24 VISTA DALLA LUNA ~ ~ <e: -l Goffredo Fofi Iniziamoa intervenire con questo pezzo "d'occasione" su un argomento che ci sembra di grande importanza - le culture giovanilie la loro formazione - ma soprattutto su coloro che le promuovono e le stimolano, le diffondono e le amplificano o le censurano: coloro che scrivono sulla stampa e appaiono in televisione, criticie opinionisti, giornalisti.Una categoria "a rischio",tra le più compromesse, alla quale l'autore dell'intervento sa di appartenere. MEDIA E GIOVANI Giovani senza LeHera aperta a Walter Veltroni Da principio volevo scrivere una specie di "lettera aperta a Michele Serra", che potesse allargare il dibattito nato dalla nota su Serra di Filippo LaPorta, pubblicata nello scorso numero di "Linea d'ombra", e dalla breve e civile polemica che ne è insorta tra Grazia Cherchi, che ne riprendeva su "L'Unità" gli argomenti centrali, e lo stesso Serra. Ma poi ho pensato: che cosa davvero ho da rimproverare a Michele, o in cosa i miei argomenti differiscono da quelli di Filippo e di Grazia? E mi sono accorto che le cose che mi stavano a cuore erano, in parte almeno, altre da quelle affrontate dai miei tre amici. La difficoltà di muoversi- di sapersi muovereall'interno del sistema delle comunicazioni di massa (stampa e televisione soprattutto) ha provocato in questi anni qualche problema a molti di noi che, pur volendo ostinatamente far altro e ribadire una differenza, continuiamo però a collaborare con alcune testate non definibili "di sinistra". Negli anni Ottanta, i più non avevano remore di sorta, si buttavano e basta. Nei Novanta hanno cominciato a riapparire - ed è, in generale, un bene - i distinguo, anzi le scelte. A volte superficiali e a volte profonde, a volte opportunistiche e a volte "strategiche". Sul modo di rapportarsi ai media ebbi a parlare, "a partire da me" in occasione di una polemica, e sostenevo che la vera differenza non sta tra chi collabora e chi no ai mezzi di comunicazione di massa (e semmai che bisognava astenersi dal collaborare con la televisione, che giudicavo uno strumento inusabile per la generalissima sua supinità alla politica e per la priorità che gli viene attribuita dal sistema industriale e politico di formazione, indottrinamento, alienazione delle coscienze; continuerò a pensarla in questo modo, almeno fintantoché il Pds non cambierà linea politicoculturale a riguardo e non si saranno in essa spazi diversi, intelligenti, decenti), che la vera differenza sta nel modo di farlo. Dicevo addirittura (con una rozza battuta, volutamente volgare) che la vera differenza è tra chi collabora con adesione di fondo ai valori che le comunicazioni di massa affermano in questa società, contento di farlo (anche quando mascherato da "individualista") - chi, dicevo, "vende l'anima"- e chi invece, nel cui numero mi collocavo, si limita a vendere, come è condanna della quasi totalità del genere umano e da sempre, la propria forza-lavoro, "il culo". Trovavo insomma legittimo, anzi obbligato-destino comune! - vendere il culo, ma assai disdicevole vendere l'anima. Se il discorso resta per me vero, non per questo me ne sfuggono i limiti, le difficoltà che nascono dopo l'accettazione di vendere comunque qualcosa non a un padrone qualsiasi ma a un sistema, a questo sistema dell'informazione-formazione-manipolazione. Il "capitale" è più o meno sempre lo stesso (e io non ho mai capito bene le sottilissime e cangianti differenze tra quello "buono" e quello "cattivo", e non mi è sufficiente, quantomeno oggi, che una parte del capitale sostenga, mettiamo, il Psi e una il Pds per chiamarla buona o cattiva). Forse perché non sono mai stato comunista, e perché non ho mai creduto troppo alla grande significatività e rilevanza di quello che scrivo, alla mia "preziosità", e perché il denaro che mi guadagno "vendendo il culo" il più onorevolmente che mi è possibile (a partire dal rispetto del committente e del lettore, ma senza affatto diversificare la mia prosa e il mio atteggiamento a seconda dei luoghi in cui scrivo, e pronto a lasciare quando mi si censuri) mi serve per "fare altro", per un "tempo libero" che cerco di spendere in iniziative (riviste o altro) che si muovono in direzione altra, e rispondendo a un altro tipo di dovere, di "committenza" astratta nelle parole, ma identificabile, almeno per me, molto precisamente nei fatti e perfino nelle persone. Una committenza che mi sono scelto, che mi scelgo continuamente, o dalla quale, se si vuole, mi sento scelto. Questa premessa è lunga, e dimostra come davvero sia da ridiscutere daccapo il rapporto degli "intellettuali" con il sistema dei media che li nutre, o di cui si servono. "Sotto che re, briccone?" dice un personaggio di Shakespeare. Appunto: sotto che re. Ma occorre arrivare al dunque della polemica, o della insoddisfazione - una delle insoddisfazioni - che mi sembra urgente esprimere nei confronti di Michele Serra e di noi tutti che ci consideriamo "di sinistra" e che facciamo questo mestiere. Essa riguarda l'assenza di uno strumento culturale che si rivolga ai più giovani, e venga fatto in rapporto ai loro bisogni e alla loro cultura, senza piaggerie e senza cinismo. Gli organi che esistono hanno in comune proprio il cinismo. Insisto sul cinismo. Chi parla ai più giovani, chi lasciamo che parli ai più giovani? Tralascio ovviamente la produzione dell'industria culturale più immediatamente legata al profitto: da "Sorrisi e canzoni" al nevrotico "Dylan Dog" (sangue e humour: ah la bella miscela! e come solletica i palati fini degli intellettuali di mezza età!), dalle pagine di spettacolo e varia umanità dei qdotidiani alle lusinghe "erotiche" dei settimanali e altri mensili. Lì il discorso è chiaro, ma a volte si ripropone anche lì il dilemma: se per campare ci si lavora, esiste un modo onesto di fare il proprio lavoro, di non spacciare droghe? Ho scritto su un mensile che si chiama "King" fino a pochissimo tempo fa (ho smesso perché ha cambiato direttore). Non era certo l'ideale. Si rivolgeva a lettori giovani, e lo faceva con una sorta di
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