Linea d'ombra - anno X - n. 72 - giugno 1992

Lottecontadine in Sicilia (1948). errore: alla tematica meridionalista è concesso in realtà un intero saggio, quello di Gino Massullo su La riforma agraria. Questo saggio, che si discosta dagli altri sia per l'impostazione che per la scelta cronologica (in genere l'indagine è rivolta all'Ottocento, qui ci si sofferma sull'ultimo quarantennio), dimostra in modo esemplare il legame di causa esistente tra crisi agraria, questione meridionale e politica economica, per cui mi sembra utile dedicarvi un'analisi specifica. Sin dalle prime pagine Massullo mostra di condividere una convinzione espressa nell'immediato dopoguerra da Rossi-Doria, che riteneva superato il mito di una riforma agraria generale delle campagne italiane. Solo apparentemente questa convinzione è smentita dai fatti: nel 1950 vengono avviate le leggi di riforma agraria. Ma nel suo intervento Massullo riporta l'intero movimento di riforma fondiaria alle motivazioni ideologiche dei ceti dirigenti che ne furono promotori. Al termine del confronto non solo trova conferma l'iniziale ipotesi di Rossi-Doria, ma viene alla luce uno spaccato significativo della politica italiana del primo decennio repubblicano. Da tale scenario emergono due questioni centrali, il problema della rappresentatività della classe dirigente e quello dell'egemonia. Entrambi trovano una soluzione significativa nella politica di riforma fondiaria. Dalle sue origini l'impostazione della riforma agraria è stata segnata dal confronto tra tecnici e politici. Ora, la distinzione tra un avanzato piano tecnico-produttivo e una dimensione politica inadeguata ha costituito da parte delle correnti di pensiero laico la giustificazione per sostenere la politica di riforma fondiaria senza compromettersi con i suoi risultati; una prima formulazione di questo teorema è stata avanzata nel I957 in un'inchiesta condotta da Galasso sulla rivista "Nord e Sud" riguardo alla riforma agraria in Sila. Massullo smonta questo argomento in maniera convincente. Egli intende dimostrare che, se il progetto di riforma non riuscì a trovare sostegno "da parte di uno schieramento progressista che lo realizzasse compiutamente, in un'ottica non esclusivamente produttivistica" e se esso è divenuto "elemento importante di una linea politica moderata che non esitò a sacrificare la riforma dei patti agrari e lo sviluppo della libera cooperazione alla ricomposizione di un blocco sociale nelle campagne conquistato all'egemonia del partito di maggioranza relativa", ciò non è attribuibile a una responsabilità né 16 esclusivamente tecnica né astrattamente politica. I due piani sono correlati; l'andamento del movimento di riforma riproduce infatti gli orientamenti dei gruppi dirigenti del dopoguerra, rivelando compiutamente i caratteri dell'egemonia democristiana e la mancanza di uno schieramento progressista in grado di gestire il mutamento. Le responsabilità della sinistra nel determinare la svolta moderata che gestirà la riforma agraria non sono meno gravi di quelle del governo. Mentre i socialisti si mantengono su una posizione schematicamente collettivista, senza entrare così nel merito dei problemi posti dalla questione agraria, i comunisti abbracciano togliattianamente una strategia di mediazione tra una linea ortodossa, che intende privilegiare il sostegno alle classi marginali per acuire il fronte dei conflitti agrari, e la linea più moderata di Sereni, che ricerca l'alleanza interclassista di tutti i contadini contro la rendita fondiaria e il capitale monopolistico. L'interclassismo è il terreno di confronto con la Dc. La posizione di vantaggio che questo partito riesce ad acquisire deriva soprattutto dalla traduzione sul campo di un'intuizione fondamentale: che una riforma agraria avviata in una fase di seconda industrializzazione non dovesse più intendersi come "presupposto di un canonico processo di sviluppo industriale basato soprattutto sul trasferimento di risorse tra i diversi settori della produzione, ma tentativo di contenimento degli squilibri e delle contraddizioni verificatesi nell'ambito dell'originale e reale caso di sviluppo italiano". A partire dalle scelte di politica agraria la predominanza nel sistema italiano di una strategia di governo minimalista diventa un connotato indelebile del potere democristiano. Nella posizione di questo partito, come osserva Massullo, modernità e moderatismo politico si sostengono vicendevolmente. Da un lato è presente la consapevolezza di dover completare la disgregazione del sistema latifondiario avviando la redistribuzione delle terre; dall'altro però il rilancio della politica agraria viene subordinato alle necessità impost~dal capitalismo industriale. Alla fine la Dc riuscirà a conciliare le diverse spinte presenti nel fronte moderato imponendo un nuovo dualismo alla politica di sviluppo, tale da rinnovare i termini della questione meridionale. Il divario Nord-Sud diventa ora un elemento funzionale della dinamica capitalistica. L' investimento di risorse viene indirizzato all'espansione dell'industria settentrionale, mentre al meno competitivo Mezzogiorno è destinata una politica di sostegno agricolo e di potenziamento infrastrutturale, attra-

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