Linea d'ombra - anno X - n. 73 - lug./ago. 1992

IL CONTESTO conquistati, le granate dei serbi cercano con fragore le guardie croate, facendo volare schegge, foglie e terriccio. Ma le rocce rinviano quasi cantando i colpi che si perdono nella montagna. Per i serbi passare di qui sarà un inferno. I tank con cui hanno sventrato mezza Croazia, ora si arenano sull'orlo della pianura trasformata in pantano, e nell'acqua serpeggiano i cavi elettrici tagliati dai croati. Sulla montagna ogni albero cela un lanciagranate. Lo ricorda la carcassa di un tank decapitato dai razzi, sulla strada che si arrampica fino ai croati. Gli assi delle ruote splendono al sole mentre i cingoli si stritolano nella polvere, come denti cariati. La torretta è scomparsa, come spesso accade in questi assalti, quando gli "strela" bucano la corazza e fanno saltare come un tappo la testa del carro. È scomparso anche l'equipaggio. Un bulldozer che apriva la strada al tank giace 100 metri sotto, capovolto come un coleottero. Mi chiedo chi avrà mai ordinato questa missione suicida in nome di quale ideale si mandino degli uomini a morire in questo modo. "Altri quindici tank li abbiamo fermati sull'altro versante della collina". Pochi metri più in alto, la rabbia dei serbi si schianta sulla montagna fracassando le rocce con le granate da 250 chili, ma le tracce delle esplosioni sembrano già ingoiate dal verde immenso dell'Erzegovina. E "Barba" non fa che parlarmi dei cavalli selvaggi che a branchi attraversavano la foresta. "I serbi? Se un serbo si fa una casa di 3 piani suo fratello ne farà accanto una di quattro, poi lo prenderà in giro dicendogli 'vedi come ti faccio ombra?' Qui a Livno, subito dopo il referendum sull'indipendenza avevano ammassato in alcune case centinaia di fucili, mitragliatrici, bazooka ed esplosivo. Anche qui si preparavano a tagliare in due la città con le barricate. Ma li abbiamo presi prima." Prigionieri Soldato lviza Papic, 24 anni. All'ospedale di Spalato la famiglia Papic abbraccia il figlio lviza, rilasciato dai Cetnici durante uno scambio di prigionieri. La madre piangendo gli rivolge antiche parole di affetto contadino "Mio unico mia mela, mio bel frutto, è tutto finito! L'importante è che sei vivo, che ce l'hai fatta, anima mia. Non ho pensato di portare il vino ma non importa, adesso va bene, ora non dovrai più lamentarti". Di origine contadina è anche la violenza selvaggia che lo ha segnato. ''Eravamo a Dornirujani" racconta "in un bunker. Ci hanno circondato, non c'era nessuna possibilità di sganciarsi. Hanno aperto il fuoco e quando hanno smesso abbiam fatto uscire uno di noi perché provasse a salvarsi. C'è riuscito ma per il noi il cerchio si è chiuso. Si sono avvicinati a 15 metri di distanza e abbiamo dovuto arrenderci, non avevamo scelta. Ci hanno portato con un blindato vicino a Cernj Lug e lì hanno cominciato a pestarci a pugni e calci e bastonate. Erano tutti in cerchio intorno a noi e ci pestavano anche con i calci dei fucili. Ci hanno legato le mani e dopo averci legato hanno ripreso a picchiarci ... Eravamo solo in due, ci hanno lasciato con le mani legate e ci hanno buttato in una cantina. A Celebic era previsto uno scambio di prigionieri e loro volevano che avvenisse proprio il giorno di Pasqua. Subito dopo il nostro arrivo altri ci hanno preso in consegna e hanno ricominciato picchiarci. Mi hanno fatto inginocchiare, e io gli ho detto che non sono un 'Ustasha' che sono stato mobilitato, che sono un soldato semplice. L'uomo che mi faceva delle domande si è semplicemente alzato impugnando il coltello e si avvicinava poi gridandomi 'Sporco Ustasha' mi ha tagliato l'orecchio. Lo ha buttato davanti a me e il cuore mi batteva fino a scoppiare. Il sangue mi scorreva addosso, tutti i vestiti erano pieni di sangue. Per due volte mi hanno gettato del sale sulla ferita, poi hanno preso una garza e mi hanno fasciato. Quello che mi aveva interrogato è partito per il comando per chiedere se c'era bisogno 12 di prigionieri da scambiare. Alle 8 o alle 9 hanno ricominciato a picchiarci, fino alle tre di pomeriggio. Dopo sono venuti a prenderci e ci han portato a Knin e lì hanno fatto lo scambio. Ma dove mi hanno maltrattato di più è stato a Celebic. Scherzavano, mi spegnevano le sigarette in faccia e nelle narici. Sulla fronte ho ancora i segni. Ci davano da bere della nafta poi ci costringevano a mangiare delle ortiche e quando ci hanno fatto bere dell'acqua dicendo 'Bene adesso rilassatevi' avevo la sensazione di avere un formicaio nello stomaco. Erano Cetnici? 'Sì, il loro capo si faceva chiamare Boro Cetnik'. Soldato Christo Domagoj, 19 anni. "Ci stavamo ritirando a Kupres sotto il tiro dei mortai. E abbiamo perso il nostro comandante. Abbiamo camminato per 12ore e ci siamo persi, vicino a Glamoch. Quando ci siamo avvicinati a un villaggio ci hanno detto che era un villaggio serbo e hanno iniziato a sparare su di noi. Quando ho tentato di rispondere ho sentito dietro la nuca la canna di un fucile. Nel villaggio ci hanno denudato e hanno cominciato a picchiarci. Poi ci hanno portato a Knin e hanno ricominciato. Mi hanno rotto le ossa qui sul petto. Ci hanno pestato per 10 giorni. Ci picchiavano sulle giunture. Due miei compagni sono morti." Soldato Antun Sveti, 24 anni. "Nella zona di Glamoch sono andato in perlustrazione e mi sono allontanato quasi un chilometro dalle nostre linee. Volevo avvicinarmi a uno dei loro bunker. Per terra ho visto due mine antiuomo ma non ho evitato la terza che mi ha amputato il piede Ho legato il polpaccio con la cintura per fermare il sangue ma non avevo nulla per l'altra gamba che era rimasta ferita. A un certo punto sono arrivati (i serbi) mi hanno raccolto e mi hanno portato alla clinica di Knin. Se fossi rimasto lì credo che sarei morto dissanguato." Dopo l'intervista Antun ci dirà che la vera intenzione era di attaccare da solo il bunker dei serbi. "Non volevo dirlo davanti alla telecamera perché penso di essere stato stupido". Bosanski Brod, Marinkovic Bosanski Brod, Slavonski Brod, la riva Bosniaca e la riva Croata di una stessa città sul fiume Sava ora sono due campi di battaglia. L'unica via di rifornimento per Bosanski Brod, assediata dai Serbi e difesa da Musulmani e Croati, è il ponte attraverso la Sava che la collega a Slavonski Brod. Tagliare il ponte vuol dire tagliare la vena giugulare della città. I Mig federali ci provano tutti i giorni da un mese, ma hanno paura di abbassarsi e i bombardamenti sono imprecisi, il che vuol dire che colpiscono ogni volta obbiettivi civili. Da tre mesi ormai la gente vive terrorizzata nei rifugi. Le "Krmachka", le bombe-scrofa, da 250 kg, hanno un nome sgraziato che evoca i fumetti, ma possono polverizzare un intero edificio. "I croati devono capire - ha detto Shesheli, il leader dei Cetnici - che la Serbia si sta allargando e se non lo capiscono si comprino un biglietto per l'inferno". L'inferno nella casa di Sveto Marinkovic lo ha portato una "Krmachka", che gli ha distrutto la famiglia. Marinkovic è serbo. La bomba ha sventrato la casa per tre piani cercando i suoi bambini, sua madre e sua moglie là sotto, nella cantina dove Sveto li aveva nascosti alla guerra. Li ha schiacciati come un pugno di cemento. Uno fra loro è ancora là sotto, e quella casa è diventata una tomba, un tumulo di detriti sepolti dalla polvere, che ha imbiancato una carrozzina, due piccoli golf, e dei giocattoli di plastica. Un vicino li sposta, li tira fuori uno per uno mostrandoli alle telecamere e i vestitini ridiventano riconoscibili, palpabili. Par quasi di rivedere le buffe lotte che fanno i bambini quando devono indossarli. Il padre, in un angolo, accarezza la corona di fiori che è stata appesa alle

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