SUL VOLONTARIATO Non si può esplicitare una professionalità al di là della correttezza, come sopra descritta, della relazione. Fare l'operatore (o il volontario) non è affatto obbligatorio; non significa dare prestazioni esterne alle persone, per cui una volta date, la relazione è pressoché insignificante. Significa invece porsi in relazione profonda con l'altro: ciò esige, come condizione preliminare e indispensabile, la messa in discussione della propria vita, intesa come emozioni, capacità intellettive, operative, culturali. Quando, con altri termini, parlando dell'operatore, si parla di motivazioni, di preparazione, di formazione, occorre essere molto attenti. Non è soltanto la capacità di conoscenze, di uso di metodiche, di organizzazione che fa di un individuo un "operatore sociale", ma la sua capacità di mettersi in contatto paritario. Al rovescio, ciò vale anche per il volontario: chi non è capace di modalità corrette di rapportarsi con l'altro, può svolgere altre mansioni, non certamente quelle di mettersi in contatto con "le persone", con la pretesa di aiutarle. Problema grave rimane quello di sapere chi (e con quali strumenti) può determinare la correttezza di impostazione dell'azione del!' operatore e del volontario. Mentre, per il volontario, è in genere l'organizzazione che, attraverso la propria "filosofia" e il riscontro con la prassi, interpreta il modo di essere, nel pubblico, purtroppo, i criteri di selezione sono altri e tutt'altro che corretti. Comunque, se il prevalere dell'indifferenza non sarà vittorioso, nel qual caso si ritornerebbe all'esaltazione totale del volontariato quale forza attiva di soluzione di problemi irrisolti e considerati marginali, i fatti hanno dimostrato che, senza la correttezza delle relazioni, non si ottengono risultati. Servizi, funzioni e mansioni non corretti sono inefficaci e servono, alla fin fine, alla soluzione dei problemi degli operatori, di coloro cioè che sono già tutelati perché più forti. Rimane un'ultima domanda: che differenza, a questo punto, tra operatore e volontario? La differenza non è qualitativa, ma quantitativa. A seconda di come la disponibilità alla relazione prevale nella vita (se a tempo parziale o a tempo pieno) si determina l'individuazione del "mestiere". In termini qualitativi nulla cambia nella duplice veste di volontario o di operatore: ambedue hanno gli stessi obiettivi e le stesse modalità di intervento. Un'ultima definitiva immaginazione: e il cittadino volontario? Anche qui non cambiano i termini del problema: se le relazioni ovunque e comunque hanno (o debbono avere) le stesse modalità, il cittadino esplica una serie di relazioni corrette per cui anche per lui (generico cittadino) si esige la messa in discussione della propria vita (convinzioni, operatività, obiettivi ...). D'altronde la democraticità, la partecipazione, l'impegno politico non hanno il loro fondamento nella correttezza della relazione paritaria? LATERRA 11 < e = ... I: ... e: z Ilo
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