CONFRONTI offerta dalla letteratura: s'intende, dalla vera, dalla buona letteratura, esplicitamente contrapposta alla cattiva (futile, evasiva, edificante). Da questa conclusione - benché posta a suggello di un'opera di ammirevole qualità- non c'è, a mio avviso, motivo alcuno di rallegrarsi particolarmente. Non che sia superfluo, né fuori luogo, il richiamo di Consolo alle responsabilità civili dell'invenzione letteraria, tutt'altro. Ma nemmeno si può dire che apra orizzonti nuovi: semmai, puntella un bastione che da tempo ci si vorrebbe poter lasciare alle spalle. D'altro canto, è probabile che la tetra, fremente notte cefalutana narrata da questo romanzo rispecchi fedelmente un presente gravido di oscurità, ben più che di luci. Nemmeno quel bastione, pur glorioso e antico, è insomma inespugnabile; forse quei puntelli bastano appena a che offra ancora riparo. Difficile pensare invece che la ricerca stilistica di Consolo possa sopportare un ulteriore sovraccarico di tensione: da questo punto di vista, Nottetempo segna forse una "soglia estrema", come quella dove Petro, prostrato dal dolore, riesce tuttavia ad arrestarsi, a tornare indietro, a "tener vivo nella notte il lume, nella bufera" (fra le tante allusioni, più o meno palesi, questa montaliana mi pare rivelatrice): "E s'aggrappò alle parole, ai nomi di cose vere, visibili, concrete. Scandì a voce alta: scandì come a voler rinominare, ricreare il mondo. Ricominciare dal momento in cui nulla era accaduto, nulla perduto ancora, la vicenda si svolgea serena, sereno il tempo". Ali' origine della straordinaria dovizia lessicale e della sontuosa elaborazione retorica che sfoggiano i romanzi di Consolo stanno dunque insieme il rimpianto d'una favella edenica, primigenia, e la coscienza della sua assoluta inattingibilità. Ma è il nesso fra letteratura e mondo reale-cioè a dire, la radicale non-autosufficienza dell'istituzione letteraria-a garantire l'equilibrio fra le opposte istanze, e con esso la "presa" dell'invenzione linguistica. La forza insomma di questa narrativa, al contempo manieristica ed espressionistica, barocca e geometrica, sensuale e razionalizzante, risiede tuttora nell'insolubile ambiguità del sorriso dell'ignoto di Antonello da Messina. Su questo tagliente crinale tra partecipazione e straniamento, tra ironia e pietà - che inevitabilmente si sovrappone al malcerto discrimine fra orgoglio e miseria della letteratura - Consolo ha. credo. ancora molto da darci. Viaggioin Italia. Ancorasu 1111ladro di bambini" Alessandro Baricco Ogni tanto, e nei modi più diversi, l'Italia si racconta. Begli autoritratti che concimano lo sdegno e la desolazione. L'Italia che piange in diretta portando le proprie tragedie all'inceneritore dell' Auditel, l'Italia dei sondaggi, moralista e penosamente sporcacciona, l'Italia dei dati Censis, ricca senza sapere perché, l'Italia che relaziona sulle proprie beghe famigliari davanti alle telecamere di Berlusconi, ma chi se ne frega, l'Italia dei libri italiani, ma chi l'ha mai vista, l'Italia che va alle urne e protesta, da destra, però, correndo trionfalmente verso il futuro, in retromarcia, però. Volendo fare i conti, alla fine, resta la beffarda forbice di un dubbio curioso: o l'Italia fa davvero schifo o non si sa raccontare. Un modo per capire che, sorprendentemente, è vera la seconda ipotesi è entrare in un cinema e vedere Il ladro di bambini di Gianni Amelio. E vedere l'Italia com'è, se uno la sa raccontare. Il film parte da uno dei tanti orrori del Belpaese, un caso di prostituzione minorile. Ma poi non parcheggia lì, accomodandosi nel divano morale dello sdegno e della denuncia. Col bisturi di un umanesimo irriducibile, intacca la superficie dell'orrore e va a stanare i clandestini sentieri dove la gente fa correre con ostinazione la propria pretesa a una qualche innocente felicità. È l'affettuoso protocollo di una quotidiana resistenza, combattuta con armi giocattolo, con il minuscolo eroismo dei vinti che non si arrenderanno mai a perdere. È una liturgia di gesti minimi, poveri. L'orto ritagliato a due passi dalla statale, col rombo dei Tir che cancella a casaccio le poche parole snocciolate in dialetto, il bambino vestito da Zorro, quella volta che si va al mare e si impara a nuotare, un verso di una canzone di Vasco Rossi per cacciare la paura, un panino in un treno che non arriva mai, le foto di Maradona sul letto, avere qualcuno che ti compra le patatine, scoprire come è bella una chiesa bella, farsi la foto il giorno della prima comunione, sognare di farsi una casa in un posto devastato da geometri e speculatori, che però è vicino a dove sei nato e se ti giri a destra vedi il mare e se ti giri a sinistra vedi i monti. Sono briciole di nulla. Ma bisogna saperle raccontare. E raccontate da Amelio diventano i focolari di una rivolta silenziosa e a suo modo feroce: quella di cui solo son capaci i semplici. Non a caso i suoi eroi sono due bambini e un giovane carabiniere, pulito e normale. I due bambini consegnati allo schifo dalle colpe di padri, il giovane carabiniere messo al loro fianco dall'asettico dettato dei regolamenti. Anelli deboli della catena sociale. Viaggiano per tutta l'Ital.ia cercando un Istituto di rieducazione, ma soprattutto viaggiano dentro la miseria loro e di tutti trovando per strada il riscatto della complicità, di un'elementare solidarietà. E più preme, da fuori, il tanfo dell'orrore, più la salvezza sceglie momenti da niente per esplodere. Così ci si salva semplicemente stando a mangiare un panino sulla spiaggia, un carabiniere e un bambino uno di fronte all'altro, col carabiniere che racconta barzellette sui carabinieri e il bambino che racconta l'unica barzelletta che sa, ed è anche sporca, ma non importa. Salvi, comunque. Amelio racconta un'Italia dei semplici, teatro sommerso di una guerra di resistenza che pochi sanno vedere. Che è anche difficile giudicare perché la gente ci costruisce felicità usando i detriti della desolazione: non c'è niente di più triste di un bambino vestito da Zorro eppure, se a raccontarlo è Amelio, diventa l'icona di una felicità rubata. Incredibile. Come se tutto il ciarpame della falsa allegria obbligatoria trovasse un suo istante di verità sotto la macina dell'orrore quotidiano. Amelio inquadra quell'istante e con ciò scoperchia la realtà di un mondo nascosto tra le righe della cronaca, tagliato fuori dal lusso di una qualche ideologia, senza il tempo di distinguere il bene dal male, tenuto insieme da lampi istintivi di solidarietà e reso inossidabile dal rifiuto cocciuto di qualsiasi resa. È un'Italia anche quella, una delle tante. Finalmente qualcuno è riuscito a raccontarla. 25
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