ILCONTESTO In un torrido fine giugno del Falcone ginnastica e scarpe di gomma, di 1963,a Ciaculli, un' alfetta carica Giuseppe Bono, di Pippo Calò ...Ma di tritolo uccideva, dilaniandoli, Vincenzo Consolo vidi soprattutto, oltre al presidente sette carabinieri: un tenente, tre della corte Giordano, la figura marescialli, tre semplici guardie. smilza, il viso scavato di antico caFu quell'esplosione il primo, tre- valiere spagnolo, del pubblico mimendocambiodilinguaggiodella nistero Ayala, il volto olivastro, con mafia: dall'antico, rurale !in- la folta barba brizzolata, di Falcone. guaggio dei paliottoni della lupa- Mi raccontava un fotografo di ra passava al linguaggio moder- Palermo, uno di quelli costretti a no e cittadino del tritolo; dalle fotografare morti ammazzati copervendette contro singoli avversari ti da giornali, da lenzuola per le alle cieche, indiscriminate stragi strade di Palermo, che l'aveva imcon l'esplosivo o con le pressionato in quei mesi, mettendo sventagliatedirnitra.Orainquella accanto due foto del giudice Falcolocalità sopra i colli che circon- ne, scattate a poca distanza l'una dano Palermo, in mezzo ai fitti dall'altra, il rapido invecchiamento giardini di mandarini che in alto di quell'uomo. Incontrai poi Falcolasciano il posto alla scabra nu- ne, insieme ad Ayala, qualche anno dità della roccia, si erge una stele fa a un ricevimento in casa di comuche ricorda le vittime: "Alla ni amici. Ci presentarono, mi fecero memoriadicoloro-chelamafia sedere accanto a lui. Non scamstroncò a Ciaculli - e del loro biammo che qualche parola. Mi colsacrificio - che trasformò pì di quell'uomo, oltre alla sua ritral'esecrazione in un moto di ri- zione, al suo rifugio nel silenzio, scatto civile" vi è sopra inciso. In l'immobilità, del viso e della figura, quell'estate, ai funerali del te- la rigidità quasi, in contrasto con nente Mario Malausa e dei suoi quegli occhi neri, mobili e attenti. uomini,crediamoabbiaassistito, Capii che a quell'atteggiamento, a sgomento e addolorato, l'allora quella incapacità di sciogliersi anventiquattrenne Giovanni Falco- che in un ambiente sicuro, in un ne. Fresco di laurea, crediamo contesto conviviale, l'aveva ridotto chequeimorti,ildoloreeilfurore Giovanni Falcone (Contra5!o/G. Neri). la vita disumana, da segregato, in per questi servitori dello stato assassinati in quel modo, abbiano continuo allarme per ogni rischio, per ogni pericolo che improvspinto il giovane a compiere la sua scelta di vita, a entrare nella visamente poteva presentarglisi, per l'enorme peso di lavoro, di magistratura. Era nato Falcone nel cuore della Palermo storica, responsabilità che era costretto a sostenere. Ayala invece reagiva nell'araboquartieredellaKalsa,nell'anticapiazzadellaMagione a quella vita in modo del tutto opposto, con vivace, calorosa che le bombe della guerra avevano lacerato e ridotto in macerie, colloquialità, con allegria. in una vaga spianata ancora oggi là sotto il sole. Era figlio di un Falcone non aveva più la barba brizzolata, gli erano rimasti chimico, un uomo serio, rigoroso, morto prematuramente, e di solo i baffi sopra quelle labbra dalla parola avara, in quel viso da Luisa Bentivegna, figlia di un ex sindaco di Palermo. Aveva arabo con quell'espressione pensosa, triste, di uomo "con toda su compiuto gli studi medi al liceo Umberto, dove il bravo professo- muerte a cuestas", come dice il poeta. re di storia e filosofia Franco Salvo esercitava una grande influen- Aveva tanto lavorato e lottato per arrestare quel linguaggio za sugli allievi. E aveva frequentato l'oratorio di San Francesco, fragoroso e mortifero della mafia, quel linguaggio del tritolo presso i frati della chiesa medievale, dove era divenuto amico di dal!' accento ormai da terrorismo basco, da guerriglia libanese. È un coetaneo nato nello stesso quartiere, nella piazza Vetreria, del stato fermato sulla strada che da Punta Raisi lo portava a Palermo, futuro collega Paolo Borsellino. tra l'alta roccia e il mare. È morto insieme alla povera moglie, Falcone, Borsellino, il nisseno Giuseppe Ayala, l'abruzzese Francesca Morbillo, ai fedeli uomini della scorta. La tonnellata di Giuseppe Di Lello, altri coetanei, sono i giovani di una nuova tritolo è esplosa nella vacanza della suprema autorità, nel vuoto storia della magistratura palermitana: giudici che per una diversa del governo dello Stato, mentre le forze politiche si staccano coscienza civile, per profonda indignazione di fronte alla crescen- sempre più dalla realtà di questo Paese, si avvitano in loro stesse te violenza, alla barbarie vergognosa della mafia, a causa dei nella lotta per il potere. grandi delitti degli anni Settanta, degli assassinii di giudici sagaci C'è un famoso romanzo popolare palermitano,/ Beati Paoli, e onesti, Costa, Terranova, Chinnici ..., assassinii di carabinieri e scritto all'inizio del secolo da Luigi Natoli, in cui si racconta di poliziotti, si riunivano attorno al giudice Caponnetto a formare il una settecentesca setta segreta che nella carenza del "braccio pool antimafia che porterà all'incriminazione dei capi di Cosa della Giustizia" statale, compiva vendette, faceva eseguire omiNostra, al grande processo del febbraio 1986. cidi. La strage di oggi ci fa sospettare che una setta di Diabolici In quella mattina di vento, di pioggia, di grandine, ero anch'io Paoli, in questo momento delicato dello Stato, come in altri simili a Palermo ali' apertura del processo, entrai in quell'aula verde, in momenti, al di là o al di sopra della mafia, compia questi tremendi quel bunker a forma di grande ventaglio, salii sulla tribuna della misfatti per seminare terrore. Questa volta sul corpo, sulla vita di stampa, fui spettatore e cronista di quella storica liturgia giudizi a- un giusto, di uno dei migliori siciliani che non finiremo di ria. Vidi, dietro le sbarre delle gabbie, i volti dei famigerati rimpiangere, sulla vita di altri quattro innocenti. mafiosi, di Luciano Liggio, sprezzantemente vestito con tuta da (Milano, 24 maggio 1992) 4
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