bisogna aver chiari i limiti strutturali di una simile impostazione. Per fare un'esempio: si può imporre una gestione efficiente e morale della sanità; ma sarà sempre più difficile impedire che un "buon" ospedale discrimini i più deboli. Efficienza e gestione morale porteranno con sé, molto probabilmente, una subalternità sociale (alla maggioranza "conservatrice" che si diceva prima). Il compromesso sul piano politico (e cioé una parte della maggioranza socio-culturale conservatrice che si schiera col fronte progressista sul piano politico) deve avere una contropartita sociale (un compromesso a favore della maggioranza suddetta). La seconda alternativa parte dall'idea di considerare faticosa e poco produttiva la prima, troppo tecnico-istituzionale. Si tratta, allora, di diventare, sul serio, forza di opposizione. Ma opposizione che si consideri tale "storicamente", sul medio periodo, perchè è consapevole che non esiste una maggioranza sociale progressista nelle società avanzate. In questo senso parlare di alternativa o alternanza ha poco senso, a meno di non voler essere la forza politica di ricambio della maggioranza conservatrice (e allora fare un partito insieme a La Malfa e Segni, non solo un governo) e ricadere nella prima alternativa descritta sopra. Stare all'opposizione significa poter contare, incidere, costringere gli altri a muoversi e cambiare, produrre controlli, verifiche; non, però, nell'illusione di raccogliere consensi sociali da utilizzare poi sul piano politico (come ha sempre fatto il Pci). Una simile opposizione non deve avere come obiettivo di produrre mutamenti politici ma trasformazioni reali. Una opposizione tutta da inventare, perché non c'è mai stata. Una opposizione che si sviluppi sul terreno concreto, delle scelte, delle opzioni, del "caso per caso" - ma in modo rigoroso -e non invece su grandi e generici terni, sulla retorica dei princìpi e dei valori. Naturalmente bisogna essere consapevoli che rifiutare il terreno demagoFoto di Roberto Koch (Contrasto). IL CONTESTO gico-ideale, in una società di massa e dell'apparenza, penalizza. E che comunque occorre costruire una cultura "positiva" che rischia sempre di sconfinare nella demagogia. Una opposizione siffatta deve muoversi su tutti i piani: sociale, ambientale, istituzionale, culturale. Cosa sia un programma di opposizione sociale, ambientale e istituzionale nessuno lo sa. L'obiettivo è di produrre modificazioni concrete, di impedire per quanto possibile soluzioni negative (tipo Lega) ma mai a favore dello status quo; di controllare e costringere per lo meno a far prevalere nella maggioranza conservatrice l'ala morale/ efficientista senza timore di lavorare per il re di Prussia. Dietro una tale opposizione ci vuole una cultura e dei valori: quali? Non si può essere generici (pacifisti e ambientalisti ma a parole, senza che questi valori significhino nulla in concreto, nella vita quotidiana, ma solo sul piano politico); e neppure utopisti in liquidazione che propongono cose impossibili come la rivoluzione ma apparentemente più realistiche (cosa vuol dire solidarietà con gli svantaggiati? bisogna dire a chi dare soldi e a chi no, per che cosa, con quali concrete finalità; più servizi, ma a scapito di cosa; più ambiente e istruzione, magari, ma allora consapevoli di volere meno occupazione operaia e così via). Smettere di volere tutto per tutti, di essere coerenti moralmente ma non selettivi socialmente. Quale identità deve avere una simile opposizione? Quale ambizione di grandezza? Quali valori fondativi? Quali comportamenti? Da chi farsi controllare? Quali finalità esplicite dichiarare? A breve e medio termine o anche di lungo periodo? Se questo è il terreno su cui costruire qualcosa, può l'attuale PdS offrire qualcosa? La risposta sembra negativa. Le mosse compiute sul piano istituzionale per l'elezione dei presidenti di Camera e Senato, la risposta data al coinvolgimento nello scandalo delle tangenti a Milano, l'imposizione di Veltroni a direttore del' Unità, sono tre espressioni chiarissime di come, sempre più, il PdS sia incapace di attuare quel rinnovamento che, con la propria costruzione, aveva promesso e invocato. I motivi sono tanti e i rimedi, probabilmente, inesistenti: una precondizione necessaria dovrebbe essere il far piazza pulita di almeno un 60% di dirigenti, di tutte le correnti, senza ridicole distinzioni tra riformisti, occhettiani, ingraiani. Deburocratizzare un partito è, in generale, un controsenso. Sembra addirittura impossibile per un'organizzazione che del culto gerarchico della burocrazia ha fatto per decenni il centro della propria cultura politica. Allora? Se si vuole essere realistici sembra che sia la prima alternativa l'unica percorribile. Almeno da "politici". Ma la ricostruzione della sinistra passa per la costruzione della seconda ipotesi e solo per quella. Questo significa "ricostruire" insieme l'idea stessa della politica e quella di opposizione, i compiti e gli ambiti della società civile e quelli degli amministratori e dei controllori. In una parola ripensare che tipo di società sia quella che si avvia a doppiare il millennio. E in primo luogo comprenderla e analizzarla. Su questo piano ben poche speranze vengono anche dagli altri partitini della sinistra, dai nostalgici di Rifondazione come dai confusi e sgomitanti verdi o dai demagoghi del moralismo della Rete. Disintossicarsi dalla politica può essere una strada obbligata per il futuro prossimo. A patto di analizzare con spietata severità quello che la società è e sta diventando, quali i comportamenti individuali e collettivi dei suoi segmenti e quali i valori che muovono l'agire degli individui e dei gruppi. Dovremmo interrogarci di più su cosa siamo diventati e stiamo diventando noi tutti, invece che attribuire ai professionisti della politica la colpa di muoversi secondo regole che fanno parte integrante, forse, della nostra quotidianità. 7
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==