Linea d'ombra - anno X - n. 72 - giugno 1992

SAGGI/LAGERCRANTZ comune e che lui stesso coltivò e protesse con zelo per tutta la vita. È un mito che ha le sue radici in un certo numero di esperienze di natura quasi mistica. La più famosa è quella della madeleine inzuppata nella tisana di tiglio. Il profumo che sale dalla tazza ridesta il ricordo felice e luminoso del giardino della fanciullezza. Ciò che Proust chiama il ricordo inconscio, inaccessibile alla ragione, viene messo in funzione e il romanzo è pronto da scrivere. Ma Proust, come molti altri scrittori, porta il suo lettore sulla falsa strada, perché la madeleine lo affascina e lo fa apparire come un mago in tenuta romantica, colpito da un raggio di grazia disceso dall'alto. La storia della madeleine inzuppata è un'invenzione. Essa esiste infatti in versioni più modeste in sperimentazioni letterarie precedenti. La madeleine lì è un pezzo di pane secco e la tisana di tiglio un semplice té. Il ricordo inconscio, cui la letteratura proustiana dà un'importanza affatto esagerata, è il sogno di una luce più intensa di quella quotidiana, di un allargamento dello spirito, che conferisca alla realtà una dimensione più alta. Ma il romanzo di Marcel Proust non è un continente spirituale sprofondato, che il ricordo inconscio ricostruisce con l'ausilio di madeleine di vario genere, ma un capolavoro creato con instancabile zelo e in forza di un intelletto superiore. Il titolo Alla ricerca del tempo perduto è fortemente ingannevole. Poco prima di por mano al suo romanzo, Marcel Proust scrisse un breve libro, che sotto il titolo Contre Saint-Beuve fu pubblicato solo molto tempo dopo la sua morte. Si tratta, come indica il titolo, di una severa censura contro il massimo critico dell'Ottocento, e contemporaneamente di una dichiarazione d'amore per i poeti che Proust stesso venera come maestri, Baudelaire prima d'ogni altro. Il libro contiene anche un capitolo in cui Proust parla di una scoperta, che fu più decisiva per la sua arte di qualsivoglia madeleine. "Esiste dentro di me", scrive, "un giovane il cui acutissimo orecchio interno coglie la rara armonia, irraggiungibile ad altri, fra due diverse impressioni o idee. Non so chi sia questo essere, ma quando, in un modo o nell'altro, egli crea queste corrispondenze, di esse vive, da esse viene elevato, si nutre di quel supplemento di vita che esse gli danno. Senza di esse non può esistere. Con esse viene pane alla sua bocca ed egli incomincia a vivere e a essere felice. Questo giovane dentro di me e nessun altro scriverà i miei libri." È ciò che il giovane, che arriverà a cinquantuno anni prima di deporre la penna, fa. Nella parte conclusiva del romanzo, Proust ritorna al ragionamento di Contre Saint-Beuve. L'immagine che la vita stessa ci dà, scrive, offre contemporaneamente una moltitudine di impressioni cangianti. Questo non aiuta lo scrittore a enumerare le cose che esistono nel luogo che vuole descrivere. La verità "inizia solo nell'attimo in cui egli prende due diversi oggetti, fissa il legame fra di loro [...] e v'impone le necessarie catene di un buono stile." E Proust seguita dicendo che lo scrittore "proprio quando, come la vita stessa, sottolinea ciò che due impressioni hanno in comune e mette in luce la loro comune natura legandole l'una all'altra in una metafora", le pone al di sopra del tempo e dei suoi continui mutamenti. 56 Al di sopra del tempo Esistono, sparse qua e là nell'imponente tessitura del romanzo, diverse grandi scene parallele che rivestono lo stesso ruolo delle minuziose metafore che incontriamo nell'Odissea, nell'Iliade e nella Divina Commedia dantesca. Esse rimuovono l'orizzonte e sollevano la narrazione al di sopra del tempo. Volendo, vi si possono annoverare anche gli istanti di grazia trafitti di luce - il dolce, i cucchiaini che tintinnano contro il piatto, il tovagliolo inamidato sulla bocca - giacché anche qui si tratta di meravigliosi paralleli. Sulla spiaggia di Balbec, un pomeriggio, il narratore in compagnia della nonna incontra la principessa di Lussemburgo, membro di una casa regnante e perciò in una posizione sociale inespugnabilmente elevata. La principessa desidera sottolineare, attraverso uno sfoggio di esagerata dolcezza e amabilità, di non essere altera - un atteggiamento che dimostra che in effetti lo è - e il narratore è colpito dall'idea che ella si comporti come davanti a dei miti animali chiusi dentro una gabbia nel Jardin d' Acclimatation. La nonna è trasformata in una zebra o in una giraffa, che con il muso teso verso le sbarre aspetta che le allunghino un pezzo di pane. La spiaggia e il giardino zoologico si scontrano e si chiariscono vicendevolmente, e una nuova scena si crea al di sopra di essi. Ma anche al di fuori delle grandi scene parallele si scopre in Proust che ogni essere umano, ogni scena e quasi ogni riga ha un parallelo, un'ombra che li segue. Un oggetto, che non ha legami con nessun altro e che è perciò libero dalla prigionia nello spazio e nel tempo, è un oggetto morto, pesante e intollerabile. Solo quando lo scrittore trova un essere umano che somiglia a un altro essere umano nell'arte, nella letteratura o nella vita quotidiana, ed esso attraverso questa somiglianza riceve una possibilità di fuga· dal tempo e dal proprio angusto destino, lo ammette a far parte del suo mondo poetico. Qualcosa di nuovo Quando la Recherche era ancora un lavoro fresco, alcuni dei maggiori talenti dell'epoca, Walter Benjamin e Samuel Beckett in primo luogo, ne videro il carattere rivoluzionario. Essi intuirono che la descrizione della vita sulla terra creata da Proust rappresentava qualcosa di nuovo. Ma le convenzioni letterarie sono tenaci. Proust e il suo romanzo finirono nelle mani di biografi banalizzanti e di pseudopsicologi che frugarono nella sua vita privata, che riuscirono a neutralizzare il messaggio artistico nella coscienza di molti lettori. Proust s'immagina che la verità sulla nostra esistenza sia nascosta dall'abitudine e dalle convenzioni, che stendono un velo di ghiaccio sopra l'acqua viva. L'unico modo per raggiungerla consiste nel vedere la bellezza di una cosa unicamente dentro un'altra cosa. È nel balzo stesso da un'impressione all'altra che avviene la trasformazione. La metafora è il linguaggio dell'anima. Il sangue e le ombre Nel 1905, all'età di trentaquattro anni, quando ancora non aveva iniziato il suo grande romanzo ciclico, Proust scriveva all'amico Antoine Bibesco: "Io sento quanto è stata vuota la mia vita, e vedo centinaia di figure per un romanzo e mille idee che mi supplicano di dar loro corpo, come le ombre nell'Odissea quando implorano da Ulisse un sorso di sangue che restituisca loro la vita."

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