Linea d'ombra - anno X - n. 73 - lug./ago. 1992

LUGLIO/AGOSTO 1992 · NUMERO73 LIRE10.000 " mensile di storie, immagini, discussioni e spettacolo HAROLPDINTERIL:NUOVORDINMEONDIALE QUATTRSCORITTRIECSI:QUIVEFLA/ GUNDTEESLLERS/ODOREDKAI/RSCH "SPARTACUST"O, RIDAIUNFILMD:AFASTATRUMBOD,AKOESTLAEKRUBRICK HOBSBAWSMU:LNAZIONALISMLO.B/OBBIOIL:MARIUOLIOLP, ARTITIOL,SISTEMA SPED.IN ABB. POSTALEGR. 111-70%V. IA GAFFURIO4. 20124 MILANO

Acqua, detersivo, ammorbidente. Ora aggiungete al vostro bucato un pizzico di buon senso. Svaniscono senza lasciare traccia. Ogni anno, migliaia di kilowatt-ora e molti soldi finiscono in polvere a causa dell'uso improprio dei più comuni elettrodomestici, come la lavatrice e la lavapiatti. Ridurre questo spreco non è solo opportuno e conveniente, ma anche facilissimo. Basta, ad esempio, utilizzare lavatrice e lavapiatti il più possibile a pieno carico, oppure servendosi del tasto economizzatore, per ottenere una sensibile diminuzione dei consumi energetici. Altri piccoli accorgimenti- come usare sempre il programma più adatto senza esagerare con le alte temperature e scegliere i detersivi più efficaci- consentono un ulteriore risparmio di energia e di denaro. Risparmio che cresce ancora nel caso di una corretta manutenzione degli apparecchi, che ne mantenga perfetto il funzionamento e ne prolunghi la durata nel tempo. Questi sono solo alcuni dei consigli che possono aiutarvi ad utilizzare correttamente l'energia elettrica, senza errori e senza sprechi. Per saperne di più, basta spedire il coupon in basso. L'ENEL sta investendo molte risorse in centrali più efficienti e pulite e nella ricerca di fonti rinnovabili. E da sempre offre ai suoi -------------------------- utenti informazioni e consulenze attraverso gli oltre 600 uffici aperti al pubblico in tutto il territorio nazionale. Uniamo le nostre energie. Il consumo intelligente comincia da qui.

MariOP@Z PENISOLA PENTAGONALE NormanAutton PARLARENONBASTA L'importanza del contatto fisico e della vicinanza nelle relazioni di cura 184 pp., L. 20.000 Il rapporto medico-paziente è oggi spesso molto "freddo", dominato dagli aspetti tecnici, mediato da sofisticate apparecchiature ed espresso da tabelle, grafici e referti. Il libro di Autton presenta decine di testimonianze, indagini, ricerche e rimette al centro di tutte le relazioni di cura - con bambini, malati, morenti - l'importanza affettiva e terapeutica del contatto fisico. MarioPraz PENISOLAPENTAGONALE Prefazione di Goffredo Foti 176 pp., L. 25.000 È una Spagna diversa, quella di Mario Praz: proprio negli anni (1926-28) in cui tutta l'Europa guardava alla "penisola pentagonale" come ad una terra genuina, profonda, romantica e pittoresca, egli demoliva tutte le idee convenzionali presentando al lettore un 'immagine della Spagna estremamente moderna. CecilTodes OMBRESULLAMENTE La mia battaglia contro il Parkinson Introduzione di Oliver Sacks 200 pp., L. 23.000 Medico e psicanalista, padre di due bambini e in attesa di un terzo, a 39 anni Ceci! Todes è colpito dal morbo di Parkinson. Con il duplice sguardo di malato e di medico, l'autore racconta in prima persona vent'anni di battaglie condotte senza rinunciare al lavoro, alla vita privata e agli interessi scientifici, senza lasciare nulla di intentato e senza perdere la voglia di vivere e di sperare. PeterMayle UNANNOINPROVENZA 208 pp., L. 25.000 In un brillante racconto, ritmato dai mesi e dalle stagioni, Peter Mayle, giornalista inglese trasferitosi nella remota provincia di Lubéron, trasporta il lettore nel cuore dei piaceri della vita provenzale. Divertente occasione di confronto tra mondo e cultura anglosassone e mondo e cultura mediterranea, il libro di Mayle nel 1989 è stato proclamato il miglior libro di viaggi dal British Book Award. --~------------------------------------1 FINALMENTELEGUIDE ~ INITALIANO '-..:/ TonyWheeler,JamesLyon BALI &Lombok 352 pp., L. 35.000 TomBrosnahan YUCATAN & Cancun Sulla strada dei Maya 1 368 pp., L. 35.000 GeoffCrowther,HughFinlay TUNISIA 176 pp. L. 20.000 TonyWheeler,RichardEverist NEPAL 400 pp., L. 38.000 TomBrosnahan GUATEMALA & Belize Sulla strada dei Maya 2 304 pp., L. 29.000 PerttiHamalainen YEMEN 256 pp., L. 29.000 (uscita: settembre) 19viaAlficri, 10121 Torino, tcl.011/5621496-faxOll/545296

• MARIETTI Emmanuel Levinas Fuori dal soggetto Da Buber a Leiris, da Jankélévitch a Rosenzweig, una rilettura dei maestri che hanno influenzato il pensiero del filosofo francese d'origine lituana. Una ricognizione partecipata e eaffascinante. Franz Rosenzweig - Eugen Rosenstock La radice che porta Le lettere che Rosenzweig e Rosenstock si scambiarono dal fronte di guerra nel 1916. Un documento fondamentale per comprendere il pensiero dell'autore di La stella della redenzione. Agnes Heller - Ferenc Fehér La condizione politica postmoderna Indagini e interventi sul concetto di postrnodernità, inteso come spazio-tempo delineato da coloro che abbiano problemi o quesiti da porre alla modernità.Dall'etica del cittadino alle forme di moralità della politica, dalla giustizia sociale al ruolo dei movimenti culturali, un itinerario attraverso le "emergenze" del dibattito contemporaneo. Moshe Barash Luce e colore nella teoria artistica del Rinascimento Un saggio che ripercorre la storia della conquista di una delle concezioni più rivoluzionarie nella pittura moderna: il valore spaziale della luce. Francesco Bruni Testi e chierici del medioevo La coscienza linguistica medievale, il mito dell'amore, l'elaborazione della cultura latina da Abelardo a Petrarca e Boccaccio: dall'intreccio delle correnti culturali di un'epoca a torto ritenuta oscura, i fermenti che sono alla base della civiltà letteraria moderna. Max Kommerell Il poeta e l'indicibile Un documento raro e prezioso dell'arte dello scrivere, un saggio di interpretazione poetica da parte di un maestro della cultura europea tra le due guerre, che si propone anche e soprattutto come lezione di stile. In forma di parole Rivista trimestrale Uno spazio per la divulgazione e l'approfondimento degli aspetti insoliti e poco conosciuti della poesia di tutto il mondo. 1n questo numero testi di Max Kommerell, Martin Heidegger, Crizia, Georges Schehadé, Friedrich M. Klinger. I Amos Oz In terra d'Israele La realtà politica e sociale dello stato ebraico esaminata attraverso una serie di interviste ed impressioni raccolte ed interpretate dallo scrittore israeliano. Un suggestivo viaggio nelle ansie e nelle speranze di un paese e della sua gente. Fulvio Tomizza Destino di frontiera Dalla lontana esperienza istriana allo sfacelo della Jugoslavia odierna, la testimonianza umana e letteraria di Tomizza nel dialogo con il giovane scrittore Riccardo Ferrante. Paolo Branca Voci dell'Islam moderno Le testimonianze dei più significativi protagonisti del pensiero arabo-musulmano degli ultimi due secoli, precedute da un ampio e illuminante inquadramento di Paolo Branca. Uno strumento per capire il mondo islamico, diviso tra rinnovamento e tradizione, e le tensioni che lo agitano. Adonis Introduzione alla poetica araba Uno dei più importanti scrittori arabi contemporanei esamina i temi e le fonne di una grande tradizione pressoché ignota in Occidente. Alle radici dell'immaginario di una cultura letteraria dalle millenarie tradizioni. Paolo Dall'Oglio Speranza nell'Islam Partendo dall'interpretazione della sura XVIII del Corano, l'autore propone una chiave di lettura del tema della speranza nella religione musulmana. Alla ricerca di un dialogo tra l'attesa cristiana e i fondamenti della fede islamica. Nord - Sud Una sfida per la pace Contro i nazionalismi e i fondamentalismi dell'epoca post - comunista, saggi e interventi che collegano il problema della pace con la questione dello sviluppo del Sud e dei flussi migratori Sud - Nord. Vehudah Halewy Non nella forza ma nello Spirito Inni e poesie del poeta mistico del medioevo, nella scelta del filosofo Franz Rosenzweig e nella tradizione di Gian Domenico Cova. Un canzoniere di profonda suggestione tematica ed espressiva.

Gruppo redazionale: Alfonso Berardinelli, Gianfranco Bettin, Grazia Cherchi, Marcello Flores, Goffredo Fofi (direttore), Piergiorgio Giacchè, Gad Lerner, Luigi Manconi, Santina Mobiglia, Lia Sacerdote (direzione editoriale), Marino Sinibaldi. Collaboratori: Adelina Aletti, Chiara Allegra, Enrico Alleva, Guido Armellini, Giancarlo Ascari, Fabrizio Bagatti, Laura Balbo, Mario Barenghi, Alessandro Baricco, Matteo Bellinelli, Stefano Benni, Andrea Berrini, Giorgio Bert, Paolo Bertinetti, Francesco Binni, Lanfranco Binni, Luigi Bobbio, Norberto Bobbio, Giacomo Barella, Franco Brioschi, Marisa Bulgheroni, Isabella Camera d'Afflitto, Gianni Canova, Marisa Caramella, Caterina Carpinato, Bruno Cartosio, Cesare Cases, Roberto Cazzola, Francesco Ciafaloni, Luca Clerici, Pino Corrias, Vincenzo Consolo, Vincenzo Cottinelli, Alberto Cristofori, Mario Cuminetti, Peppo Delconte, Roberto Delera, Stefano De Matteis, Piera Detassis, Vittorio Dini, Carlo Donalo, Riccardo Duranti, Edoardo Esposito, Saverio Esposito, Bruno Falcetto, Giorgio Ferrari, Maria Ferretti, Ernesto Franco, Guido Franzinetti, Giancarlo Gaeta, Alberto Gallas, Nicola Gallerano, Fabio Gambaro, Roberto Gatti, Filippo Gentiloni, Gabriella Giannachi, Giovanni Giovannetti, Paolo Giovannetti, Giovanni Giudici, Bianca Guidetti Serra, Giovanni Jervis, Roberto Koch, Filippo La Porta, Stefano Levi della Torre, Mimmo Lombezzi, Marcello Lorrai, Maria Maderna, Maria Teresa Mandalari, Danilo Manera, Bruno Mari, Edoarda Masi, Roberta Mazzanti, Roberto Menin, Paolo Mereghetti, Diego Mormorio, Maria Nadotti, Antonello Negri, Grazia Neri, Luisa Orelli, Maria Teresa Orsi, Pia Pera, Silvio Perrella, Cesare Pianciola, Guido Pigni, Giovanni Pillonca, Bruno Pischedda, Oreste Pivetta, Pietro Polito, Giuliano Pontara, Giuseppe Pontremoli, Sandro Portelli, Fabrizia Ramondino, Michele Ranchetti, Marco Revelli, Marco Restelli, Alessandra Riccio, Fabio Rodriguez Amaya, Paolo Rosa, Roberto Rossi, Gian Enrico Rusconi, Nanni Salio, Paolo Scarnecchia, Domenico Scarpa, Maria Schiavo, Franco Serra, Joaqufn Sokolowicz, Piero Spila, Paola Splendore, Antonella Tarpino, Fabio Terragni, Alessandro Triulzi, Gianni Turchetta, Federico Varese, Bruno Ventavoli, Emanuele Vinassa de Regny, Tullio Vinay, Itala Vivan, Gianni Volpi. Progetto grafico: Andrea Rauch/Graphiti Ricerche redazionali: Natalia Delconte Pubblicità: Miriam Corradi Esteri: Pinuccia Ferrari Produzione: Emanuela Re Amministrazione: Patrizia Brogi Hanno contribuito alla preparazione di questo numero: Lugi De Luca, Marco Capietti, Barbara Galla, Laura Lepetit, Franco Matticchio, Andrea Pedrazzini, Enrico Peyretti, Alessandra Serra, Barbara Veduci, gli uffici stampa delle case editrici Einaudi, Garzanti, Longanesi, Rizzali, le redazioni de "Il Foglio" e di "Cineaste", le agenzie fotografiche Contrasto, Effige e Grazia Neri. Editore: Linea d'ombra Edizioni srl Via Gaffurio 4 20124 Milano Tel. 02/6691 132. Fax: 6691299 Distrib. edicole Messaggerie Periodici SpA aderente A.D.N. - Via Famagosta 75 - Milano Tel. 02/8467545-8464950 Distrib. librerie PDE- Viale Manfredo Fanti 91, 50137 Firenze -Tel. 055/587242 Stampa Litouric sas - Via Rossini 30 Trezzano SIN - Tel. 02/48403085 LINEA D'OMBRA Iscritta al tribunale di Milano in data I 8.5.87 ai n. 393. Direttore responsabile: Goffredo Fofi Sped. Abb. Post. Gruppo III/70% Numero 73 - Lire 10.000 Linea d'ombra è stampata su carta riciclata Freelife Vellum white - Fedrigoni LINEDA'OMBRA anno X luglio/agostol992 numero 73 4 8 11 14 17 Luigi Bobbio Eric J. Hobsbawm Mimmo Lombezzi Joaquin Sokolowicz Aldo Bodrato CONFRONTI Il mariuolo, il partito e il sistema Nazioni e nazionalismo, oggi a cura di Federico Varese Guerre Sante. Diario jugoslavo Licio Gelli in Argentina. Note di fantapolitica Il lembo del mantello. Il card. Martini e la comunicazione 19 Goffredo Fofi "Linea d'ombra" segnala ... 21 Tiziano Scarpa La cosiddetta realtà, e alcuni libri che la raccontano 24 Silvia Calamandrei Un cielo coperto di nubi. I ricordi di Yang Jiang 29 Vincenza Mantovani Jerzy Kosinski dalla Polonia agli Usa 33 Eugenio Barba Il popolo del rituale. Teatro e strutturalismo e A. Oboe su Chinua Achebe (a p.26), P. Bertinetti sui libri di viaggio (a p.27), M. Barenghi sul romanzo di Angioni (a p.28). Gli autori di questo numero (a p. 110). ENGLAND VIRSUS ENGLAND 40 41 51 67 78 90 95 Francesco Binni lvy Compton-Burnett Wyndham Lewis Edward Upward Harold Pinter Sarah Kirsch Jan "Zahradnicek STORIE 75 Harold Pinter 79 Mercé Rodoreda 84 Lygia Fagundes Telles 87 Laura Esquivel SAGGI 98 99 103 Marcello Flores Da/ton Trumbo Duncan Cooper SCIENZA 108 Enrico Alleva Modernisti e Trentisti Una donna dal carattere irreprensibile incontro con Kay Dick Soldato d'umorismo con una nota di Roberto Cagliero Paesaggi di cartapesta con una nota di Francesco Binni Football americano Volevo uccidere il mio re e altre poesie seguite da Ma la speranza vuole danzare a cura di Franca Cavagnoli Il segno del potere a cura di Giovanni Giudici Il nuovo ordine mondiale con una nota di Paolo Bertinetti Paralisi Le ciliege Intime succulenze Le battaglie di "Spartacus" Gladiatori nell'arena di Hollywood Il "grande Spartacus" e il "piccolo Spartacus" Gli ottimisti e i pessimisti: Fast e Trumbo contro Koestler e Kubrick Uomini e uccelli. Passeggiando a Villa Torlonia La copertina di questo numero è di Pia De Valentinis. I manoscritti non vengono restituiti. Si pubblicano poesie solo su richiesta. Dei testi di cui non siamo stati in gado di rintracciare gli aventi diritto, ci dichiariamo pronti a ottemperare agli obblighi relativi.

IL CONTESTO Il mariuolo, il partito e il sistema Luigi Bobbio È difficile dare risposte adeguate allo scandalo milanese. Non mi riferisco solo alle risposte politiche. C'è, prima di tutto, un problema di analisi. Di fronte al mondo disvelato dai giudici milanesi, ci rendiamo istintivamente conto che bisogna ripensare ai termini con cui abbiamo finora descritto il nostro sistema politico, i partiti e la democrazia. Intuiamo che qualche passaggio traumatico deve essere avvenuto a nostra insaputa e che l'attuale sistema di selezione della classe politica e di decisione ha ormai poco a che spartire con quello che abbiamo conosciuto (o descritto) nel passato. Ma fatichiamo a trovare le parole adatte. I partiti continuano nelle loro vecchie logiche come se i fatti milanesi fossero un incidente (anche molto grave) che non rimette in discussione la loro natura e i loro rapporti reciproci. La maggior parte dei commentatori finisce per assecondarli prendendo sul serio le loro strategie ed evitando di connetterle alle reti affaristiche occulte sulle quali esse si fondano. Le spiegazioni dei fenomeni corruttivi che sono circolate in questi mesi sono infatti riduttive e minimizzatrici. Non perché non riconoscano la serietà del male, ma perché lo interpretano come un'infezione che rimane a lato del sistema politico, senza intaccarne le tradizionali modalità di funzionamento. Gli argomenti che ricorrono con più frequenza possono essere ricondotti a quattro diverse teorie della corruzione che possiamo designare rispettivamente come: a) la teoria del mariuolo, b) la teoria dei costi della politica, c) la teoria del rispecchiamento, d) la teoria delle mani slegate. Proviamo a discuterle separatamente, insieme ai rimedi che ciascuna di esse suggerisce. La teoria del mariuolo La teoria del mariuolo è stata enunciata per la prima volta, in questa forma, da Craxi dopo l'arresto di Mario Chiesa. Su di essa si è talmente ironizzato negli ultimi mesi, che verrebbe la tentazione di non prenderla neanche in considerazione. Ma sarebbe un errore perché, malgrado costituisca il tentativo più rozzo e sbrigativo di liquidare la faccenda, continua ad essere la più seguita dai leaders politici- almeno come prima linea di difesa - anche se spesso anche sotto altre formulazioni (teoria della mela marcia; teoria della pecora nera) e apre, suo malgrado, qualche spiraglio nella comprensione dei fenomeni di corruzione. Secondo la teoria del mariuolo, la corruzione è spiegata dall'esistenza dei corrotti. L'emergere di questi ultimi non ha bisogno di essere spiegato perchè si dà per scontato, realisticamente, che dove circolano soldi e potere possano infiltrarsi individui senza scrupoli. Quello che la teoria afferma invece con forza è che è sempre possibile tracciare una netta linea di demarcazione tra i corrotti e gli onesti (tra i quali si colloca automaticamente chi enuncia la teoria): la corruzione può essere anche molto diffusa, ma esiste sempre una parte sana in ciascun partito. La terapia conseguente consiste nel tagliare risolutamente la parte infetta; cosa che tutti i partiti si affrettano a fare, ma - e qui sta il problema - solo dopo che i corrotti sono stati scoperti dalla magistratura. Non èmai accaduto che un partito li individuasse e colpisse di sua iniziati va (l'unica eccezione -di cui va dato atto - è quella di Giorgio La Malfa nei confronti di Gonnella). 4 La teoria del mariuolo si rivela perciò come un'arma a doppio taglio. Vorrebbe circoscrivere il fenomeno, ma finisce per metterne in luce alcuni aspetti inquietanti. Mostra che normalmente i partiti convivono con i corrotti e non posseggono alcuno strumento per proteggersi da essi. Lascia intendere che un'intera classe di individui, non identificabile, né delimitabile dai partiti stessi, opera al loro interno prevalentemente con scopi affaristici e mezzi illeciti. Anzi, proprio nel concentrare l'attenzione sulla figura del corrotto, questa teoria finisce per sollevare involontariamente una serie di domande imbarazzanti: come nasce il mariuolo? quali risorse usa per la sua affermazione? che rapporto intrattiene con i partiti? in che misura contribuisce a trasformarli? Proprio ponendosi su questo terreno, Alessandro Pizzorno, a conclusione di una ricerca sulla corruzione in Italia, ha ipotizzato che se i corrotti sono per lo più homines novi di oscure origini sociali che, essendosi separati dai propri gruppi di provenienza, possono pagare un basso costo morale per le loro pratiche illecite, non sono tuttavia figure marginali nei partiti, ma ne costituiscono sempre di più l'ossatura. I politici d'affari, grazie alla disponibilità di denaro e alle "risorse di relazione" che sono in grado di coltivare, si rivelano più forti dei politici esperti e dei politici d'immagine. Nell'habitat della foresta politica il processo di selezione naturale va tutto a vantaggio dei primi: i politici cattivi tendono a scacciare i politici buoni. Serve dunque poco mettere all'indice le mele marce, perché da esse si dirama una trama ben più estesa. Né è possibile stabilire una linea di confine tra la parte infetta e la parte sana. Non tutti rubano. Quasi tutti si avvantaggiano in un modo o nell'altro delle reti occulte e dei rapporti fiduciari costruiti da faccendieri e politici affaristi. · La teoria dei costi della politica Quando l'argomento della mela marcia fallisce, si ripiega solitamente su un'altra strategia argomentativa che tende ad imputare la corruzione a fattori di ordine ambientale. Si tratta di una strategia rischiosa, perché riconosce esplicitamente la pervasività delle pratiche illecite (cosa che l'immagine del mariuolo cercava invece di negare), ma ha il vantaggio di scaricarne le responsabilità sul sistema, sgravando i singoli individui. Tra le teorie sistemiche della corruzione, la più circostanziata è quella dei costi della politica. Paradossalmente - si dice - le democrazie moderne si fondano sui partiti, ma non si preoccupano dei costi che le organizzazioni politiche di massa comportano. Anzi rimuovono completamente il problema. È quindi del tutto naturale che attorno al finanziamento dei partiti, dei loro organi di stampa, dei loro congressi ecc. (tutte attività non solo lecite ma indispensabili perii buon funzionamento del sistema) si sviluppino pratiche sporche, ai margini della le,tsalità.La corruzione è dunque figlia dell'imprevidenza delle democrazie. Ma questa spirale perversa può essere fermata, tanto agendo sul lato delle entrate, quanto sul lato delle spese. Si possono offtire adeguate risorse legali ai partiti sotto forma·di contributi pubblici (secondo il modello adottato nel 1974, ma in misura irrisoria, con il finanziamento pubblico dei partiti). Si possono

portare alla luce del sole, con opportune regole e controlli, i contributi che i privati versano attualmente ai partiti in forma occulta e attraverso scambi illeciti (secondo il modello americano). Si può infine cercare di trasformare i partiti in organizzazioni leggere, riducendone i costi (secondo il modello proposto da Achille Occhetto). Una visione realistica della democrazia non dovrebbe scartare pregiudizialmente nessuno di questi rimedi. Dopotutto se i partiti esistono e svolgono funzioni utili, bisognerebbe permettere loro di guadagnarsi da vivere onestamente. Ma tali soluzioni toccano solo un aspetto, ormai decisamente marginale, della questione. È infatti evidente che nello scandalo milanese così come in altri casi consimili, i proventi della corruzione non sono destinati che in minima parte ai partiti. Il grosso dei ricavi va invece a finanziare le carriere individuali di singoli personaggi. Non servono a coprire un costo, ma a realizzare un investimento. Il denaro che viene sottratto al circuito legale dà luogo a una sorta di accumulazione originaria, che in parte verrà convertita direttamente in incarichi pubblici (attraverso l'elezione propria o di persone arniche) e in parte servirà a impiantare vere e proprie imprese economiche, specialmente nel settore dell'intermediazione pubblica (consulenze, brokeraggio, forniture ecc.), che daranno al politico d'affari una posizione più solida nella sua carriera o un sicuro avvenire nel caso che questa - come non è impossibile - dovesse interrompersi. Le reti fiduciarie che si costituiscono attorno a questi meccanismi non sono immediatamente identificabili con i partiti e neppure con le loro correnti, anche se li intersecano immancabilmente. Sono piuttosto cordate raccolte attorno a imprenditori politici che spesso travalicano i confini tra i partiti come la commistione tra comunisti (ora pidiessini), socialisti e democristiani nel caso milanese mostra inequivocabilmente. Certamente, una parte di quei proventi va anche alle federazioni di partito per finanziare le loro tradizionali attività: le sedi, i funzionari, la propaganda. Ma anche in questo caso si ha l'impressione che il finanziamento sia in qualche modo un atto discrezionale, da cui il donatore si attende prima o poi qualche contropartita. I politici d'affari non agiscono come funzionari del partito o suoi rappresentanti (com'erano gli antichi e spesso corrotti segretari amministrativi dei partiti), ma piuttosto come liberi professionisti dell'intermediazione che ripartiscono i ricavi della corruzione secondo criteri di convenienza, più che di fedeltà. Abbiamo tutti un'idea dei canali occulti attraverso cui una volta venivano finanziati i partiti. Che si trattasse di fondi neri dell'Iri, di contributi ai partiti fratelli, di import-export con l'Urss o di sovvenzioni della Cia, il denaro veniva procacciato e gestito in forma centralizzata e serviva in sostanza a rafforzare i gruppi dirigenti. Ma è chiaro che il fenomeno delle tangenti milanesi è un'altra cosa. Qui si assiste infatti all'estrazione sistematica di plusvalore da ogni minima transazione pubblica, da parte di chiunque si trovi nelle condizioni di esigere la taglia. E d'altra parte come spiegare il fatto che il giro d'affari della corruzione aumenta, proprio in un periodo in cui gli apparati dei partiti si assottigliano, calano gli iscritti e si chiudono le sezioni? Non va trascurato un ultimo "costo" che forse incide poco sul piano quantitativo, ma che è molto rilevante sul piano della sociologia delle élites. Una parte dei proventi della corruzione è infatti comunque destinata ad elevare il tenore di vita dei corrotti. Siamo lontani anni luce da quelle storiche figure di amministratori di partito che magari manovravano fondi occulti e compivano malversazioni, ma contemporaneamente IL CONTESTO Il giudice Di Pietro in uno foto di luigi Baldelli !Contrasto) viaggiavano in seconda classe. I politici d'affari di oggi pretendono, forse non del tutto irragionevolmente vista la società in cui vivono, di disporre di tutti gli status symbols della classe dirigente. Partecipano a consigli di amministrazione, deliberano su miliardi, entrano in quotidiano contatto con i potenti. Perché dovrebbero vivere al di sotto delle condizioni dei loro colleghi, dirigenti del settore privato? Non sarebbe impossibile mettere in qualche modo sotto controllo le risorse dei partiti. Ma come controllare il bisogno individuale di investimento e di consumi di lusso espresso dal nuovo ceto politico? La teoria del rispecchiamento Non c'è dibattito televisivo in cui il politico di turno, messo alle strette, non pronunci prima o poi la fatidica frase: "in fondo i politici non sono peggiori della società che li esprime, anzi la rispecchiano". È questa la seconda - e per la verità più generica - teoria sistemica della corruzione. Essa dice semplicemente: la corruzione è tra voi. Questa teoria ha il difetto di non proporre rimedi, ma ha il pregio di bloccare uno dei più forti argomenti sostenuti dagli avversari: quello che contrappone una società civile buona ad una società politica corrotta. Ed ha inoltre il vantaggio di far leva sulla pessima auto-considerazione che gli italiani hanno di se stessi e delle proprie virtù civiche. Dopotutto sono almeno cinquecento anni che si discute del particolarismo e dello scarso senso del pubblico che caratterizza la nostra società, e non saremo certo noi a negare la fondatezza di tali diagnosi. Ma il punto è un altro. È difficile dire se la società politica è migliore o peggiore della società civile. Possiamo però dire con certezza che essa si è costituita come società separata, autoreferenziale e solidale al suo interno. Si è insomma costituita in ceto. Intendiamoci, una certa separatezza tra il mondo dei politici e quello dei cittadini è sempre esistita. Ma fino a un recente passato è probabile che i legami verticali tra i dirigenti politici e la loro base fossero più solidi e importanti di quelli orizzontali tra politici di partiti diversi. Ora la situazione si è capovolta. I legami del primo tipo sono quasi del tutto scomparsi, insieme alle ideologie e alle appartenenze che li sostenevano; mentre la comunità di ceto è l'unica che gli uomini politici conoscono e praticano, in una sorta di consociati vismo affaristico che è la vera nota dominante di questi anni. Si stemperano i confini trai partiti, si accentua il fossato con il resto della società. 5

IL CONTISTO Mettere l'accento sulla separatezza del ceto politico non significa dire che i politici non abbiano legami di massa. Ad ogni elezione il successo dei signori delle preferenze ce lo ricorda crudamente. Ma tale legame si fonda sempre di meno sulla comune appartenenza e sempre di più sulla differenza. È un vincolo di tipo feudale tra chi dispone delle risorse messe a disposizione da incarichi pubblici e chi è costretto ad accettarne la protezione, tra chi si fa baciare le mani e chi le bacia. Il rapporto clientelare può apparire bilaterale (come sostengono i fautori delle teoria del rispecchiamento), ma è in realtà fondato su un evidente squilibrio. Di per sé il ceto politico non è forse peggiore della società civile, ma probabilmente contribuisce a peggiorarla. È un mondo a parte che maniP..oladall'alto i bisogni sociali a scopo privato. Una versione particolare della teoria del rispecchiamento mette sotto accusa una componente specifica della società civile, anzi quella che viene spesso considerata come la sua espressione più significativa, ossia le imprese. La responsabilità ~ella corruzione - si dice- ricade prima di tutto sui corruttori. E interessante notare come questa tesi abbia trovato orecchie attente nella vecchia sinistra, in virtù delle potenzialità anticapitalistiche in essa contenute, e non senza una certa solidarietà verso un ceto politico che con tutti i suoi difetti continua a rappresentare le ragioni del pubblico nei confronti del privato. E tuttavia la questione se prevalgano i corruttori privati o i taglieggiatori pubblici non può essere risolta se non caso per caso. Si potrebbe se mai ipotizzare che la fitta rete di scambi tra i due mondi, quello politico e quello delle imprese, abbia finito per consolidare un complesso politico-affaristico, in cui la classica contrapposizione tra pubblico e privato ha ceduto il campo ad un'ampia zona grigia senza nette distinzioni di ruoli. La vera novità del caso milanese non consiste però nell'aver rivelato come un ceto politico agguerrito e indistinto si sia sostituito ai tradizionali partiti, ma nell'averne dimostrato l'intrinseca fragilità. L'ampiezza dello scandalo non è infatti stata determinata solo dall'ampiezza del fenomeno, ma soprattutto dal fatto che i protagonisti hanno parlato. Obiettivamente era difficile immaginarsi un crollo così repentino. Qualcuno ha giustamente osservato che questa circostanza esclude di assimilare la rete affaristica milanese alla mafia: i mafiosi infatti non parlano. Ma anche i funzionari dei partiti storici non avrebbero parlato. Il paradosso milanese sta nell'esistenza di una trama ampissima di relazioni illecite, in cui nessuno sembra in grado di premiare adeguatamente la fedeltà o di sanzionare il tradimento. Non ci sono più i vecchi partiti con le loro appartenenze ed i loro .sistemi di premi e sanzioni. E ~r fortuna) non c'è ancora la mafia con le sue ritorsioni mortali. E piuttosto un mondo popolato da battitori liberi che giocano in proprio e che possono uscire dal gioco sulla base di puri calcoli egoistici. I politici d'affari si sono liberati dai partiti o li hanno trasformati a propria immagine e somiglianza, ma così facendo hanno finito per segare il ramo sui cui stavano seduti. Non è un caso che il silenzio sia stato mantenuto soltanto da parte di un esponente della Fiat, ossia dell'unico partito leninista rimasto sulla scena in Italia. La teoria delle mani slegate L'ultima teoria che dobbiamo prendere in considerazione è quella che imputa la corruzione a difetti del disegno istituzionale. A differenza della polizia dei film con F__rancoNero che non può difendere i cittadini perché ha le mani legate, i politici - si afferma - non riescono a perseguire il bene comune per la ragione diametralmente opposta, ossia perché hanno le mani troppo libere. L'assenza di regole che aiutino a canalizzare le domande politiche in un gioco chiaro e prevedibile, fa sì che 6 ognuno sia costretto ad arrabattarsi, con i mezzi che ha a disposizione, pernon soccombere di fronte ad avversari altrettanto liberi e spregiudicati. Come Ulisse di fronte al canto delle sirene o come Vittorio Alfieri di fronte alle lusinghe della vita mondana, anche i politici vorrebbero essere legati da regole più salde che li difendessero da loro stessi. Finora tale rimedio non è stato messo in pratica, un po' perché i politici sembrano non possedere la stessa ferrea volontà di quegli illustri esempi, un po' perché non sanno bene quali corde e quali nodi usare. In certi casi si ha l'impressione che essi siano soprattutto preoccupati di legare i loro avversari più che se stessi e ciò genera un clima di comprensibile sospetto. Ciò nonostante la teoria delle mani slegate (o del deficit istituzionale) costituisce a tutt'oggi la spiegazione più generalmente condivisa dei fenomeni corruttivi, soprattutto per i risvolti propositivi che essa implica. Se la democrazia è un sistema di regole, è del tutto conforme ai principi cercare una risposta sul piano istituzionale. Essa ha infatti il vantaggio di non pretendere la virtù, ma di farla scaturire dalla necessità. Ma bisogna fare attenzione a non sbagliare bersaglio. Le proposte di riforma istituzionale attualmente in discussione immaginano tutte di dover imbrigliare un sistema basato sull'invadenza e l'arroganza dei partiti (la partitocrazia) al fine di ridurne la complessità e di favorire l'efficienza delle decisioni pubbliche. Ma è un 'analisi giusta? Le osservazioni fin qui svolte mostrano invece che le tradizionali strutture partitiche si stanno dissolvendo in una pluralità di cordate, mal distinguibili per gli stili d'azione politica praticati, ma in serrata competizione tra di loro. Una riforma elettorale potrebbe ridurre il numero dei partiti o addirittura dividere l'intero sistema politico in due soli blocchi (la "sinistra" e la "destra"), ma siamo sicuri che il numero dei centri reali di potere diminuirà anch'esso? E siamo sicuri che le differenze tra di essi saranno riconducibili a qualche forma di progetto politico e non solo a pure ragioni di potere? Alcune riforme potrebbero rivelarsi addirittura controproducenti. L'idea di eleggere i deputati in collegi uninominali è del tutto appropriata, se si pensa che che il problema principale è quello di diminuire il potere delle segreterie di partito e di restituire agli elettori la possibilità di scegliere direttamente le persone sulla base delle loro qualità. Ma se pensiamo che la politica sia ormai fatta più che dai partiti da singoli capi-cordata, sulla base di risorse personali, c'è il concreto pericolo che il nuovo sistema ne favorisca semplicemente l'ascesa e finisca per rafforzare le tendenze affaristiche già in corso. Che cosa accadrebbe se in un collegio fossimo chiamati a scegliere tra due boss la cui unica differenza consiste nel fatto di essere nominalmente affiliati a due partiti diversi, che solo per inerzia continuiamo a considerare di sinistra o di destra? Uno degli obiettivi fondamentali delle riforme istituzionali è quello di ridare efficienza alle decisioni pubbliche, attraverso il rafforzamento degli esecutivi, la loro sottrazione alle contrattazioni tra i partiti e la formazione di maggioranze stabili. Si tratta di preoccupazioni tutt'altro che irragionevoli. Ma la qualità delle decisioni dipende anche dalla qualità dei decisori, che appare fortemente compromessa dagli attuali meccanismi di selezione del personale politico. I meccanismi tradizionali premiavano la fedeltà e l'appartenenza. I meccanismi attualicom'è stato ampiamente dimostrjltO da una recente ricerca - premiano l'imprenditorialità dei rampanti, le cui principali risorse sono l 'arroganzae la capacità di gestire reti di "amicizia". È insomma necessario capire chi esattamente va legato e come. O, in altre parole, prendere atto del mutamento genetico che si è verificato dentro il nostro sistema politico. Altrimenti il vizio riuscirà a sottrarsi alla necessità e a riprodurre effetti perversi anche all'interno del nuovo contesto istituzionale.

IL CONTESTO Nazioni e nazionalismo, oggi Incontro con Eric J. Hobsbawm a cura di Federico Varese Eric J. Hobsbawm è uno degli storici europei più noti e quasi tutte le sue opere sono state tradotte in italiano: Le rivoluzioni borghesi: 1789-1848 (1962), / banditi (1969), Il trionfo della borghesia, 1845-1875 (1975) ecc. La sua biografia umana e intellettuale si intreccia con istituzioni e città che evocano fascino e impegno civile: Alessandria d'Egitto, dove è nato nel 1917, la Berlino degli anni Trenta. dove ha frequentato il liceo, il King's College di Cambridge, dove si è laureato, e infine Londra, dove ha insegnato al Birkbeck College, uno dei pochi College dell'Università di Londra che offre corsi serali agli studenti-lavoratori. Quella che segue è la sintesi di una lunga conversazione avuta con Hobsbawn all'inizio di quest'anno nel suo studio di Londra. L'intervistatore era appena emerso dalla lettura del volume sul nazionalismo, Nazioni e nazionalismo dal 1780 (Cambridge University Press, 1990, tradotto in italiano da Einaudi), e cercava di cogliere, a voce alta, i problemi che quell'opera pone e le prospettive che apre. Professor Hobsbawn, in molte parti del mondo si assiste alla "rinascita del nazionalismo". Da dove si deve partire per fare un po' di chiarezza? Innanzi tutto è necessario distinguere tra il senso di appartenenza ad un particolare popolo o gruppo etnico e l'aspirazione a formare uno stato territoriale indipendente. Ad esempio, nel 1917, durante le uniche libere elezioni che si sono tenute in Russia, le elezioni per l'assemblea costituente. vi era un forte sentimento nazionale in Ucraina, molto più che altrove. Se gli Ucraini avessero avuto la scelta, avrebbero votato per un partito rivoluzionario socialista ucraino, piuttosto che per un semplice partito rivoluzionario socialista. Eppure, lo studioso che ha analizzato questi dati ha mostrato che non vi era un forte sentimento separatista tra tutti gli Ucraini. L'aspirazione separatista era molto maggiore nelle zone occidentali, prima appartenute all'impero asburgico. Non vi è dunque nessun automatismo. In determinate situazioni, i sentimenti di appartenenza ad una comunità possono essere tradotti in movimenti separatisti, ma questa non è una legge universale. Tutto ciò è tanto più vero per i popoli che potremmo chiamare 'non storici', i quali non possono rifarsi ad uno stato nazionale pre-esistente. Non è mai esistita una nazione ucraina e per quello che posso capire uno Stato armeno per molto tempo non è apparso sulle carte geografiche. Ciò non toglie che gli Armeni si sentissero tali. Quindi le nazioni non sono un'entità naturale. No, le nazioni sono lungi dall'essere un'entità naturale. Questo è molto importante e tutti dovrebbero tenerlo a mente. I sentimenti etnici, o, diciamo, i sentimenti di identità collettiva possono forse essere considerati naturali, o perlomeno universali. Nondimeno, essi mutano e in moltissimi casi non sono neppure particolarmente antichi. Mettiamola così: posso convenire che il sentimento di appartenenza ad una collettività sia piuttosto universale nelle società, poiché è sempre esistito un gruppo, un 'noi', contrapposto ad un certo 'loro'. Questo sentimento di per sé non implica un particolare esito politico; oggi senza dubbio esso produce effetti politici, ma non vi è nulla di necessario ed automatico in tale sbocco. Non possiamo stabilire un a priori universale. Il nazionalismo è un programma politico tra i tanti, non una dimensione innata degli esseri umani. Tale programma, inoltre, non ha senso se non auspica la costruzione di uno stato territoriale. Sentimento di appartenenza e programma politico possono in certe situazioni andare di pari passo, ma ciò è del tutto contingente. L'Italia è un ottimo esempio di identità nazionale che si è sviluppata piuttosto tardi, soprattutto al di fuori della classe media colta. Senza dubbio non esisteva ali' epoca del Risorgimento. Lei nel suo libro sostiene che l'Italia ha trovato un cemento reale solo con la televisione. · La televisione ha creato una lingua nazionale, diffusa in tutta la penisola. In effetti non è una mia idea, ma l'ho tratta da un saggio di Antonio Sorella, che cito. Ma vi è di più: la consapevolezza di essere 'Italiani' si sviluppò molto tardi. Penso che molti, almeno fino al 1914, considerassero l'esercito italiano come un esercito straniero. 'Questi sono Piemontesi' devono aver pensato. Come nacque l'identità italiana? In due modi: innanzi tutto la presenza di un partito socialista Erie J Hobsbawm in una foto di Jerry Bauer (Archivio Einaudi) 7

IL CONTESTO 'italiano', non pugliese o siciliano, e più tardi il fascismo diedero un grande impulso alla formazione di questa identità. Mi pare fuor di dubbio che almeno gli emigranti che si trovavano qui in Inghilterra cominciarono a sentirsi italiani - e non lucchesi o calabresi - coll'avvento del fascismo. Il suo lavoro sul nazionalismo consiste in una potente decostruzione del concetto di nazionalità e mostra come queste identità siano storicamente contingenti. Non è possibile estendere questo sforza anche al concetto di etnia, cheprecede quello di nazionalismo? Costruire nuove identità non è troppo difficile; alcune però hanno maggior successo di altre. Ad esempio, non vi è alcun precedente per una identità lombarda. Si può sostenere che vi è un certa sostanza storica per l'identità piemontese o toscana, ma la Lombardia era solo un'entità amministrativa. Ovviamente, fino a che un'entità amministrativa chiamata Uzbekistan non esiste, essere Uzbeko significa qualcosa completamente differente. Dunque è possibile sostenere che gli stessi sentimenti etnici sono contingenti, plastici, e ammettono una molteplicità di sfumature e di sovrapposizioni. Le identità etniche che escludono altre identità sono piuttosto rare, ma nondimeno in certe circostanze alla gente è chiesto di scegliere tra diverse identità, anche etniche. Naturalmente è possibile avere una molteplicità di identità etniche, fintantoché esse non entrano in conflitto tra loro. Per esempio, era possibile essere un tedesco-americano, e non vi era bisogno di scegliere fino a quando gli Stati Uniti non entrarono in guerra con la Germania. A quel punto bisognava scegliere. Io credo che sia perfettamente possibile avere non solo due, ma più identità allo stesso tempo. ... El' obbligo della scelta fu dovuto ad unfatto eminentemente politico, come una guerra. Un caso di potenziale identità nazionale che non è mai emersa compiutamente mi pare quella siciliana. Sì, è vero, nonostante vi sia stato un po' di 'separatismo'. In effetti, mi pare che in Italia vi siano forti identità locali (il campanilismo) e alcune identità regionali. E difficile dire, in astratto, quando nasce la scintilla separatista. La grande autonomia regionale di cui hanno goduto e godono la Sicilia e la Baviera in Germania ha frenato il movimento separatista, mentre in Sardegna vi sono state maggiori spinte autonomiste, se non separatiste. Senza dubbio, essi si senti vano e si sentono 'Sardi, non Italiani'. Eppure anche la Sardegna è tutt'altro che omogenea linguisticamente: esiste non una lingua sarda ma diversi dialetti, come il logodurese, il campidanese e il gallurese, oltre al genovese, diffuso a Carloforte. Ad Alghero, inoltre, si parla ancora il catalano. Ciò dipende dal fatto che non si è mai avuto un movimento propriamente nazionalista in Sardegna, con intellettuali nazionalisti. Essi non sono riusciti a creare una lingua letteraria sarda. In Irlanda si ebbe un problema simile: il movimento nazionalista emerse prima del pieno sviluppo della lingua. Ancora non avevano avuto la possibilità di unificare i vari dialetti e creare una lingua propria. Tutto ciò avvenne molto più tardi e lasciò ampie tracce anche nell'ortografia.Quest'ultima è molto più complessa di quella che sarebbe altrimenti stata, poiché si dovette improvvisare l'irlandese come lingua nazionale molto tardi. Di solito, al contrario. il processo di formazione di un idioma letterario precede l' indipendenza. Il ruolo degli intellettuali è dunque cruciale. In fondo, gli intellettuali sono i 'sacerdoti della lingua'. Il ruolo degli intellettuali è centrale. Scrittori e storici, soprattut8 to. Noi storici forniamo la materia prima. Senza il passato non vi sarebbe la nazione. E il passato è costruito, se non inventato del tutto. Naturalmente. Gli storici sono coloro che costruiscono il passato, ma sfortunatamente gli storici professionisti non costruiscono il passato che i nazionalisti vorrebbero. Nondimeno, coloro che costruiscono il passato sono ricercatori e scrittori. Altrimenti rimarrebbe ben poco del passato, solo vaghi ricordi. Il saggio di Ernest Renan, Che cos'è una nazione? ( 1882), che Lei riprende nel suo libro, mi sembra molto chiaro a questo proposito. Sì. esso rimane uno dei migliori scritti su questo argomento, un esercizio di altissima classe. Renan non solo ci ricorda che la storia nazionale si fonda su un'amnesia condivisa, su la rimozione di certi eventi, ma mostra anche l'impossibilità di avere un paese etnicamente puro ... Purezza che i nazionalisti cercano in tutti i modi di accreditare. Naturalmente Renan pensava, come ogni francese a quel tempo, ai problemi della Francia dopo le guerre franco-prussiane. Rimane però che le intuizioni di quel saggio si sono poi rivelate particolarmente fruttuose. Oltre alla lingua ed alla storia, un gruppo etnico, una potenziale nazione ha bisogno anche di un nome. Un nome. senza dubbio. Non è però chiaro quando i nomi vengono creati. Immagino che i Baschi avessero un nome ma non un paese. Probabilmente essi dicevano 'sono Basco', ma non avevano necessariamente un nome in basco per il paese. Questo fu inventato da un nazionalista. D'altra parte è possibile, in luoghi come l'Europa, dove vi è una lunga storia di cultura scritta, che esistano nomi storici, i quali assumono significati diversi col passare del tempo, come francese, tedesco, inglese. Ciò che si intendeva per Germania nel dodicesimo secolo era diverso da ciò che si intendeva per Germania nel quattordicesimo o nel ventesimo. Senza dubbio, Italia era un nome, ma gli italiani non esistevano. Nel 1815 Metternich aveva ragione quando disse che l'Italia era un'espressione geografica. Poteva essere un'aspirazione, ma sostenere che vi fosse un popolo italiano mi sembra difficile. Si può forse dire che il 'popolo italiano' era costituito dal ceto colto, ma indubbiamente esso era composto da una piccolissima parte della popolazione. Queste entità, i gruppi etnici epoi nazionali, che al momento del loroformarsi sembrano così plastici, poi si pietrificano, diventano tenaci, duri a morire. Perché? Un certo punto inizia un processo di istituzionalizzazione ed è allora che i gruppi si 'pietrificano', come dice lei. Un problema interessante è vedere cosa accade a questi gruppi se non si istituzionalizzano. Vede. forse non ne so abbastanza, eppure a me pare che scompaiano, si mischino ad altri. Si mette in moto un processo di contaminazione, attraverso matrimoni misti, ad esempio. In alcuni casi, come nei vecchi stati-nazione, plurilinguismo, identità multiple, contaminazione erano dati di fatto, accettati senza obiezioni di sorta. È solo ad un certo punto che l'abitante della Francia deve diventare Francese, e condividere certe caratteristiche specifiche. A me pare che la richiesta di omogeneità etnica, linguistica e culturale fa del gruppo sociale un'entità che esclude altri soggetti. Non tutti i gruppi però si 'pietrificano' nello stesso modo. La questione interessante è capire quali minoranze sono più

prone a 'pietrificarsi', a mobilitarsi e perché. Ad esempio, in Inghilterra, oggi i mussulmani tendono ad organizzarsi come minoranza autonoma, come gruppo di pressione, molto più che gli Indù. Perché non lo so. Non vi è dubbio che la combinazione di etnia e religione sia molto potente e spesso non si sa se ci riferiamo a gruppi etnici o religiosi. Eppure alcuni mussulmani si organizzano più di altri. Direi che i mussulmani pakistani tendono ad organizzarsi molto di più dei mussulmani del Bangladesh. È possibile vivere senza sentimenti etnici? La tesi che si possa vivere senza identificazione etnica è stata avanzata con molta forza e va presa sul serio. Non vi è dubbio che - se si deve avere una società -, essa deve basarsi su alcuni sentimenti di appartenenza, forti e condivisi. Credo sia un errore pensare che questo sentimento scompaia del tutto, anche tra coloro che credono in idee o movimenti sovranazionali, come era una volta l'identificazione di classe. La chiesa cattolica è una grande organizzazione internazionale, peraltro in ottima salute di questi tempi. Non nego che il papa, in quanto tale, deve agire come il capo di una organizzazione completamente internazionale, eppure non si può negare che Giovanni Paolo II sia un uomo della Polonia, che ha forti sentimenti verso il suo paese. Tra l'altro, mi sembra del tutto ragionevole. Il problema non è se queste persone hanno dei sentimenti di tale natura, poiché nessuno può impedire loro di averli; e non è neppure necessario che questi sentimenti siano indirizzati verso una nazione nel senso classico. Il problema sono le implicazioni politiche di questi sentimenti ed è qui che essi devono essere trattenuti. Mi pare stupido pretendere che un uomo che viene eletto Disegnodi SelçukIdo "LeMonde diplomotique"J. IL CONTESTO papa debba smettere di sentirsi polacco, italiano o francese. Eppure deve cambiare nome, assumere simbolicamente un nuovo io... Non vi è dubbio che il papa non possa agire esclusivamente come cittadino polacco. Egli deve, in virtù del ruolo che ricopre, promuovere gli interessi eterni ed universali della Chiesa: ma perché chiedergli di smettere di sentire ciò che ovviamente egli sente? In ogni modo, non potrebbe avere sentimenti diversi. Sono le conseguenze di questi sentimenti che possono essere molto negative. A quali conseguenze si riferisce? Penso a conseguenze di tipo politico e di tipo intellettuale. La ragione per cui le conseguenze politiche possono essere particolarmente negative mi pare ovvia. Per quanto attiene alle seconde, io trovo, come storico. che ogni forma di dialogo mi è preclusa con persone che ritengono primaria l'identità nazionale o di gruppo. Queste non sono posizioni intellettuali. In altre parole, non è possibile comprendere il mondo se si guarda ad esso da un punto di vista che per definizione esclude gran parte del mondo stesso. Un giornalista americano una volta disse, in un contesto del tutto differente, che non aveva nulla da obiettare all'innamorato convinto che la donna da lui amata sia la più bella ed attraente del mondo. fintantochè non pretende di convincere anche me. In altre parole, si possono avere tutti i sentimenti che si vuole, basta che non li si usi per fondare una teoria universale del bello. Sembra però che il bisogno di affermare la propria identità - un 'identità magari di recente fattura-vada di pari passo coll'intolleranza. Credo che il pericolo del nazionalismo oggi consista nel fondarsi sull'idea che pre-esiste da tempo immemorabile un gruppo omogeneo, definito in base a un qualche criterio, come la lingua o quant'altro. Questo automaticamente esclude alcuni e, ancora più grave, privilegia altri, dando loro una sorta di monopolio. Da un certo punto di vista, ciò accade meno nelle vecchie ed ormai affermate comunità politiche di ampie dimensioni.' che non devono provare la loro esistenza a nessuno. Ad esempio, io mi aspetto che la Georgia, una volta trovato un certa stabilità politica, sarà meno tollerante verso le minoranze interne di quanto non lo fu l'Unione Sovietica. L'URSS non si identificava con un gruppo etnico specifico. Allo stesso modo, in Canada o negli Stati Uniti, al di là delle posizioni ufficiali, sono perfettamente accettati programmi radiotelevisivi in italiano, cinese, coreano. Temo che in Lituania e in Latvia sia molto più difficile avere una radio o una TV non nazionale. Certo gli ultimi eventi georgiani sembrano confermare il suo pessimismo. Quanto a tolleranza. la Georgia non brilla. A me pare che questa sorta di intolleranza possa portare, in ultima analisi, a migrazioni forzate, che purtroppo abbiamo visto troppo spesso. Gli Armeni sono un buon esempio; basta guardare a cosa è accaduto nel corso della loro storia e cosa accade adesso nel Nagorno-Karabakh. I Georgiani, inoltre, non sono stati da meno con gli Osseti e con altri gruppi minori presenti nella vecchia Repubblica Socialista di Georgia. Tutto ciò è molto più pericoloso poiché il mondo moderno, i suoi meccanismi economici e la mobilità che produce, rendono impossibile creare isole di purezza culturale e linguistica. Di conseguenza, il tradizionale progetto culturale nazionalista, quello mazziniano per intenderci, è del tutto surrealistico. In base a quel 9

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==