inizio, lo fa giusto per lasciarsela ironicamente alle spalle come un vizio d'origine. Cronache italiane se mi ricordo bene,era il titolo di una vecchia trasmissione televisiva che si occupava di scampagnate in provincia e reportage su tutto ciò che non faceva abbastanza notizia per entrare nel telegiornale. Questo libro non perde occasione per dichiarare la cultura televisiva e le reminiscenze di infanzia di cui sono intrise le sue categorie interpretative. Veronesi porta in giro per l'Italia i suoi ricordi di bambino e di telespettatore, attraverso i quali legge i posti dove non era ancora stato, le persone appena conosciute, le emozioni mai provate prima: " ...m'inoltro in un tratto di spiaggia libera, giusto vicino a una colonia marina dove fu mandato un mio amico, un'estate di tanti anni fa, in punizione, per aver tirato giù le mutande a una compagna di classe col manico dell'ombrello ..."; " ...È giovane anche lui, ha un viso pulito, attento. La mia assurda impressione, eppure netta, è di averlo già conosciuto durante l'infanzia ..." " ..uno schiaffo esattamente uguale a quello che che mi aveva dato 'Gustavo' tanti anni prima, quando, tornato a scuola e seduto a tavola prima di mangiare, assorto nella visione di 'Oggi cartoni animati', venivo per la prima volta costretto a considerare che nella vita c'erano anche la nevrosi e l'infelicità ...". È come se la voce narrante si stupisse in continuazione di essere entrata per davvero, diventando finta, nello spettacoloso mondo che per tutta la sua infanzia ha visto dentro la tv. E infatti la televisione, la distanza dello spettatore, è l'unico sistema di difesa infantile per tenere a bada quello che succede. In esergo al libro ci sono le parole dei ragazzini di Vineland di Thomas Pynchon, col loro metodo infallibile per non rimanere sconvolti dai litigi dei genitori: "Fa' conto che c'è intorno a loro una cornice, come alla Tivù, fa' conto che stanno recitando una commedia e che tu stai a guardarla. Puoi entrarci dentro, se ti va, oppure puoi restare a guardare e basta, senza entrarci dentro". Il Grande Fratello si è incarnato in un'enorme Candid Camera, il mondo è avvolto da specchi truccati, stai attento, può capitarti dappertutto qualcosa di surreale, ogni tanto le cose impazziscono ma non preoccuparti, era solo uno scherzo, volevamo vedere come te la saresti cavata, sorridi alla telecamera prego. Veronesi si mischia fra i clienti di Aiazzone e per poco non si fa vendere un salotto, elenca al mago i suoi fittizi persecutori, poi gli viene lo scrupolo che il malocchio ricada davvero sulle persone che ha nominato a caso, parla col fratello dell'assassinato, ma un passante si ferma e fa le condoglianze a Veronesi. Il carrozzone dello spettacolo elargisce un brivido di vera finzione a tutti quelli che ci montano sopra con la serissima intenzione di stare al gioco e recitare: compresi, per primi, gli scrittori che impersonano il ruolo sapienziale o menefreghista, sussiegoso o irriverente nelle farse rituali degli incontri col pubblico al Salone del Libro. L'importante è lasciare le cose come stanno, esserci stato senza esserci stato: ottenere il massimo sconto senza comprare il salotto, rimanere tutta la notte in fila e poi cedere il posto all'ultima arrivata, che ad accaparrarsi lo Swatch ci tiene davvero, spingersi fino al punto di non-ritorno di ogni situazione, a patto di avvistarlo al momento giusto e sapersene ritirare senza danni. È per questo che i momenti più inquietanti e rivelatori, in questo libro brioso e divertente, sono quelli in cui verità e finzione minacciano di separarsi: quando i ritorni a casa rischiano di fallire, quando le marce indietro dal caos perdono la via che dovrebbe riportare all'ordine di partenza. Alla fine della giornata biellese da Aiazzone, il pullman sta per partire lasciando Veronesi nella notte fredda, in una piazzola di autogrill, con in mano i marrons glacés comprati per la madre "se davvero mi abbandonano qui non riuscirò mai più a tornare a casa, mi dissolverò nel nulla". L'impero del volto Ryszard Kapuscinski è uno straordinario scrittore spericolato. Da più di trent'anni viaggia per il mondo (soprattutto il Terzo Mondo) attraverso guerriglie, rivoluzioni e colpi di stato, facendo bottino di articoli e.corrispondenze mozzafiato (una sua intervista è apparsa sul n. 56del gennaio 199 l di "Linea d'Ombra" un suo intervento più riflessivo è uscito nel numero dello scorso aprile). Nel 1988 lo scrittore polacco ne ha scelte e montate alcune in La prima guerra del football e altre guerre di poveri, edito in Italia nel 1990 da Se1Tae Riva. Di recente lo stesso editore ha riproposto anche il bellissimo L'imperatore. Caduta di un autocrate, che è del 1983. Il crollo di Hailé Selassié viene raccontato per bocca degli ex-cortigiani: dopo la caduta del regime, Kapuscinski si fa portare nei loro nascondigli, di notte, in fondo ai labirinti fangosi di Addis Abeba. Dal più alto dignitario al più umile dei servitori, raccoglie un fantastico diorama di sguardi verticali, una gerarchia di punti di vista polarizzati. Trascrivendo i loro racconti sfrutta con la massima sagacia la natura inconsapevolmente grottesca della loro rappresentazione dei fatti, agguanta ogni paradosso e lo conduce a temperatura di fusione comica. Piuttosto che riassumerne in fretta qualche esempio, preferisco scegliere direttamente le righe iniziali di una pagina davvero memorabile. In essa si dà conto dei viaggi del Negus nelle provincie, "lustrate come uno specchio" per nascondere la miseria del paese e dare all'imperatore ciò che cerca, l'ennesima immagine riflessa del proprio splendore: "A Sua Maestà piaceva visitare le provincie, ricevere gli umili, ascoltare le loro ambasce e consolarli con una promessa, elogiare i poveri lavoratori e biasimare i pigri e i riottosi. Ma quella predilezione di Sua Maestà prosciugava il tesoro perché prima bisognava preparare le province: pulire, riverniciare, sotterrare la spazzatura, distruggere le mosche, costruire le scuole, dotare i bambini di uniformi, rifare il municipio, cucire bandiere e dipingere i ritratti di Sua Maestà illustrissima. Non stava bene che Sua Maestà apparisse di punto in bianco, inopinatamente, come uno squallido esattore delle tasse, e che entrasse a contatto con la realtà della vita. È facile immaginare lo stupore e la mortificazione dei dignitari locali. Quale terrore! Ma un governo non può funzionare in clima di minaccia, un governo è una convenzione basata su regole codificate." Al di là degli effetti stranianti, spassosi, irresistibili, è stupefacente come questi sguardi miopi, che non hanno saputo leggere al momento opportuno l'imminenza della propria rovina, ci diano un'idea così efficace del potere del Negus e del suo inevitabile declino. Eppure Kapuscinski non dà la parola a nessun esponente dell'opposizione, non fa ricorso a fonti di informazione alternative o comunque estranee alla vecchia Corte. Qui è il potere stesso a parlare, a descrivere i propri bolsi rituali.L'esercizio della sovranità si esaurisce in un 'ininterrotta autocelebrazione, quella che potrebbe sembrare un'immane cerimonia mistica, una continua messa in scena simbolica che allude a un'irrappresentabile forza segreta. È invece la sostanza stessa dell'autocrazia. Non c'è bisogno di teorizzare una metafisica dell'assolutismo, perché esso si risolve completamente nella propria fisica, nella propria fenomenologia, nell'enunciazione della propria presenza. Il potere del Negus coincide con il suo ininterrotto cerimoniale. E quindi non è necessario smascherarlo con un'analisi complessa, non serve attraversare i segni per far luce sui significati, perché questi ultimi stanno in piena luce sulla superficie dei segni. L'imperatore è l'imperatore perché la sua sovranità splende tutta sulla superficie del suo volto. Da giovane era un dignitario 23
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