Linea d'ombra - anno X - n. 72 - giugno 1992

STORIE/ KOPJITII spalle, pallido in volto come stesse per svenire, e con nel piatto nient'altro che un alluce. "Cretino, e questo sarebbe tutto quello che hai preso?" non potetti impedirmi d'esclamare, infuriato e a disagio perché proprio lui, mio figlio, mi faceva perder la faccia. "Dai, calmati, è la prima volta, no?" disse mia moglie con dolcezza. E in effetti sì, la prima volta che mio padre mi aveva accompagnato a mangiare carne umana, di certo non mi ero comportato meglio che mio figlio oggi. Me lo ricordavo bene, e questo mi fece ritrovare la calma e avere pietà di lui. Il cameriere li liberò entrambi dai tovaglioli. "Scusami - e adesso mangia, provaci", dissi a mio figlio conciliante. Abbozzò un sorriso, fece cenno di sì con la testa e mi guardò fissamente, come volesse imitare il mio modo di affrontare la carne nel piatto. Con la sinistra, piantai nella carne la forchetta e, stringendo il · coltello nella destra, ne staccai un pezzo e lo portai alla bocca, masticandolo poi molto lentamente, per meglio assaporarne il gusto. "Tenera, tenerissima! Certo li hanno tenuti all'ingrasso", dissi a mia moglie. "Come?" Sollevò appena il capo. Non mi stava ascoltando, 40 era chiaro. La sua bocca era rossa come un tempo era quella di chi masticava bete!. "Dicevo che la carne è molto tenera." "Mm, sì, sì...", e assentì, infilandosi in bocca un altro boccone. "Ho scelto le costole più tenere", disse masticando. E poi, la bocca ancora piena, rivolta al ragazzo: "Senti un po', carino, e perché tu non mangi? Piantala di star col naso in aria, e sentirai che bontà!" Mio figlio prendeva tempo. Staccò lentamente la pelle dalla punta dell'alluce, alzò appena la forchetta, ma la mano gli ricadde sul tavolo. "Dai, assaggia. Non pensare alla morale. La morale va bene per gli esseri inferiori." "Mangia, ti supplico", disse mia moglie. Alzò controvoglia la forchetta con il pezzo di pelle e la portò alla bocca. Ma non appena la lingua ne ebbe realizzato il sapore, eccolo trasformarsi in volto come se gli fosse capitato un miracolo che proprio non si aspettava. Gli occhi gli brillarono di un lampo di ferocia e gettò uno sguardo pieno di voracità all'alluce dentro il piatto. Guardai mia moglie con un sorriso d'intesa, e lei rise contenta, aveva notato il cambiamento anche lei. Mio figlio infilò l'alluce sulla forchetta e lo portò avidamente alla bocca. Masticò con furia, il gusto della carne umana gli era ormai noto, e non c'era più nulla nella sua espressione a dimostrare qualche compassione per gli esseri inferiori. "Non avevo detto che ci voleva un po' di tempo per abituarsi?" mi disse mia moglie tutta fiera. Non risposi, mi limitai a guardare orgoglioso mio figlio. Egli divorò la carne, assaporandola a fondo, poi posò nel piatto una a una le piccole ossa spilluccate a dovere, senza più traccia di carne o di sangue, e di cui aveva succhiato il midollo. Sputò via l'unghia, e continuò a masticare senza decidersi a deglutire, rimandando il momento in cui quel sapore squisito sarebbe scomparso. "L'avevo detto che ti sarebbe piaciuta - e non era che un alluce!" gli dissi ridendo. Mi guardò con espressione contrita, come rimpiangendo di non avermi creduto fin dal principio: ché, se l'avesse fatto, la sua porzione sarebbe stata molto più grande. Lo sguardo gli si offuscò, ma non capivo se era per il rimorso o per il sapore del cibo. Finì per inghiottire, con aria di rimpianto. "Vado a prenderne dell'altra", disse facendo per alzarsi. "Troppo tardi, figlio mio, ormai restano solo le ossa." Gli passai un po' della mia carne e lo vidi masticarla senza più inquietudine. "Abbi cura del tuo coltello, è da lui che ricavi il diritto di mangiare carne umana assieme a noi", gli dissi, mentre tagliava a pezzetti la carne rimasta. "Mamma, dammene un po' della tua", disse con una voce implorante che dava piacere ascoltare. Lo osservai di soppiatto. La carne era finita, ma egli continuava a stringere con forza il coltello nél pugno e fissava il cameriere con uno sguardo molto esplicito. Sorrisi a me stesso, mi chinai di nuovo sul mio piatto, tagliai la carne in tranci sottili e mi rimisi a masticare con calma, da padre di famiglia soddisfatto di sé.

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