Linea d'ombra - anno X - n. 72 - giugno 1992

IL COLTELLO Chat Kopjitti traduzione dal francese di Saverio Esposito Chat Kopjitti (Bangkok 1954) è un interessante scrittore thailandese. Ha fatto parte in gioventù del gruppo letterario "Pradjane Sao" (Falce di luna), avanguardistico e europeizzante, e ha scritto racconti e romanzi vagamente esistenziali-stici. Di suo conosciamo, 1· perché tradotto in francese assieme a questo Coltello (Mite pradjam tova, I983) il racconto lungo Revang thammada (Una storia ordinaria), la cui protagonista è malata di cancro, un cancro che metaforicamente sembra affliggere tutta la società thailandese. È anche autore di Kam Pi Paksa (Il giudizio, 1982), storia di un monaco buddista che abbandona la religione, del lungo romanzoinchiesta Pane Ma Ba (I cani arrabbiati) che incrocia le vicende di alcuni ragazzi che crescono in un mondo alla deriva, e di tre raccolte di racconti. Nel 1989 si è trasferito a Los Angeles. Il coltello, storia "irrealistica" di iniziazione all'età adulta e alle sue regole, è un racconto violento e impressionante, il cui significato è valido anche per altre società, e forse per tutto il mondo attuale. Nella impossibilità di tradurlo dal thai, ci siamo rifatti alla traduzione francese di Marce! Barang, dal volume Une histoire ordinaire, Editions Philippe Picquier 1992. Siamo arrivati alle sette in punto della sera. Mio figlio dimostrava molta apprensione e mia moglie molta fretta, il che per lei era insolito e che mi pareva dipendesse dalla fame, poiché questo tipo di ricevimenti, cui tante volte mi aveva accompagnato, non poteva più provocare la sua eccitazione. La grande sala era illuminata da un lampadario centrale.C'era molta gente. Un pianoforte suonava in sordina e il brusio delle conversazioni, il tintinnio del ghiaccio nei bicchieri, il rumore delle bevande versate lentamente si mescolavano tra loro inmodo disarmonico. Uno spesso tappeto rosso sangue soffocava il rumore dei passi. Cercai invano il nostro ospite e, secondo le regole dell' etichetta, presentai rapidamente miamoglie e mio figlio a qualcuno degli invitati prima di raggiungere il nostro tavolo. In altre occasioni, mi sarei senz'altro fermato a scambiare due chiacchiere e a bere qualcosa, in attesa del pranzo, ma questa volta dovevo dedicarmi soprattutto a mio figlio, spiegargli alcune cose, evitare ogni malinteso che avrebbe potuto sciupare un avvenimento che era per lui di eccezionale importanza, poiché avremmo visto se la sua tempra era o non era all'altezza della mia, o se avrebbe dovuto scendere al rango di essere inferiore, il che, ovviamente, né io né mia moglie potevamo augurarci. Era importante che il morale fosse alto, perché fosse all'altezza della prova decisiva. "Bevi un po"' , gli dissi porgendogli un bicchiere preso dal vassoio di un cameriere. "Vacci piano", mi sussurrò mia moglie, certamente temendo che il ragazzo fosse ubriaco proprio al momento cruciale. Quando giungemmo al tavolo riservato per noi, il cameriere ci salutò con un inchino e ci fece accomodare uno dopo l'altro. Aveva modi cortesi che mal nascondevano la paura. Mi sedetti a mio agio, ed estrassi con cura il coltello dalla custodia, posandolo sul tavolo nella posizione prescritta. Mia moglie tirò fuori il suo dalla borsetta, e vi rimise la custodia dopo aver sistemato il coltello davanti a lei. Era un oggetto cesellato con arte, con un bellissimo manico d'avorio, come s'addice alle donne che amano le cose belle, ed era aguzzo come il dardo di un serpente. "Tira fuori il tuo", ordinò a mio figlio. Egli era ancora nel panico. Estrasse il coltello - e il mio sguardo fu colpito dallo scintillio della lama - con mani tremanti, posandolo maldestramente sul suo supporto. Lo avevo accompagnato io stesso a comprarlo, quando aveva avuto l'autorizzazione a possederne uno - un'autorizzazione che non tutti hanno la fortuna di ottenere. Sono molto pochi gli abitanti della nostra città che hanno diritto, come noi, a un proprio coltello; e chi questo diritto non ce l'ha è considerato come un essere inferiore. "Abbine cura: te ne dovrai servire in ogni occasione, dove che sia, che tu abbia fame o no. Ricorda sempre che non devi mai separarti dal tuo coltello." Molti anni prima mio padre aveva fatto a me questo discorso, ed era giunto il momento che fossi io a farlo a mio figlio. "Ricorda: il tuo coltello dev'essere sempre affilato, pronto a servirti in ogni occasione." "Io ... Io non ho il coraggio di farlo, papà." "Come puoi dire una cosa simile? Io sono una donna, eppure non ho mai avuto paura", intervenne mia moglie. "Per l'appunto ... Su, ora beviamo qualcosa." Alzai il bicchiere senza degnare il cameriere di uno sguardo, sapendo perfettamente che è suo compito esser pronto in ogni momento all'esecuzione di un'ordine: è della schiera di chi non ha diritto a un coltello, e deve star bene attento a non indisporre gente come me. "Vedi quel tipo laggiù", dissi a mio figlio, "di lui non devi mai fidarti. Quando sarà il momento, evita di trovarti al suo fianco. È uno che bara." "L'uomo dal vestito nocciola", disse mia moglie indicandolo di nascosto col dito. "Non far vedere che lo guardi. E piuttosto sta' a sentire. Quando si è in parecchi, certe volte quello lascia cadere il coltello, e qualcuno ci ha rimesso un dito... Su, bevi un altro po'. È quasi l'ora." Feci riempire di nuovo il bicchiere di mio figlio. "Anche se adesso fai parte di chi ha un coltello, non dar mai confidenza a nessuno", aggiunse mia moglie. "Quando saremo insieme a questo tipo di feste, sta' bene attento, non ti allontanare mai troppo dai tuoi genitori ... Buonasera!" Mia moglie si erninterrotta per salutare a mani giunte qualcuno alle mie spalle, e io mi voltai. "Buonasera." 37

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