MINORI IN TRIBUNALE propria persona, che può essere descritta come contrapposizione tra istanze riparative e istanze repressive. In tali termini la situazione è condivisa da molteplici istituzioni educative, a partire dalla famiglia stessa. Ma mentre in queste il problema consiste nella difficoltà di coniugare le due diverse istanze, comunque presenti a livello etico, per il giudice minorile si tratta di far emergere valenze educative nell'esercizio di una funzione, che è fondamentalmente repressiva e sanzionatoria. È la storia dei Tribunali per i minorenni a indicare con chiarezza questo aspetto. Essi sono sorti proprio per modulare o mitigare i meccanismi di funzionamento della giustizia "repressiva" in considerazione della particolare condizione e quindi dei bisogni educativi dei minori. E quella storia, che dura da quasi sessant'anni, potrebbe essere raccontata come la storia di questa contraddizione; così come la vita di un giudice minorile potrebbe essere descritta come la storia della sua angoscia a partire da tale contraddizione. Faccio un esempio di come questa situazione sia costitutiva dell'esperienza del giudice minorile. Anche là dove la valenza educativa del suo agire sembra trionfare perché si offre una famiglia ad un bambino in stato di abbandono, il giudice ha comunque dovuto recidere il rapporto di tale bambino con i suoi genitori naturali ed è facile immaginare quanto ciò possa essere traumatico e che pena sia essere privati dei figli. Il risvolto personale, emotivo di tutto ciò è sempre l'angoscia, che si produce anche per motivi opposti ali' ultimo accennato. Penso ali' angoscia da frustrazione che ti prende quando non puoi far nulla per il minore in difficoltà che ti trovi davanti. Il "luogo" tipico in cui ciò avviene è il settore penale. Al Tribunale arrivano, naturalmente e giustamente (guai se i Tribunali ci amministrassero la vita!), le situazioni più "marce", quelle nelle quali non hanno funzionato i dispositivi di autogestione individuale/ familiare e di sostegno sociale, che valgono il più delle volte a prevenire comportamenti criminali. Ma ciò comporta che la probabilità di successo dell'intervento è ridottissima, essendosi ormai consumatofino ali' estremo ilprocesso di disadattamento e di disgregazione familiare e individuale che determina il minore alla commissione di reati. A ciò si aggiunge la cronica e insuperabile mancanza di strutture educative atte al trattamento di questi ragazzi, che rende ovviamente impraticabile ogni intervento riparativo, educativo. Non resta allora, a seconda dei gusti e delle tendenze personali più o meno ipocrite, che condannare o assolvere il ragazzo, senza che tale scelta abbia la·benché minima probabilità di incidere in positivo sul suo futuro. E se vi è consapevolezza di ciò, nel senso di rinuncia a mistificazioni o razionalizzazioni di comodo, non può che derivarne al giudice un altro cumulo di angoscia. Ricordo, per chiudere, una valentissima psicologa che collaborava con il servizio sociale minorile, la quale settimanalmente incontrava il giudice della rieducazione e parlava a lungo con lui. Io, incuriosito, le chiesi quale scopo avessero quegli incontri e lei mi rispose: "Quello di disangosciare il dottor...". LATERRA 17 < ! = .. I. .. e I
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==