Linea d'ombra - anno X - n. 72 - giugno 1992

IL CONTESTO fase oscura di riassetto di poteri prima ancora economici che politici. Una fase di vuoto di poteri apparenti che potrebbe essere colmato da nuovi poteri forti, avvantaggiati dalla cultura tecnocratica che si annida in realtà- più o meno consapevolmente - alla retorica della legalità e dell'onestà. Forse siamo stati ingenui e distratti nel non rilevare l' ampiezza del sistema della corruzione politica. Ma continuo a pensare che al suo centro non ci fosse di per sé !'"evento tangente", bensì un assetto di potere economico capace di modellare l'insieme delle politiche amministrative. E non solo quelle. Quando tutto sarà venuto alla luce, sarà ben difficile sostenere l'ipotesi di una società civile perbene oppressa dal connubio fra imprenditori rapaci e politici corrotti. La società opulenta che ha nel Nord Italia il suo epicentro si caratterizza per un'enorme zona grigia nella quale è difficile distinguere gli onesti dai disonesti. Si caratterizza per un sistema di scambio in cui i vantaggi e le iniquità si ripercuotono capillarmente spesso fino al livello dell'ultimo dipendente pubblico. I partiti cosiddetti di massa hanno cambiato natura, in questa direzione, così come i sindacati del pubblico impiego. Dallo scandalo di Milano hanno da perderci in molti, forse più di quanti noi stessi sospettiamo. Del resto perché stupirsi? Non siamo forse la società della sovrabbondanza, della rapina e dello spreco delle risorse? Ha qualcosa da offrirci, il Pds? Appunti per una discussione postelettorale Marcello Flores La sinistra, e in particolare il PdS, ha affrontato il dibattito postelettorale sul terreno scelto dagli sconfitti (il quadripartito), quello della governabilità e della priorità assoluta (quasi unica) della riforma istituzionale. Su questo piano non si può che giocare continuamente di rimessa: come ha dimostrato l'elezione dei presidenti di Camera e Senato e il prevedibile difficile accordo per la presidenza della repubblica creato dalle dimissioni di Cossiga. Del resto subordinare la riforma istituzionale (meglio sarebbe dire elettorale) al problema della "governabilità" è già un atto di subordinazione culturale. Non si vede la necessità di una riforma maggioritaria e uninominale se non dal punto di vista della coalizione che ha governato negli ultimi trent'anni (che ne verrebbe rafforzata e legittimata per un altro periodo); o dal punto di vista del "sistema dei partiti", che è la forma specifica assunta dalla democrazia italiana nel dopo-fascismo e che, al di là di regole e princìpi sostanzialmente immutati, ha avuto significati diversi nelle differenti epoche della storia italiana postbellica. Ai fini di rendere più semplificato il sistema politico e favorire le condizioni per l'alternanza basterebbe per il momento, forse, il tetto del 5% per accedere in Parlamento. Il "terremoto" elettorale avrebbe potuto essere occasione di riflessione approfondita e feconda, soprattutto se lo si fosse considerato un elemento della più vasta crisi della democrazia politica che l'occidente sembra vivere come riflesso degli sconvolgimenti all'est. Il sistema politico che ha prevalso in occidente dalla fine della guerra soffre ovunque di una caratteristica: la crisi dei partiti tradizionali e la nascita di nuove formazioni che per comodità definiamo "qualunquiste". Dietro questo fenomeno c'è però una realtà più importante: ed è l'esistenza, in tutti i paesi, di una maggioranza socialmente conservatrice, che ha ormai introiettato sul piano culturale e psicologico tutti i tratti individualistico-consumisti dell'età postindustriale. Viene da chiedersi, sul piano storiografico, se anche negli anni Cinquanta, Sessanta, Settanta, quando i conflitti sociali erano più acuti e contrapposti, non sia esistita una maggioranza sociale conservatrice: almeno nel senso della identità politica e culturale, della "coscienza" collettiva; il che spiegherebbe tanto le fughe volontaristiche sul terreno della rivoluzione sociale quanto il fallimento dei tentativi rivoluzionari. Questa maggioranza, sempre più omogenea culturalmente, 6 socialmente frammentata ma con un solido minimo comune denominatore di benessere che la contrappone alla robusta minoranza degli emarginati, non ha più un unico referente politico, né sul piano ideologico né geografico: la crisi di governabilità nasce dalla non adesione di una parte sempre più cospicua di questa maggioranza al sistema politico; e dalla richiesta di buona gestione, efficienza e moralità che proviene da essa e che-socialmente e culturalmente - è intrecciata con richieste di più accentuato corporativismo, favoritismi, privilegi ecc. La sinistra oggi è una realtà composita ed eterogenea, sia che la pensiamo nel suo insieme (PdS, Psi, verdi, Rete, Rifondazione, radicali) sia che pensiamo al solo PdS, la sua forza maggiore. Il referente sociale del PdS è disomogeneo; esso comprende, probabilmente, la parte più "morale" della maggioranza conservatrice, una parte della società declassata e di quella che tende numericamente a ridursi (gli operai), una parte di ceti medi e professionali che sono l'effetto di una mobilità e promozione sociale avvenuta negli ultimi quindici anni: il collante è ancora, malgrado il post- '89, l'ideologia (ormai genericamente progressista) e un programma riformista altrettanto vago, di tipo fine Ottocento. Può la sinistra essere omogenea? E deve cercare comunque di esserlo? Può essere sufficiente una ricetta di "moralità" e di "difesa" degli strati sociali svantaggiati? Non sono interrogativi cui è facile rispondere, ma che neppure possono essere elusi. Su questo piano vengono al pettine due problemi storici su cui il Pci in passato e oggi il PdS non ha riflettuto abbastanza: quello della compatibilità economica di una politica di sviluppo/riforme/difesa degli strati più deboli e quello della opportunità e/o necessità di lottare in difesa di strati che "storicamente" hanno perso o stanno perdendo il loro ruolo, posizione, forza: oggi gli operai, ieri i braccianti. Sul piano politico sembra che di fronte alla sinistra e al PdS non vi siano che due alternative "strategiche": la prima è di partecipare alla gestione del potere cercando di favorire un raggruppamento trasversale di onesti ed efficienti: avere cioè alla base un programma di comportamento politico, essere ancora di più "tecnici" della politica e separati dalla società. Accettare, come conseguenza, che il "segno" sociale sia conservatore e che il carattere progresssista si riduca ed esaurisca sul piano della gestione, della politica. Non è cosa da poco, naturalmente, ma

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