Linea d'ombra - anno X - n. 72 - giugno 1992

STORIE/DE KUYPER bambino aveva già avuto il sospetto che diventando adulto avrebbe dimenticato tante cose indispensabili per la vita, per trascorrere felicemente l'esistenza quotidiana. Come si rivelava giusta ora quell'intuizione; come era ben fondato il suo panico di diventare adulto. Avrebbe dimenticato, sarebbe stato infedele a se stesso, proprio come aveva temuto. Giocare in pochi o in molti, per lui non faceva gran differenza. Non gli importava neppure di restarsene da solo. Soprattutto la mattina, molto presto, quando la spiaggia era ancora spopolata, gli piaceva camminare da solo nella zona dura della spiaggia, dove l'acqua, ritirandosi, si era lasciata dietro una bella superficie compatta, marrone scura, liscia come uno specchio. Trascinandosi dietro una pala, tracciava nella sabbia interminabili curve, spirali, circonferenze. Era come scrivere con una matita su uno smisurato foglio di carta immacolato. Nel frattempo canticchiava una canzone, un motivo di successo, adattandolo al ritmo del disegno. Sullo sfondo spumeggiava benevolo il mare. Di tanto in tanto levava lo sguardo, verso l'interno. L'uno dopo l'altro si stendevano una sequela di nastri orizzontali: la spiaggia, su cui cominciavano a installarsi le prime persone; la fila colorata delle cabine - là era seduta la nonna, e lui le faceva un cenno di saluto; la passeggiata a mare sulla diga; ancora dietro il colonnato delle terme, su cui troneggiava l'Hotel des Thermes. E sopra si stagliava il cielo, stendendosi sempre più in alto fino a che all'orizzonte si ricongiungeva al mare, laddove cominciavano le "bianche scogliere di Dover". Il postale dall'Inghilterra era un puntino sullo sfondo. Più vicino galleggiavano pigre sul mare, liscio come uno specchio, le barche da pesca. Una signora robusta, che pareva un personaggio dell'anteguerra, di stampo chiaramente staliniano, nuotava avanti e indietro, come tutti i santi giorni, con la sua cuffia bianca. Avanti e indietro. Un vecchio signore, con i pettorali flaccidi, pieno di rughe, abbronzato, faceva ginnastica in riva al mare. Le onde battevano e ribattevano sulla spiaggia, indietreggiando o avanzando a seconda della marea. Sul bagnasciuga Foto di Dilip Mehto (Contaci Presslmoges). venivano a posarsi, prima una o due, poi sempre più numerose, le meduse, vitree e bavose. Guai a calpestarle: ti pizzicavano, provocando un prurito almeno altrettanto insopportabile di quello causato dalle zanzare. Venivano sollevate con cautela con uno stecco e ributtate in mare. Ma poco dopo, invariabilmente, venivano rigettate sulla spiaggia: le meduse erano morte e il mare non voleva più saperne. Ma anche da morte "mordevano" i bambini: almeno, questo sosteneva sua cugina Nicole, e lui le credeva ciecamente. Poteva starsene così da solo a giocare per intere giornate. Un gioco dimenticato che ora gli ritorna alla memoria. Poteva anche essere triste per giornate intere. Senza il minimo motivo, cominciavano a scorrergli lacrime sulle guance. Ci si era abituati e non ci si faceva più molto caso. Se un estraneo mostrava compassione del suo dolore, scoppiava in un pianto dirotto e confessava che si annoiava, che non sapeva cosa fare, a quale gioco giocare, senza nel frattempo interrompere affatto il gioco che lo stava occupando. (Quando era ancora più piccolo, proprio nel momento in cui era più preso da un gioco continuava a ripetere come in una litania: "Non so che fare ..."). A volte rispondeva - benché mancasse ancora molto alla fine delle vacanze - che non voleva tornare a scuola, che avrebbe voluto che le vacanze durassero per sempre, ma che purtroppo sapeva che non era possibile. Gli adulti lo trovavano un ragazzo un po' strano: e per lui gli adulti erano esseri incomprensibili, singolari e completamente assurdi. Ma non potevano fare a meno gli uni degli altri, così era stabilito, pensava, mentre continuava a scarabocchiare sulla sabbia bianca e soffice. E poi, di colpo, arrivava il grande momento. Ogni anno di nuovo. Una bella mattina le insegne sventolavano sulla diga e annunciavano trionfali i grandi giochi sulla spiaggia del quotidiano Le Soir. Ne avevano avuto un vago presentimento, ma si erano dimenticati che prima o poi dovevano arrivare. Quest'anno sarebbero riusciti a sfuggirvi? Forse con molte insistenze? Mettendo la scusa di essere troppo piccoli o troppo grandi; o di avervi partecipato già l'anno scorso? No, assolutamente, non ci si poteva sottrarre. Al "grand concours de plage" si partecipava come se ne dipendesse l'onore dell'intera famiglia. Forse dipendeva dal fatto che un membro della famiglia aveva lavorato al quotidiano di Bruxelles, ma si trattava di uno zio con cui la zia Emma si era sposata dopo una lunga vita da nubile, per restare poi quasi subito vedova. Non era dunque un vero zio. Era vero che la figlia di costui, la cugina Catherine, lavorava anche lei a Le Soir e si era sposata con un giornalista di Le Soir: ma era figlia di un precedente matrimonio. Dunque non una vera cugina. I fratelli e le sorelle maggiori, i cugini e le cugine più grandi, avevano partecipato tutti gli anni ai giochi - prima della guerra. Ed erano sempre stati felici ed entusiasti di poter partecipare. Anche loro dovevano quindi partecipare. Del resto tutti i bambini partecipavano ai giochi. La lacrime cominciavano a scorrere. Ogni bambino cercava di opporre resistenza, ciascuno secondo la sua natura, il suo temperamento e la sua età. Ma non c'era via di scampo. Le Soir metteva evidentemente a disposizione bellissimi pre-

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