26 VISTA DALLA LUNA i <( ....J Il mestiere di Storia di un prete • essere vivo Luigi Rosadoni Don Luigi Rosadoni (Siena 1928 - Bondeno, Ferrara 1972) fu ordinato prete nel 1954 e fu inizialmente parroco a Terzane (Firenze) fino al 1962. Con un gruppo di studenti del liceo Michelangelo dette vita nel 1958 alla "comunità della risurrezione", di cui continuò a occuparsi anche quando dovette organizzare una nuova parrocchia, a La Nave di Rovezzano, nell'estrema periferia di Firenze. Nel '68, non più convinto di operare all'interno delle strutture ecclesiastiche e preferendo intervenire sui temi più scottanti di vita ecclesiale e sociale a partire dalla organizzazione e collaborazione con le "comunità di base", abbandonò la parrocchia. Ha scritto vari saggi e curato volumi delle edizioni La Locusta di Vicenza e Gribaudi di Torino. Ricordiamo in particolare, tra le sue opere, il volume di Lettere e scritti (19461972), curato nel 1989 da Riccardo Albani con la collaborazione di Antonio Pieraccini (edizioni Cens, via Salvo D'Acquisto 4, Liscate, Milano), da cui abbiamo tratto il testo che proponiamo, apparso in precedenza nel volume a più voci L'altra chiesa in Italia, a cura di Arnaldo Nesti (Mondadori 1970). Sue lettere sono apparse nel n.52 (settembre 1990) di "Linea d'ombra", a cura di Riccardo Albani. Una storia di dimissioni Marino Sinibaldi Il brano di Luigi Rosadoni che qui presentiamo descrive con grande semplicità ma anche con grande suggestione un pezza di storia italiana. Storia esemplare non solo per le vicende specifiche che racconta e il loro scenario - la Chiesa postconciliare tra tensioni di rinnovamento e restaurazioni, tra esperienze comunitarie e rivincite trasformiste - ma più in generale per quello che riguarda lo spazio e il ruolo delle minoranze dentro la società italiana. La minoranza che negli anni alle nostre spalle ha operato dentro e contro la Chiesa cattolica ha, visto a posteriori, sostenuto uno scontro di grande importanza. In primo luogo perché il cattolicesimo, inteso come mentalità pervasiva e struttura oppressiva, era, e per molti versi continua a essere, elemento decisivo del conformismo maggioritario nel nostro paese. Ma anche perché, innestandosi su unfilone profetico, il dissenso religioso ha intravisto la radicalità di quello scontro. Senza, e questa è stata infondo la sua "grandezza", perdere di vista gli aspetti simbolici - la liturgia, l'interpretazione-e quelli più concreti, organizzativi e comunitari. È soprattutto da questo punto di vista che si può dire che uno dei segni più limpidi della creatività potenziale di quella stagione che sinteticamente chiamiamo Sessantotto si sia mostrato proprio sul terreno religioso. Non so se questo mio riconoscimento, da laico estraneo a quelle vicende, risente dell'impressione per la recente scomparsa di due figure, David Maria Turoldo ed Ernesto Balducci, nelle quali si è espressa, con sensibilità e limiti diversi, la ricchezza di quelle trasformazioni. Ma in questi tempi mi appare sempre più chiara la portata del di-battitoe dello scontro che ha investito il grande e terribile corpo della Chiesa cattolica, e anche il senso dei risultati. Che sembrano lasciare praticamente intatti i valori di fondo, le strutture e le scelte della Chiesa di Roma (si vedano qui sotto le righe sulla "mentalità trionfalistica" e si pensi alle glorie wojtyliane dell'oggi, quasi trent'anni dopo; si legga lo scandalo "per la Chiesa delfasto e delle nunziature, dei pacchetti azionari e dei concordati" e lo si confronti con l'imperturbabile arroganza di vicende come quella dello lor/Banco Ambrosiano o dell'ora di religione; e ancora di più si pensi alla descrizione che Rosadoni fa del trasformismo ecclesiastico che si annette disinvoltamente le esperienze anche più distanti, da Mazza/ari a Milani, secondo un meccanismo e un metodo ancora "vincenti", che davvero la Chiesa cattolica ha insegnato a tutti gli italiani, politici e no. Dal punto di vista degli esiti di quella stagione qui raccontata, c'è dunque anzitutto questa sconfitta ("la mia storia sacerdotale è semplice: è una storia di dimissioni"); ma c'è anche l'intuizione di una possibilità, quel 'esodo che qui coincide, quasi simbolicamente, con la data del marzo 1968 e che vedo anche come il simbolo dell'accettazione della propria responsabilità di minoranza. Con tutti i limiti, lafatica, ma anche le possibilità che questa condizione offre. Condizione oggi in Italia necessaria e inevitabile, che sarebbe sciocco perseguire o esaltare in sé ma nella quale solo può trovare attualmente spazio il tentativo di avviare un serio discorso critico e autocritico sulla nostra società - e la nostra Chiesa, e la nostra politica. Mentre alcuni aspetti presenti nel testo di Rosadoni mi sembrano distanti - l'illusione, o anche solo la necessità, di ribaltare la storia della Chiesa "come centro del potere",' i riferimenti utopico-profetici alla "primitiva comunità di Gerusalemme" - quella indicazione di metodo è preziosa. Con semplicità e rigore, vi trovo descritta la necessità di vivere una condizione di minoranza senza l'ossessione di rovesciarla in un nuovo potere ma anche senza la lamentosa e rancorosa riaffermazione della propria intransigenza, della propria pulizia, della propria giustezza.
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