per molti elettori cruciali, soprattutto nelle fasce intermedie della società, fra le fasce più prospere della working class, fra i piccoli impiegati e i lavoratori indipendenti. Soprattutto cioè nelle fasce di confine del tipo di avanzamento sociale che ho delineato, o recentemente arrivate. Così i laburisti, mentre hanno tenuto fra la borghesia illuminata, come nella circoscrizione di Hampstead e Highgate a Londra (dov'è stata eletta l'attrice Glenda Jackson), hanno perso in tanti centri come Basildon. In generale, il voto laburista si è mantenuto molto elevato nelle regioni dove i valori sociali sono leggermente meno individualisti e la divisione politica nord-sud rimane perciò estremamente forte (con i laburisti e gli altri partiti confinati essenzialmente in Scozia, Galles e nel nord dell'Inghilterra). Allo stesso tempo, i conservatori hanno addirittura ripreso un po' di terreno in Scozia e nel nord-ovest dell 'Inghilterra alle spese dei partiti terzi. L'analisi di queste elezioni ha più volte messo l'accento sulle diffidenze suscitate dal programma fiscale laburista e il rifiuto dalla parte dell'elettorato di un programma tradizionalmente socialdemocratico. Ma descrivere la situazione in questi termini rischia di essere riduttivo. In realtà, sembra ancora più importante il fatto che il partito laburista non ha saputo proporre alternative positive al progetto conservatore di tutelare le piccole strategie familiari di accumulazione e di mobilità. Evidentemente, l'Inghilterra è in larga parte un caso speciale. Ma i cambiamenti strutturali che hanno dato una plausibilità ai discorsi dei conservatori sono molto diffusi ed è possibile che simili processi abbiano inciso sulla forma presa dalla politica anche altrove. Dirittie doveri. le opinionidi un ''conservatore" Giorgio Bert Le osservazioni di Goffredo Foti (L.d' O. aprile 92, pag. 11)a proposito dei pochi che, oltre che dei diritti, sentono di avere anche dei doveri, mi paiono giustissime, ma suscitano a loro volta delle riflessioni da parte di chi, come me, lavora a contatto di quelle macchine inumane che sono le istituzioni. Doveri, è giusto: ma verso chi e da parte di chi? Perché, intendiamoci, tutti i buoni borghesi sono d'accordo sul fatto che gli altri dei doveri ne abbiano: anzi abbiano solo quelli: qualsiasi cittadino al bar o in tram è pronto a elencare i doveri dei commercianti e dei bancari, degli impiegati della posta o dell'USSL, dei ferrovieri e dei metalmeccanici... Doveri, che, ovviamente, non vengono adempiuti dai soggetti in questione, per definizione sfaticati e arroganti, ben diversi quindi da colui che, onesto e infaticabile lavoratore, ha il diritto di trinciare giudizi severi. È ovvio-quindi che Foti parla dei nostri doveri: e a questo punto merita precisare: doveri sì, ma nei confronti di chi? Per fare un esempio personale, io faccio il medico nel servizio pubblico, ma, vi assicuro, non sento di avere alcun dovere nei confronti dell'USSL, di quell'ente inutile (sul piano sanitario) che è la Regione né, tanto meno, nei confronti del servizio sanitario nazionale Si tratta di agenzie che dovrebbero gestire la sanità a nome dei cittadini, ma in realtà in cambio di molto denaro offrono ambulatori crollanti, ospedali degradati, personale (medico e non) spesso impreparato e soprattutto un nugolo di impiegati e funzionari amministrativi il cui scopo principale sembra essere quello di mettere i bastoni tra le ruote ad ogni iniziativa che vada oltre la routine più ottusa. Se è vero, come è vero, che nonostante tutto la sanità pubblica dà più garanzie di quella privata, ciò avviene non per merito ma nonostante la presenza dell'ingombrante carrozzone burocratico, capace IL CONTESTO solo di produrre cartaccia e disorganizzazione, iniquità e liste di attesa: fosse per gli amministratori si parlerebbe soltanto in termini di costibenefici, di autonomia economica, di profitti. In un siffatto contesto non si fa della buona medicina ma solo della medicina lucrosa, che trascura la stragrande maggioranza dei malesseri, colpevoli di non essere sufficientemente redditizi. Ritengo, come medico, di avere dei doveri soltanto verso i pazienti: innanzi tutto il dovere di aggiornarmi di continuo: in una parola di studiare; lo studio, in medicina, non dovrebbe finire mai. In secondo luogo esistono doveri etici a cominciare daJJ'obbligo di ascoltare il paziente per tutto il tempo necessario, anche se sembra insopportabile, lamentoso o ripetitivo. Non esiste (né può esistere) il dovere di trovare gradevole e simpatico l'interlocutore, né del resto possiamo pretendere che lui trovi simpatici noi, d'altra parte se così non fosse, il rapporto medico paziente sarebbe un piacere, non un dovere ... E tuttavia, quale che siano i nostri sentimenti spontanei, il nostro intervento deve essere compiuto al meglio. Doveri quindi verso gli utenti, i clienti o comunque li si voglia chiamare, indipendentemente dal!' istituzione e dalle sue regole impiegatizie (orologi segnatempo, moduli, standard orari), assolutamente inapplicabili al lavoro medico. È probabile che in una società complessa una qualche struttura istituzionale sia necessaria: essa dovrebbe però essere calibrata sui bisogni dei cittadini e non su quelli dell'istituzione stessa. È anche vero che i cittadini a loro volta ritengono di avere soltanto dei diritti, e contribuiscono non poco alle disfunzioni del sistema, solo che loro pagano il conto, sia sociale che economico. Dei miei doveri quindi non ritengo di rispondere alle istituzioni sanitarie, ma alla mia coscienza innanzi tutto: se mi comporto in modo incompetente o negligente sono io il primo a saperlo, e non è detto che il pretore sia in grado di giudicare meglio. In secondo luogo rispondo ai pazienti (il che non vuol dire che abbiano sempre ragione!), senza accettare condizionamenti né avere in mente la carriera. Evitando tuttavia i fastidiosi atteggiamenti populistici da medico sedicente democratico al servizio delle masse popolari: è verso quel paziente che ho precisi doveri in quanto medico, non verso "l'uomo" in generale. Temo di essere più pessimista di Foti a proposito dell'agire collettivamente da parte di minoranze oneste che avvertono l'esistenza di doveri e di regole morali. Ho paura di un rifiorire di gruppi di operatori "democratici" con tanto di convegni, riviste, sezioni e tempo perso. Non riesco più a pensare in termini di azione collettiva, di momenti esemplari, di punti di riferimento all'interno delle istituzioni: mi pare che chiunque, almeno nel mio mestiere, abbia lavorato a contatto con queste, siano esse Regioni o USSL, non possa che disperare a proposito della possibilità di operare cambiamenti, o anche solo interventi utili. Al momento mi sembrerebbe un grande successo riuscire a conservare quanto di buono esiste nel nostro lavoro, a ritrovare le nostre basi culturali ed etiche, nonostante la babele istituzionale amministrativa e burocratica. Le amministrazioni non hanno né anima né mente, né sentimenti né emozioni: solo ordini di servizio e moduli e regole inutili, da rispettare non si sa perché e a vantaggio di chi. Riscoprire e conservare quanto è stato faticosamente conquistato negli anni passati; conservare l'interesse per il mondo che cambia, senza pretendere di cambiarlo come piacerebbe a noi e senza dimenticare il mondo di ieri, le speranze, le utopie, le gioie, le delusioni: questo mi pare già un obiettivo difficile, ricordando che "tutto è già detto, e si arriva troppo tardi, dopo settemila anni che ci sono uomini, e che pensano": non inventeremo niente. E tuttavia mi pare importante che nulla vada perso nell'esaltazione dell'agire, del fare a ogni costo, del "lavoro di gruppo", dell'attività "interdisciplinare", dell'operatore "polivalente", del "troviamoci e parliamone". Riscopriamo e conserviamo con umiltà studiosa i valori morali su cui poggiava e dovrebbe poggiare ancora la nostra attività. In un momento di proposte casuali e spesso scomposte; di facili ironie e battute scontate sui valori, di fatto ignorati, di un passato volutamente rifiutato, è già un duro lavoro far sì che le nostre radici culturali non vengano dimenticate o irrise. Oggi, in un mondo di amministrativi ottusi, di chiacchieroni di professione, di satirici senza morale, di somari senza un passato e proiettati in un futuro immaginario e improbabile, l'appellativo di conservatore mi pare un titolo di merito. 11
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