Linea d'ombra - anno X - n. 72 - giugno 1992

16 VISTA DALLA LUNA ~ ~ ::i Giancristofaro Turri Giancristoforo Turri ha lavorato per anni come giudice al tribunale per i minorenni di Milano ed è attualmente pretore del lavoro, sempre a Milano. L'angoscia del giudice minorile Conosco bene l'angoscia del giudice minorile e ci ho anche riflettuto sopra. Parlarne a chi non conosce a fondo la realtà su cui il giudice minorile opera non è facile, ma è un'occasione preziosa per tentare di aprire una breccia nel mondo chiuso e auto-centrato della giustizia minorile e per verificare la comunicabilità di tale esperienza al mondo esterno. Ho pensato di ricondurre le situazioni di angoscia ad alcune categorie, assolutamente approssimative e provvisorie, allo scopo di facilitare il compito mio e dei lettori. Identificherei la prima nella "angoscia da istituzione". Avete visto il film Ladro di bambini? È la storia di un carabiniere che deve accompagnare in un lontano istituto due ragazzini, vittime di una triste vicenda di miseria e di sfruttamento. A contatto con loro e con il loro dramma Antonio (il carabiniere) sente il bisogno di togliersi la divisa e nel rapporto irrompe l'umano, il riconoscimento del1' altro e dei suoi bisogni, la solidarietà, anche se asimmetrica (del tipo padre/figlio o fratello maggiore/fratello minore). La finalità del viaggio sembra dimenticata; i tre girovagano e vivono un' esperienza di amicizia, di solidarietà, di piacere. Per puro caso Antonio si viene a trovare in una caserma di carabinieri. Il "graduato" non capisce Antonio, lo richiama duramente ai suoi compiti istituzionali, lo minaccia e gli dice: "Tu dovevi entrare a far parte della Croce rossa, non dell'Arma!" Ho raccontato questa storia perché è la metafora di una tipica storia di giudice minorile. Sapeste quante volte mi hanno detto che avrei dovuto fare l'assistente sociale invece che il giudice! Certo questo non capita ad ogni giudice minorile, ma solo a quelli - e ce ne sono - che avvertono vivamente l'esigenza di forzare gli angusti estereotipati schemi del rapporto istituzionale, per comprendere le persone con cui si relazionano e per cercare di coglierne la verità. L'angoscia sta qui. In tedesco si dice "angst", che vuol dire anche angustia, cioè strettezza, ed è proprio il sentimento che molti giudici minorili avvertono nel sentirsi indoss? la "divisa" dell'istituzione cui appartengono. E il disagio che anche le persone normali provano di fronte al lessico istituzionale, nel quale il giudice non parla con le persone, ma le "sente" ("sentiti i genitori, i servizi sociali e il pubblico ministero"); la parola è decreto o sentenza e comunque giudizio; un ragazzo in difficoltà è un imputato o un disadattato; un genitore inadeguato viene cancellato come genitore e una storia non è che un "caso". Non è tutto. Come nel film i ragazzini finiscono nell'istituto, anche se il regista non ce li mostra, e Antonio rimetterà la divisa, così, nelle nostre storie, l'epilogo celebra la supremazia dell'istituzione e il giudice si rimette sulle spalle la toga. Mi sono dilungato su questa specie di angoscia, perché è un po' la madre di tutte le angosce del giudice minorile. Ne deriva direttamente quella legata alla sua identità. Il giudice minorile si sente quasi sempre fuori posto, sempre altro: non giudice tra i giudici, giudice fra i non giudici. La cultura che si sviluppa a partire da questa identità problematica e discussa è una cultura, comunque e sempre, di disomogeneità, di separatezza estrema, di difficilissima comunicabilità. Una delle più recenti testimonianze di ciò che voglio dire è stata offerta dal caso Serena, che io lessi soprattutto come difficoltà, impossibilità di comunicazione tra la cultura, pur rispettabile e fondata, del giudice minorile e la cultura diffusa (opinione pubblica) o dominante. Una lettura di questo tipo fu proposta, ali' epoca, da Marcello Flores proprio sulle pagine di questa rivista. Ma anche all'interno del mondo giudiziario si riscontra una situazione analoga. Si pensi, ad esempio, al tema attualissimo dell'abuso o violenza sessuale sui minori. Vi si scontrano due logiche antagonistiche e contrapposte; mentre il giudice minorile ha riguardo ai bisogni di tutela e di cure del minore abusato e si preoccupa che la repressione di chi ha commesso il fatto non costituisca un ulteriore elemento di turbamento e di trauma per lui, il giudice ordinario ha di mira solo la realizzazione di finalità repressive e, di fatto, "usa" il minore - che è la vittima, quindi parte lesa e testimone - per tali finalità. Le situazioni cui ho accennato e che ho collegato a questioni di identità dovrebbero determinare nei giudici minorili un'angoscia da isolamento, che però essi raramente avvertono e più spesso mascherano con la convinzione, un po' superba, che si tratti di uno "splendido" isolamento. Questo conflitto che divide il giudice minorile dalla società e dagli altri giudici ha anche una dimensione interna alla propria funzione e alla

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