Linea d'ombra - anno X - n. 72 - giugno 1992

aspetto: metteva conto? La seconda guerra mondiale mi appariva da tempo storicamente necessaria; ci si poteva illudere, allora, che essa avrebbe portato a definitiva maturazione i problemi europei: ossia, il problema del socialismo al potere in tutta Europa, presupposto per una unificazione futura. La scomparsa violenta dei due dittatori avrebbe essa evitata la guerra, che sembrava imminente? Era probabile. Ma se tale guerra era storicamente necessaria, valeva la pena del sacrificio, per soltanto procrastinarla? E non era, in fondo, preferibile che essa venisse al più presto, se venire doveva? E i popoli, ai quali in tal modo si sarebbero evitati, almeno per alcuni anni, la distruzione e il macello, avrebbero capito a quale pericolo erano sfuggiti, oppure non avrebbero trovato che parole di compianto per le vittime? E non sarebbero rimasti in piedi i due regimi, anche decapitati, visto che non appariva esservi pronta una forza politica nuova per la successione? Questi erano, lo dico a mia vergogna, i pensieri che mi agitavano. Forse sotto ad essi, senza che io me ne rendessi conto, si nascondeva l'orrore della creatura contro la propria distruzione. Ma posso assicurare che tale orrore non mi fu mai cosciente, se non per, almeno apparentemente, superarlo. Più difficile a superare era il pensiero della famiglia; che si sarebbe potuta allontanare dall'Italia con qualche pretesto proprio in quei giorni (ma non avrebbe dato sospetto, questo viaggio in Olanda? Forse no); o sarebbe bastato, lasciandola qua, di essere completamente all'oscuro dei propositi recati in atto, a evitarle persecuzioni e sofferenze? (Ci sarebbe stata, certamente, la confisca dei beni; e allora bisognava poter provvedere in precedenza con un trasferimento clandestino di qualche somma di cui andavo considerando le possibilità.) In tutto questo non vi era che impotenza e fantasticheria. Ma io mi arrovellavo davvero. E non dormivo. Durante il giorno, poi, tranquillamente mi preparavo nei musei o correggevo bozze a Palazzo Chigi. Questo era il mio stato d'animo di tenebroso e impotente macchinatore, alla cui coscienza era in fondo consapevole l'inutilità di questi piani, e che nulla sarebbe stato fatto, per quanto tutto sarebbe stato possibile, se ci fosse stata una spinta esteriore. Ma, e questa è la conclusione alla quale tendo, e che può interessare i curiosi di psicologia: dal primo giorno nel quale poi mi trovai a sedere sullo strapuntino accanto ai due personaggi, questi miei propositi, queste mie fantasie, non mi vennero nemmeno una volta più alla mente. Me ne ricordai soltanto quando tutto fu passato.( ...) Viva rimase invece in me la curiosità di veder da vicino questi due personaggi, di poter avere, per una impensata combinazione, una impressione diretta di essi, non deformata dall'odio né dal servilismo, una testimonianza personale che non poteva non essere preziosa per chi, come me, fosse soprattutto curioso di intendere il proprio tempo, e avesse scelto da un pezzo il proprio posto fra gli spettatori, anziché tra gli attori. Così giunsi al venerdì 6 maggio. In tal giorno Hitler, accompagnato da Mussolini, doveva visitare la "Mostra della Romanità" e la mia funzione era soltanto di rincalzo. Potei così osservare da una certa distanza, ma assai da vicino, i due personaggi, e segnare poi nel mio taccuino le impressioni riportate all'inizio. Hitler aveva con sé un largo seguito. Soltanto Goring era rimasto a Berlino a guardar casa. C'erano Goebbels e Ribbentrop, STORIE/ BANDINELLI Himmler e Hess; Frank, il Gruppenfiiher Wolf, Briickner, Amann, Keitel, il Gauleiter Bohle; Dietrich dell'ufficio stampa e Sepp Dietrich, comandante della Leibstandarte e capo SS. Dopo un poco feci gruppo con il dott. Karl Brandt, medico di Hitler, e con altri, tutti in divisa. Non ricordo se il dott. Brandt apparteneva alle formazioni SS; mi sembra di sì. Certo era il più fanatizzato giovane della nuova Germania, che avessi mai incontrato. Le cose che si sentivano raccontare, e alle quali si stentava sempre a prestar fede per intero, ritenendole almeno in parte motivi di propaganda avversaria, venivano dette da questo giovanotto con la maggiore tranquillità, che dimostrava una profonda consuetudine con quelle idee. Idee non erano, in fondo; molte erano semplicemente citazioni diMein Kampf, il vangelo nazista; ma citazioni che, tradotte in realtà, grondavano sangue e lacrime: soppressione dei fanciulli deboli, soppressione dei malati di mente, dovere che dovrebbero sentire i grandi invalidi della passata guerra a sopprimere se stessi per contribuire ancora una volta alla ricostruzione della Germania, che ha scarsezza di viveri. E, soprattutto, abolizione del cristianesimo: "Il cristianesimo è stato la prima ondata bolscevica, con esito positivo per essa - negativo per la civiltà - che si sia riversata sull'Europa. Lo conferma l'arte: l'occhio si fa vago e incerto, le figure laide e grottesche come quelle di Munch e di Barlach oggi. La vecchia generazione non può capire; ma i giovani che vengono su, trovano normale che il cristianesimo venga abolito. Non è più una questione che si ponga. Per lo spirito di carità c'è il W.H.W. (Opera d'assistenza invernale), che supplisce." Senza meraviglia ho letto recentemente nei giornali la notizia che il dott. Brandt era stato condannato a morte quale criminale di guerra per aver fatto esperimenti crudeli sugli uomini e sulle donne nei campi di concentramento: "responsabile di esperimenti su cavie umane" (giornali del 20 agosto 1947). Le identiche parole sul cristianesimo, prima ondata bolscevica sull'Europa, le avrei sentite, il giorno dopo, pronunziare dallo stesso Hitler al Museo delle Terme di Diocleziano, dinanzi a un sarcofago paleocristiano che era esposto nel giardino. Egli ne paragonava lo stile artistico a quello "secessionistico ed espressionistico, che ho bandito dalla Germania". Compresa l'improprietà del vocabolario, era la redazione autentica di uno dei versetti del vangelo nazista: "Il cristianesimo distrusse Roma pur divenendo universale solo attraverso Roma." Mussolini ascoltava dondolando la testa in silenzio; forse il rispetto del Concordato gli impediva di esprimersi. Assistei in questa occasione alla prima manifestazione di una particolare tecnica di Hitler, che doveva ripetersi poi di sovente durante le visite. Quanto io gli avevo spiegato, se lo interessava in modo particolare, veniva a sua volta da lui spiegato al suo seguito. "Sehen Sie, meine Herren" (Vedano miei Signori), cominciava; e poi quello che io avevo detto veniva ripetuto, ma completamente deformato e adattato a esemplificare qualcuna delle sue idee prestabilite. Tutto veniva adattato al letto di Procuste dell'ideologia nazista con, al tempo stesso, una ingenua preoccupazione di documentare le cose esattamente. La stessa mentalità, puerile e fantastica, mi aveva colpito, anni prima, nell'ex-Kaiser, e mi impressionò la constatazione che il popolo tedesco, così ricco di qualità, finisse per avere sempre dei capi di questo stampo. Così, nello stesso museo, dinanzi alle oreficerie di Castel 43

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