ACCOMPAGNANDO IL FUHRER E IL DUCE Ranuccio Bianchi Bandinelli Bianchi Bandinelli (Siena 1900 - Roma 1975) fu archeologo e studioso dell'arte classica, un nome di primissimo piano nella cultura italiana del secondo dopoguerra. Fu, tra l'altro, direttore generale delle Antichità e Belle Arti, da cui si dimise per la verificata impossibilità di modificarle. Fondatore e direttore della Enciclopedia dell'arte antica, classica e orientale ( 1956-66) e della rivista "Dialoghi di archeologia" ( 1967), è autore tra l'altro di Storicità dell'arte classica (1943), Organicità e astrazione ( 1956), Archeologia e cultura (1961), Roma. L'arte romana nel centro del potere ( 1969), Roma. La fine dell'arte antica ( 1970), Etruschi e italici prima del dominio di Roma ( con A. Giuliano, 1973), Introduzione allo studio dell'archeologia come storia dell'arte classica ( 1976, postumo). Nel 1962 pubblicò presso Il Saggiatore Dal diario di un borghese, in cui narrò le sue esperienze di vita e cultura e le sue convinzione politiche, dalle origini nobiliari all'antifascismo e all'adesione al Pci. È da questo volume che è tratto, con qualche taglio, il resoconto del viaggio di Hitler in Italia nella primavera del 1938: Bianchi Bandinelli, come spiega egli stesso in queste pagine, era stato chiamato dalla Farnesina a fare da guida a Hitler e da interprete tra i due dittatori. Ringraziamo la famiglia Bianchi Bandinelli per averci permesso di riproporre questo testo che, crediamo, ben pochi tra i lettori più giovani conoscono. Veduti Mario e Silla. Impressione prima e sorprendente di Mario: grottesco e bruttissimo. Cammina come un burattino, con curve e mosse oblique del capo, che vorrebbero mitigare la sua massicità, ma sono soltanto goffe e sinistre. Chiude gli occhi, sorride, fa continuamente una commedia puerile. Si è fermato dinanzi alla riproduzione ingrandita della moneta degli idi di marzo, a lungo, perché lo vedessero. Poi ha pronunziato il nome di Bruto con sorriso di commiserazione, accolto da risate dagli altri. Si stringe troppo in vita, il che lo rende più goffo. Ha la presenza antipatica di certi agenti di campagna pieni di boria perché sanno di essere i più abili sul mercato del bestiame e hanno grossi portafogli. Silla è, nell'aspetto primo, meno repulsivo. Composto, ordinato; quasi modesto. Quasi servile, anche. Una personalità di aspetto subordinato: qualche cosa come un controllore del tram. Viso vizzo. Mario, invece, lo ha turgido, lucido, dalla pelle grassa. Con questa annotazione si apre un minuscolo taccuino sul quale mi ero ripromesso di andare segnando le impressioni, sera per sera, che avrei avute nei giorni durante i quali avrei accompagnato Hitler nei musei di Roma e di Firenze. Mario era Mussolini; Silla, Hitler. La ripugnanza, allora tanto diffusa, di pronunziare e di scrivere quei nomi (da noi si diceva "lui", "l'Innominato"; in Germania si diceva "Emil", "Baedeker", ecc.) mi aveva fatto, non so come, scegliere quegli pseudonimi; forse solo perché Mario cominciava per M. e perché Silla aveva una terminazione femminile, data la incertezza sessuale del personaggio. Ma prima di continuare a trascrivere dal taccuino, bisogna rifarsi un passo indietro. Poco dopo la metà di marzo del 1938 (ero professore ali' Uni ver - sità di Pisa, ma abitavo a Firenze), un telegramma del Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale delle Arti, mi chiama a Roma. Rispondo che sarei andato qualche giorno dopo, in modo da non perdere lezioni. Poiché mi ero occupato di alcune questioni artistiche che si dibattevano nella mia città natale, credevo che la mia chiamata fosse a quel proposito. Arrivato al Ministero, prima di presentarmi, andai a trovare alcuni amici, funzionari delle Belle Arti, le uniche persone che conoscessi là dentro, e da essi appresi lo scopo della mia chiamata e che erano stati essi, A. e B., a suggerire il mio nome. In ciò certamente avranno creduto di giovarmi mettendomi in evidenza e facendomi uscire dal mio costante e caparbio tenermi in disparte da ogni occasione nella quale entrasse ufficialmente la fazione allora dominante (tanto da non aver mai assistito, in parecchi anni ormai di insegnamento universitario, alla inaugurazione dell'anno accademico per non presenziare i discorsi encomiastici che in tale occasione venivano pronunziati dai colleghi, altrimenti rispettabili, che non sapevano resistere all'ambizione delle cariche accademiche. Comunque, anche con buona intenzione, essi mi cacciarono in un bell'imbroglio. Ed è sintomatico per la mentalità del tempo, che non se ne rendessero conto. Con ciò vorrei anche eliminare il sospetto che lo abbiano fatto per compromettere un poco anche me.). Introdotto presso un alto funzionario, che vedevo per la prima volta, questi mi disse che aveva pensato di affidarmi l'incarico di accompagnare Hitler nei musei, nelle gallerie e nelle visite ai monumenti di Roma e di Firenze, data la mia conoscenza della lingua tedesca, il mio interesse non limitato solo alle cose archeologiche, giacché si voleva che una sola fosse la persona incaricata, e la mia "disinvoltura mondana" (proprio così). lo mi attaccai subito all'affermazione di questa dubbia qualità, dicendo che, supposto che io ne avessi, essa mi abbandonava totalme11te quando mi trovavo in presenza di persone per le quali non provassi sentimenti di simpatia e di stima; e questo era il caso, dovevo dire francamente, del personaggio in questione, dato che molti miei amici e parenti tedeschi si erano trovati in penose situazioni sotto il regime nazista. Credevo che questa mia dichiarazione bastasse a farmi escludere, in regime di polizia, come persona sospetta o almeno poco indicata alla funzione destinatami; ma dovevo avere altre prove di come questo regime di polizia fosse, per fortuna nostra, male organizzato. Nel che potevo concordare con le critiche, che non mancarono, in quella occasione, da parte di Himmler. Ma l'alto funzionario, che non era tanto un fanatico fascista, quanto un ottimo intenditore di spaghetti all'amatriciana, non si impressionò. "Intendo anche ciò che Lei non mi dice" rispose, "ma qui si tratta di far fare una buona figura alla cultura italiana, e noi cerchiamo da settimane la persona da proporre al Ministero degli Esteri, che ce ne ha fatto richiesta." Allora feci dei nomi di altri colleghi, che sapevano bene il tedesco; qualcuno poi mi sembrava particolarmente adatto, anche politicamente, al compito. Ma erano già stati presi in considerazione e scartati. Sicché non potei strappare altro che una promessa, che valeva ben poco, che si sarebbe visto se era possibile evitarmi questo fastidio. Non fui quindi molto sorpreso di ricevere, otto giorni dopo, un nuovo invito a recarmi a Roma, e questa volta dal Capo di Gabinetto. Il quale non dava del Lei, ma del Voi, ed era assai più spicciativo. Di fronte alle mie nuove obiezioni, mi disse chiaramente che, come impiegato statale non era il caso di fare tante difficoltà; che avevano chiesto a me questo favore, ma che potevano 41
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