30 VISTA DALLA LUNA I~ o::: ~ <t: ..J nel mondo. Ben presto alla folla che veniva a pregare si mescolarono individui dall'aria alquanto pia: chi aveva un taccuino, chi una macchina fotografica, chi un registratore. E cominciarono a giungere lettere di diffida da parte della curia. Così, questo della liturgia fu il primo problema che ci angustiò. La liturgia ci faceva sentire sempre più corresponsabili dei drammi dell'uomo contemporaneo. Mentre spezzavamo il Pane che toglie la fame più grande, il Pane della fraternità, come non pensare che nel Vietnam si trucidava e si torturava, che nel Biafra i bambini morivano di fame, che nell'America Latina era in atto uno sfruttamento crudele, che persino in Italia esistevano diseguaglianze che gridavano vendetta al cospetto di Dio? Fu proprio dalla preghiera eucaristica che esplose l'esigenza d'una serie di iniziative: veglie per la pace, riunioni di penitenza per la sopraffazione dei deboli, incontri ecumenici, l'adesione a una raccolta di firme per il riconoscimento giuridico dell'obiezione di coscienza, e così via. Quest'ultima iniziativa ci procurò un attacco del quotidiano dei missini, il quale chiedeva l'intervento della magistratura. La quale, sollecitamente, aprì un'inchiesta convocando decine di parrocchiani in qualità di testimoni. Mentre era in corso l'indagine - che si concluse con l'archiviazione-noi indicemmo un dibattito nella locale Società di mutuo soccorso. La sala era piena, grazie anche a un fitto stuolo di fascisti e di poliziotti, e il quartiere sembrava in stato d'assedio, con tante camionette e pantere. In quel dibattito, sulla retorica patriottarda dei missini ebbe facile sopravvento l'argomentazione pacata dei membri della comunità e di vari altri cittadini. L'episodio mi porta a parlare di un aspetto fondamentale del nostro lavoro in parrocchia.M'ero iscritto alla Società di mutuo soccorso per coerenza con un certo mio modo di essere presente a La Nave. Appena ero arrivato nel quartiere avevo mandato una lettera a tutti gli abitanti. Dicevo che ero in primo luogo un cittadino come loro e un lavoratore come loro, tanto che da loro non avrei preso denaro. La mia condizione di prete, spiegavo, ·indicava soltanto un servizio all'interno dei credenti, doveva avere un significato unicamente per questi ultimi, e non mi dava autorità o prestigio o potere nel quartiere né quindi esigeva un riconoscimento particolare. Cittadino al pari degli altri, consideravo la Società di mutuo soccorso come il naturale punto di convergenza della cittadinanza per le attività assistenziali, ricreative, culturali e politiche (che non vuol dire partitiche) e mi astenevo quindi dall'intraprendere iniziative concorrenziali di etichetta cattolica. Responsabili della sezione culturale erano stati nominati alcuni membri della comunità. Essi organizzarono dibattiti e incontri che aprirono nuove prospettive e nuovi interessi alla gente della Nave. La nostra presenza nella Società provocò un duplice fenomeno: una crescita di diffidenza dei cattolici conservatori, i quali giudicavano quel centro come una sede comunista (fanno sempre così, rifiutano la loro adesione a un'iniziativa unitaria e poi si lanciano alla caccia alle streghe!), la nascita di tante amicizie con abitanti d'orientamento politico di sinistra. In questi ultimi notammo un sincero interesse per le nostre proposizioni, una stima leale e disinteressata verso di noi. Essi scoprirono che il messaggio di Cristo è per i poveri (anche per i ricchi, ma perché si facciano poveri), cominciarono a intravedere i lineamenti che dovrebbe avere una chiesa sposa del Cristo povero, alcuni di loro colsero nella nostra comunione dei beni la testimonianza a una convivenza umana conforme al Vangelo. Il loro scandalo per la chiesa del fasto e delle nunziature, dei pacchetti azionari e dei concordati, per la chiesa arnica dei potenti e sorda o al massimo paternalistica con gli oppressi, il loro scandalo trovava eco nella sincerità della nostra deprecazione, nell'acutezza del nostro dolore. Soprattutto avvertivano che, nonostante gli EDUCATORI E DISEDUCATORI errori del passato, la chiesa, avendo per patrimonio il messaggio del Signore, poteva diventare il sale della terra. Se diversi di essi presero a frequentare l'eucaristia domenicale, ciò non significa che il nostro comportamento fosse una forma tattica particolarmente spregiudicata di proselitismo. Esso nasceva da una fede alla quale sentivamo il dovere di ispirare i nostri giudizi, i nostri discorsi, la nostra esistenza, lo stile della nostra presenza nel quartiere. Questa fede attraversò un'amara prova durante le elezioni amministrative. Dalla collaborazione fra l'arei vescovo e il segretario cittadino della Dc era nata una lista in cui non figuravano più gli uomini della cosiddetta "sinistra cattolica", mentre abbondavano gli ex fascisti e i conservatori, primi tra i quali Bargellini e un grosso impresario edile. Sembrava una lista confezionata apposta per regalare una truppa di ossequienti consiglieri democristiani ai potenti della città. La faccenda in sé e per sé non ci avrebbe interessato molto. Se non che la curia fiorentina emise il solito comunicato sull 'inestimabile bene dell'unità politica dei cattolici, e in una riunione di parroci fu detto che nel confessionale dovevamo imporre il voto per la DC e la preferenza per il capolista Bargellini. Dinanzi a quest'ennesima manifestazione d'integralismo, sentimmo il dovere in coscienza di reagire. In un comunicato elaborato insieme ad altre comunità e stampato in migliaia di esemplari che vennero diffusi per tutta Firenze, esprimemmo riprovazione e riaffermammo l'autonomia dei credenti nelle scelte politiche. Da allora cominciarono i giorni più lunghi della nostra vita. Un volantino della DC che ci accusava di essere "i nuovi Giuda"; tante copie di un manifesto attaccate alle nostre case per denunciarci come gente che strumentalizzava la memoria di Papa Giovanni al fine di portare voti al partito comunista; decine di attivisti che con gli altoparlanti girarono per il quartiere additando al pubblico obbrobrio i "cattolici rinnegati" e che sotto alle mie finestre gridarono frasi come "Vai a fare il prete nel Vietnam del Nord!"; un duro colloquio tra il vescovo ausiliare e me; una lettera.dell'arcivescovo il quale mi minacciava severe sanzioni; una diffida contro di noi pubblicata sui quotidiani il giorno stesso delle elezioni: fu una vicenda che costò sangue. Come lo fu l'inondazione. Il primo cenno di vita da parte delle autorità ecclesiastiche fu, circa una settimana dopo, un monito perché non portavo il collare, io che avevo perso tutto sotto l'acqua e il fango e che ero stato rivestito dai parrocchiani. La gente soffriva per la fame e per la sete, carogne di animali minacciavano la salute pubblica, si temevano crolli di case, per i bambini non si trovava il latte, per i malati non si trovava un medico, ma il problema numero uno era il mio collare! Dopo diversi giorni dalla sciagura l'arcivescovo cominciò a circolare su un carro armato preceduto da fotografi, e poi arrivarono denari e altri soccorsi per i sinistrati. Arrivarono soprattutto in occasione della visita del Papa a Firenze. E si pretendeva che noi preti - che in genere avevamo aderito ai "comitati di quartiere", organizzazioni unitarie per la raccolta e la distribuzione degli aiuti - facessimo ben presente alle vittime dell'inondazione che quei doni erano doni del Papa. Come c'erano, al di fuori dei "comitati di quartiere';, un'assistenza confindustriale e un'assistenza monarchica, doveva esserci un'assistenza cattolica a maggior gloria di Dio.Quest'esibizionismo ci fece soffrire molto: persino una calamità come quella diventava un'occasione da sfruttare per una mentalità che non sapeva distinguere tra carità e propaganda, per una mentalità in ultima analisi trionfalistica. Il dopo alluvione fu un lungo doloroso ripensamento delle nostre posizioni. La diocesi era diventata~ spiritualmente e psicologicamente parlando - una palude.
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