IL CONTESTO la "svolta antropologica" di padre Balduce1 a cura di Mario Cuminetti L'improvvisa morte di padre Ernesto Balducci non può non riguardare tutti coloro che nel dopo-guerra hanno Lottatoper una trasformazione culturale epolitica del nostro paese. Balducci è statofra coloro che più hanno contribuito a mutare il mondo cattolico italiano e a superare steccati che sembravano insuperabili. L'impegno dei suoi ultimi anni per LaLaicitàe per la pace, un impegno vissuto con credenti e non credenti, testimonia un cammino che è esemplare di un modo nuovo di porsi di molti cattolici e che ormai non può più essere considerato un cammino di parte. Vogliamo ricordare p. Balducci ripercorrendo con Lui - citando da II cerchio che si chiude. Intervista autobiografica a cura di Luciano Martini (Marietti 1986)- alcuni momenti della sua vita con particolare attenzione alle tappe e alle persone che segnano una evoluzione della sua personalità. Balducci nasce a S. Fiora, sul Monte Amiata, nel 1922. Figlio di un minatore, lascia presto Lafamigliaper il seminario degli Scolopi a Roma. Pur non rompendo mai il Legamecon le sue origini, egli ha sempre sentito L'entrata nella vita del clero come una "infedeltà". È interessante sentirlo parlare di questa scelta perché rivela ciò che comportava in quegli anni una simile decisione. (M. C.) La sua attività sacerdotale inizia a Firenze ove si inserisce immediatamente nel mondo intellettuale cattolico, nel 1943. L'incontro con Giorgio La Pira rappresenta un momento fondamentale. Mi incontrai prima col mito La Pira e poi con la persona. Nel mondo cattolico, animato da una comprensione apologetica della realtà, La Pira appariva, già prima della guerra, come un uomo simbolo, sia perché incarnava le qualità dell'ascetica cristiana, sia perché era insospettabilmente vicino al mondo dei poveri, e quindi serviva come riferimento antagonistico alla scelta di classe, sia perché aveva l'aureola dell'uomo religioso, con le passioni devote previste dal modello, a cominciare dalla fedeltà alla chiesa. Un giorno, eravamo alla fine degli anni Quaranta, fui chiamato da lui che dirigeva, pur sotto l'amministrazione comunista (anche questo era un fatto atipico) l'Ente Comunale di Assistenza, ed era presidente della San Vincenzo toscana. Mi chiese se potevo aiutarlo occupandomi dei gruppi vincenziani giovanili. Anche se avevo fondato un gruppo vincenziano nel mio istituto, non mi ero lanciato in quel settore. Gli chiesi: "Ma perché ha pensato a me?". Mi sorprese e mi convinse la sua risposta: "Perché lei è il prete meno clericale che conosca". Per quanto circondata da un sorriso e quindi disinnescata da ogni intenzionalità polemica, la risposta mi dette subito il segno di quella libertà di spirito che ho poi sempre riscontrato in La Pira: un uomo libero nei confronti di certe pretese clericali e tuttavia fedele all'istituzione fino in fondo, come sappiamo. Da allora nacquero molte occasioni di incontri e di conversazioni. Un incontro di quei primi anni mi è rimasto vivo nella memoria. Si era diffusa la notizia che Giuseppe Dossetti aveva deciso di lasciare la politica. Mi rivedo con La Pira al piazzale Michelangelo, appoggiati alla balaustra che mette a contatto fisico con la città, la "sua" città, perché era già sindaco. La Pira polemizzò amabilmente con Dossetti che, a suo giudizio, era un cartesiano, non sapeva disporsi agli imprevisti della storia. La storia non è un teorema. Rimasto deluso nelle sue esigenze deduttive, Dossetti aveva fatto una scelta che, certo, lui rispettava, ma che non considerava con molto entusiasmo. La percepiva piuttosto sotto l'angolo della fuga dalla politica che non sotto quello del suo trascendimento. Gli incontri si fecero sempre più familiari, dovuti sia alla sua ricerca di momenti di distensione sia a ragioni di collaborazione nel quadro di convegni di varia natura, sia perché quasi ogni giorno faceva 12 sosta al Centro di Impegno Cristiano, il Cenacolo, che fondai nel 1952, non dico per suo stimolo, ma senza dubbio per il clima che avevo respirato attorno a lui. Nacque così un sistema di conversazione, nel senso etimologico della parola, di consuetudine allo scambio di idee, che è rimasto intatto per almeno quindici anni. Intanto io vivevo un po' - come molti che hanno sottoposto a processo critico questo atteggiamento - in uno schema approssimativamente quarantottesco, che assegnava alla Democrazia Cristiana il compito di raccogliere in sé tutte le forze cattoliche, in alternati va al comunismo: un'alternativa a taglio verticale, metafisico. I legami della Democrazia Cristiana con le logiche del potere erano ancora molto tenui. Essa era, come poi non è più stata, un partito a base molto popolare. Nei confronti del comunismo La Pira ha rappresentato un'alternativa di nuovo tipo, perché, sia pure con venature e con metodologie vincenziane, egli è stato sempre, anche fisicamente, molto vicino alla categoria degli emarginati. Prendi il caso degli sfrattati. La Pira ha vissuto il problema degli sfrattati prima dall'interno, in ragione di una presenza caritativa, e poi lo ha tradotto in un progetto urbanistico, creando una zona di case minime adatte per gli sfrattati. Per lui il problema degli sfratti è stato sempre un problema drammatico. Cosa, ci tengo a dirlo, tanto più commovente se si pensa che situazioni del genere egli non le ha mai sperimentate personalmente, perché viveva come un monaco in una stanzetta di pochi metri quadrati. Si è accostato al dramma dello sfratto solo in virtù della sua partecipazione morale alla tribolazione del mondo. Quando è arrivato al sequestro degli appartamenti vuoti, ponendosi, in qualche modo, fuori legge, ha fatto qualcosa che altre amministrazioni, anche di sinistra, più rispettose - per convinzione e per costrizione - della legalità, non hanno saputo fare. Pensa poi ai problemi del mondo operaio. La sua difesa del diritto al lavoro non è stata declamatoria, optativa; si è tradotta piuttosto in una solidarietà esplicita durante l'occupazione delle fabbriche. Non ci dimentichiamo che cosa ha significato a Firenze la crisi della Pignone e della Galileo. Momenti drammatici, vissuti dal sindaco non dal vertice del palazzo, ma proprio al di là dei cancelli, insieme a molti sacerdoti che fecero la scelta del mondo operaio fino in fondo, con esiti personali molto diversi. La nostra solidarietà con La Pira era dovuta soprattutto alla percezione che egli rappresentava una via possibile verso il superamento del conflitto di classe, senza accettare la metodologia del classismo per la quale avevo forti resistenze interiori. Non ci dimentichiamo oltretutto che eravamo nell'epoca staliniana. La Pira non viveva l'azione nel sociale su parametri municipalistici. Il Comune era per lui una sorta di laboratorio in piccolo per aperture su scala mondiale, come amava dire. La rivista "Testimonianze", che ancor oggi viene pubblicata, nasce alla fine degli anni Cinquanta, come emanazione del gruppo che ruotava attorno a Balducci. Essa ha avuto una importanza non comune nell'evoluzione di un certo mondo cattolico, soprattutto per il modo maritainiano di impostare il rapporto fede/politica/cultura. Da qui le grosse difficoltà poste alla rivista da parte della gerarchia ecclesiastica. Per evitare complicazioni canoniche la rivista uscì senza che io apparissi come direttore: facevo parte di una redazione colleggiale. Era insomma una rivista laica. Ma Roma, e cioè il Sant'Uffizio, intervenne subito per impormi la direzione e di conseguenza l'obbligo della revisione ecclesiastica. La revisione venne esercitata dalla curia fiorentina con estrema puntigliosità. Ci sarebbero episodi curiosi da raccontare. Il bersaglio preferito erano le pagine di ispirazione maritainiana. Proprio in quegli anni era in corso, su "La Civiltà cattolica", la polemica di Messi neo contro Maritain. L'avversione di Roma per Maritain ebbe la sua espressione più incredibile nel veto posto a Montini, arcivescovo di Milano, che voleva concedere al filosofo francese la laurea ad honoremdell 'Università cattolica. Nei miei confronti il Sant'Uffizio decise di passare alle maniere forti nel 1959. Impose ai miei superiori di portarmi via da Firenze, possibilmente fuori Italia. Riuscii invece a commutare laterrad'esiUo: fui relegato sui colli romani, a Frascati. TIprimo obbiettivo di Ottaviani, in accordo con mons. Florit, era di togliere a La Pira un cattivo consigliere, il secondo di far morire la rivista. Il fatto, per molti sorprendente, fu che la rivista continuò; la curia di Firenze fece perfino il tentativo di lavarsene le mani chiedendo che la revisione passasse al vescovo di Frascati. Io mi opposi nettamente a questo stratagemma e la redazione resse la prova.
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