1 8 VISTA DALLA LUNA ~ t:: j Gli educatori del "Beccaria" di Milano Zita Dazzi (Milano 1965) lavora alle pagine di cronaca milanese di "La Repubblica". Gli educatori che ha intervistato lavorano presso l'Istituto di prevenzione minorile "Cesare Beccaria", che ha sede in via dei Calchi Taeggi a Milano. Insegnare in un carcere minorile a cura di Zita Dazzi Cosa vuol dire insegnare in un carcere minorile, come si fa, quali sono i risultati? Quella che segue è la trascrizione di una chiacchierata con un gruppo di educatori della scuola media dell'istituto di prevenzione minorile "Cesare Beccaria" di via dei Calchi Taeggi a Milano, sezione distaccata della media statale "Mare/- li". È una scuola molto diversa da quelle tradizionali anche se allafine dell'anno scolastico i ragazzi possono ottenere il diploma di licenza media come tutti gli altri. Ci sono laboratori di informatica, video,falegnameria e ceramica. C'è panetteria, una sala per suonare strumenti musicali e cantare, varie palestre, una piscina; nella sezione femminile, dove sono detenute soprattutto giovani nomadi, c'è una sartoria, in quella maschile una sala perii biliardo. E c'è anche un vecchio efamoso gelataio, che ha trasportato nel carcere le sue macchine per insegnare il mestiere ai ragazzi. Il numero di detenuti è variabile, attualmente sono meno di un centinaio: metà sono italiani, metà stranieri, nomadi e extracomunitari. La maggioranza è dentro in attesa di giudizio e uscirà dopo la celebrazione del processo, che possibilmente per i minori stabilisce pene alternative al carcere. Pochi sono quelli condannati a una pena definitiva. I reati in genere sono spaccio e detenzione di stupefacenti, rapina,furto; minoritaria è la percentuale di reati contro la persona. Il vecchio direttore del carcere, Antonio Salvatore, fa di tutto per nascondere, camuffare le caratteristiche di penitenziario che inevitabilmente il "Beccaria" deve avere. Ma allefinestre ci sono le sbarre e gli agenti di custodia tutte le sere chiudono a chiave le porte blindate dei piani. Quando arriva un nuovo ragazzo come cominciate, come fate a introdurlo nel gruppo, a coinvolgerlo nelle attività? Marco Vinicio. Quando si inizia, qualcuno di noi sente bisogno di saper qualcosa di più sul ragazzo, qualcun'altro no. Io penso, per esempio, che sia utile sapere qual è il reato commesso, anche perché questo potrebbe modificare il nostro atteggiamento nei confronti del ragazzo. Quindi gli chiediamo il nome, lo collochiamo in un'area di lavoro, gli spieghiamo il tipo di lavoro che si fa in quel laboratorio e il funzionamento del Beccaria (se non lo sa già). Il ragazzo si inserisce generalmente molto in fretta, anche perché il rapporto con il gruppo viene stretto in maniera molto rapida. Ci sono le prove iniziatiche, come sempre. Se il ragazzo è piccolo, viene menato; se è grande, cerca di imporsi. Il nostro lavoro viene fatto in modo molto semplice anche col ragazzo che è appena arrivato. Problemi possono nascere quando il ragazzo viene messo a caso in un laboratorio per mancanza di tempo e di voglia di organizzare le cose. E questo, a volte, avviene. Il ragazzo, invece, deve essere messo in un laboratorio che lui stesso ha scelto. Riccarda. Il ragazzo entra in laboratorio qualche tempo dopo il suo arrivo in istituto. C'è una prassi consolidata per l'orientamento. Trascorre un giorno o due al Centro di prima accoglienza che gli fornisce le indicazioni di sopravvivenza nel carcere, e informazioni sull'iter giuridico che lo aspetta. Qui in istituto c'è un incontro con l'educatore, che è una figura di raccordo, un dipendente del ministero di Grazia e Giustizia che tiene i rapporti tra la famiglia, il ragazzo e i giudici. L'educatore è una specie di tutor, che sostituisce la famiglia e segue il ragazzo nel processo, anche se lo riesce a vedere molto poco (mezz'ora ogni 5 o 6 giorni). Lui cerca di sgrossare l'ansia, permette di stabilire un rapporto. Come si fa scuola all'interno di un carcere minorile? Qual è l'approccio, che metodo usate? Paolo. L'approccio che usiamo è quello manuale-intuitivo, funziona meglio di quello logicoformale. Qualsiasi materia può essere affrontata in questo modo. Abbiamo studiato una forma didattica che avesse come risultato un prodotto concreto per differenziarci dalla scuola "normale", dove in linea di massima si creano solo parole. Per far questo abbiamo dovuto rivedere le nostre competenze, le nostre capacità di rapporto, di ascolto, di relazione, di integrazione del lavoro comune. Questo genere di lavoro presuppone, per esempio, che tu educatore non imponga ai ragazzi le tue scelte, le tue preferenze, i tuoi valori. Parlando con i ragazzi emergono le loro esigenze, le loro curiosità. Si deve partire da lì. Per esempio nel laboratorio scientifico avevamo presentato diversi argomenti, tutti con possibilità di applicazione pratica. Tra le varie curiosità che avevamo presentato c'era il funzionamento della television'e, il telefono, la radio e il volo. Loro hanno scelto il volo, sono stati attratti dall'idea di costruire una mongolfiera. L'abbiamo costruita e l'abbiamo anche fatta volare. Adesso stiamo costruendo un aereo. È un grandissimo risultato essere riusciti a catalizzare l'attenzione di un gruppo su un progetto compiuto. L'anno'scorso
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