Linea d'ombra - anno X - n. 73 - lug./ago. 1992

CONFRONTI La cosiddetta realtà e alcuni libri che la raccontano Tiziano Scarpa Di recente mi è capitato di lavorare per qualche mese nell'Ufficio Comunale di Censimento della mia città. Immaginate un'ex scuola media sgomberata per calo demografico, corridoi ariosi e aule dai soffitti alti, scaffali pieni di quei moduli azzurri o rosa che le famiglie, le imprese e le istituzioni italiane hanno compilato lo scorso ottobre. Quintali di fascicoli da revisionare uno a uno, da completare con pazienti telefonate a cittadini distratti o reticenti, da accudire pagina per pagina. Migliaia di luoghi di nascita, titoli di studio, professioni e attività economiche da tradurre nel linguaggio numerico delle codifiche anonime, al tempo stesso semplificanti e puntigliose, capillari e generiche, affascinanti e assurde come tutte le classificazioni. Dall' 1.1.1.1 (ministri del governo) all'S.6.3.9 (manovali senza qualifica) scorrono i livelli professionali, ordinati gerarchicamente nella Classificazione delle professioni (pubblicazione Istat) come nei romanzi russi dell'Ottocento. Dallo 01.111 (coltivazione di cereali) al 95.000 (servizi domestici presso le famiglie) c'è una casellina numerica per ogni tipo di impresa, agenzia, fabbrica, negozio, studio, società: basta un'occhiata al prospetto riassuntivo della Classificazione delle attività economiche (altra pubblicazione lstat) per provare la serena ebbrezza delle vecchie filosofie sistematiche: sguardo sovrano e panottico, colpo d'occhio che coglie in un istante la forma del mondo. Lavorare con questa specie di dizionari bilingui può provocare un'altalena di sensazioni. Di fronte al marasma del differente, del variegato, del polimorfo, puoi sfoggiare l'onnipotenza delle risposte previste: luogo di nascita Sperlinga (Enna)? Zerottantasei-zerodiciassette! Sperlonga (Latina)? Zerocinquantanove-zerotrenta! Professione pigiamista? Sessantacinque-trentacinque! Pigiatore di uve per mosto? Settantatré-ventotto! Psicoveggente? Cinquantacinque-quindici! Poeta? Venticinque-quarantuno! Fabbrica di adesivi per dentiere? Ventiquattro-cinquecentoventi! Tra tutti questi codici puoi perderti nell'insignificanza e lasciarti andare all'apatia, oppure sentirti perfettamente felice come gli scrivani e gli impiegati di Robert Walser, in uno stato di beatitudine che rasenta l'imbecillità: al pari di Jakob Von Gunten aspiri a diventare niente di più che "un magnifico zero, rotondo come una palla" in mezzo ai tuoi numeri di cinque cifre. Ogni questionario è la figura retorica standard con cui la burocrazia statistica metaforizza una famiglia: cento questionari sono l'ottava su un palazzo, diecimila il canto su un quartiere, centomila il poema sulla città. Maneggiare palazzi e sfogliare quartieri per intere settimane ti fa assomigliare a Poseidone nel racconto di Kafka: il dio del mare è un burocrate seduto per l'eternità al suo tavolo da lavoro, in un ufficio all'asciutto, perché "l'amministrazione delle acque del mondo gli dava un daffare sterminato". D'altra parte, basta fare attenzione al brulicare delle calligrafie con cui la gente ha riempito i questionari per percepire il rumore dell 'esistenza che si è riversato con discrezione sulla carta ed è venuto a farti visita tutto insieme e tutto in una volta in un ufficio: allora hai paura di non saperlo leggere nella maniera giusta, di lasciarti sfuggire l'essenziale, e invece di un codificatore vorresti essere perlomeno un grafologo. In ogni caso, lavorare all'accrescimento dell'astratto su commissione dell'Istituto Nazionale dell'Astrazione, a lungo andare ti fa venire nostalgia della realtà: non della realtà vera e propria (dopotutto, nemmeno un lavoro come codificatore può privartene), ma di quella che è riuscita a fare i conti con la scrittura in un modo del tutto diverso dai moduli e dai questionari del tuo ufficio. Il giro del mondo in trenta pagine Marco Pasquali ha fatto il rilevatore per l'lstat a Roma durante il Censimento '91. Dalla mattina alla sera ha girato per le case a consegnare questionari e ad aiutare la gente a compilarli, Di notte ha descritto in una trentina di pagine svelte e piene di verve quasi tutto quello che non Ryszord Kapuscinski in una foto di Giovanni Giovannetti. trovava spazio nei vari Modelli CP. I, CP. 2, CIS. l ecc. "Non sarei un vecchio lettore di Borges per non sapere che lo Schema Perfetto non si adegua a una realtà così multiforme, sommersa, mutante e variegata", dice alla fine di Ho fatto il censimento (pubblicato nei "Millelire" di Stampa Alternativa). Ma l'interesse di questo piccolo libro va ben al di là del grottesco che si produce quando vengono a contatto il frasario burocratico e la babele del vivere. Da una parte, c'è un rilevatore che combatte una guerra non sua: "di me posso dire quello che potrebbero dire tutti i rilevatori romani: ho accettato l'incarico per soldi". Ciò nonostante, spesso deve constatare con stupore gli effetti della patina di ufficialità che può dare un tesserino di riconoscimento con foto.Dall'altra parte, infatti, c'è chi gli chiede di "mettere ordine nel palazzo, come se invece del rilevatore fossi lo sceriffo dei film western". Gli stranieri tirano fuori il permesso di soggiorno senza che lui gliel'abbia chiesto. Professionisti e negozianti non vogliono abboccare al travestimento, subodorano la fregatura fiscale. Il tesserino tiene a bada i vigilantes che presidiano Enti "modernissimi e megagalattici", fa passare indenne oltre la portineria sotto lo studio del Politico, con le pistole Beretta della scorta bene in vista dietro i vetri antiproiettile. Nelle case di appuntamento, invece, "aprono sempre persone gentilissime. Gente abituata a ben altri controlli". Ma in molti appartamenti le persone non aprono proprio, non si fidano, hanno 21

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