1O VISTA DALLA LUNA È a motivo di questa presenza significativa che la stessa legislazione nazionale e soprattutto regionale si è interessata al volontariato, inglobandolo, a volte in forme organiche, altre volte in forme supplementari, negli scherni di servizio sociale. Dato per scontato il quadro di questo fenomeno, rimane la domanda del senso del volontariato in rapporto alla funzione di servizio sociale che, sempre più, e per ovvi motivi, sembra (ripetiamo sembra) prevalere negli schemi di intervento sociale. Particolare attenzione va posta sul passaggio tra volontario e operatore che spesso, anche se nel tempo, avviene ali' interno della storia della stessa persona. La tesi eretica La tesi che sosteniamo ("eretica" perché in contraddizione con la tendenza prevalente della scienza sociale) è che non può esistere "operatore sociale" che non sia, nello stesso momento, "volontario" e al contrario non può esistere volontario che non sia operatore sociale. Dimostriamo tale tesi con due argomenti: - il significato della relazione - lo schema dei servizi. La relazione "Una relazione è significativa se gli interlocutori si riconoscono reciprocamente come soggetti distinti, autonomi, con propri limiti, ma anche con proprie risorse (personali, professionali, familiari ecc.), propri schemi valutativi, proprie strategie. ( ... ) Il successo di tale scambio comunicativo è legato più che al contenuto dello scambio, alle modalità attraverso cui esso viene trasmesso. È il 'come', più che il 'che cosa' che permette o meno il passaggio della comunicazione e lo caratterizza. ( ... ) Porre l'operatore e il servizio entro questo campo tradizionale, soggetto tra gli altri soggetti (il paziente, la sua famiglia ecc.) significa rimettere in discussione dicotomie tradizionali come bisogno/ risposta, sano/malato, attivo/passivo, dare/ricevere, che riducono la ricchezza delle relazioni e dello scambio, fissano l'identità di ciascuno in un ruolo precodificato, standardizzato, confermano la situazione in termini di impossibilità di evoluzione e di cambiamento". (cfr. E. Ranci Ortigosa, La relazione, fattore di qualità dei servizi socio-sanitari, in "Prospettive Sociali e sanitarie", n. 8-9/1990, pp. 1-4). È la dizione "tecnica" di quanto, e non da oggi, molti di coloro che vivono nel mondo dell' emarginazione, chiamano "condivisione". Condividere significa appunto "mettere in discussione la propria vita, in relazione alla vita dell'altro". Dalla messa in discussione delle rispettive vite nasce la "risposta" ai disagi, non solo di quelli della parte più debole, o solo di quella parte, ma dei disagi di tutti. Questa riscoperta della correttezza della relazione, dopo molti (troppi) anni nei quali si era teorizzato il distacco delle "funzioni" tra "operatore" e "utente" significa semplicemente ridare riSUL VOLONTARIATO spetto e dignità alle relazioni e quindi a tutti i soggetti che in esse sono attivi. Questa riscoperta ha significato ripercorrere le cosiddette "relazioni naturali" (quelle della famiglia, dell'amicizia, dei rapporti di lavoro e di quelli politici) nelle quali i soggetti, se la relazione non è patologica, hanno pari dignità. Non è difficile a questo punto arrivare alla tesi sostenuta. Se per volontario si intende colui o coloro che, per definizione, sono attenti al disagio, agiscono non per motivi di lucro, tendono alla qualità della vita globalmente intesa, l'operatore che ha le stesse modalità di intervento e gli stessi obiettivi non può che essere volontario: colui o coloro cioè che, ponendosi accanto all'altro, percorrono le stesse strade della vita, alla ricerca di una migliore qualità per tutti. Sorgono, a questo punto, due obiezioni: - l'operatore è "pagato" per svolgere il proprio mestiere; - occorre una professionalità per operare in particolari aree di intervento. Prima obiezione La gratuità della relazione non si misura sul "salario" percepito, quanto sulla "gratuità" e quindi sulla parità del rispetto tra persone. Quale individuo d'altra parte, qualunque funzione esplichi, può vivere senza "un qualche" salario? Il problema centrale della gratuità è quello della discussione del proprio ruolo nel rapporto con l'altro. La gratuità si individua nella messa in comune delle proprie capacità intellettive, operative ed emozionali. Solo così la relazione può diventare significativa. L'esperienza comune evidenzia che i migliori successi si ottengono proprio dalla capacità di relazionarsi in termini paritari, che non significa affatto non svolgere funzioni diverse, propositive, trainanti, mediatrici nella condizione di disagio. Significa invece dare "senso" alla relazione stessa che coinvolge, anche se in modi diversi, i soggetti interessati. Seconda obiezione Che occorra una specificità di preparazione è diventato talmente ovvio che, ormai, qualsiasi "volontario" che si ritenga tale, si preoccupa, lui per primo, di avere una conoscenza adeguata del1' area di intervento con la quale entra in contatto. Piuttosto, molto spesso la preparazione o la specializzazione è stato lo strumento - distorto a nostro avviso-per introdurre ruoli e funzioni non paritarie: per creare lo schema standardizzato del dare e non ricevere, del bisogno e della risposta, della propria tutela, appoggiata sulle necessità altrui. Conseguenze La conseguenza - questa sì "eretica" - è che chiunque non è disponibile alla messa in discussione della propria vita, non deve essere o fare l'operatore (e nemmeno il volontario).
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