22 VISTA DALLA LUNA ~ . ~ L'osservazione medica :S Su un saggio di Paolo Vineis Augusto Romano La mia pressocché completa incompetenza nel campo della epidemiologia ha l'unico vantaggio di permettermi di recensire il bel libro di Paolo Vineis in modo non professionale ma con la curiosità moderatamente ingenua di chi si accosta a un saggio scientifico con la speranza di trarne, oltre ad utili informazioni, delle riflessioni di carattere generale. Per cominciare, L'osservazione medica (Garzanti, 1991, L. 32.000) si raccomanda per la qualità della scrittura, che è chiara, avvincente, sorvegliatamente ironica, in uno stile di ascendenza anglosassone. Quanto al contenuto, questo è per molti versi un libro pedagogico, ma nient'affatto pedante. Si tratta infatti anzitutto di un piccolo manuale di istruzioni per l'uso della medicina da parte del "consumatore', agli interessi del quale l'Autore è sempre molto attento. · Quali sono i suoi insegnamenti? Il primo mi sembra sia quello che non bisogna sopravvalutare ingenuamente e fideisticamente l'apparato tecnologico della pratica medica. Usando gli strumenti della statistica, Vineis ridimensiona l'utilità dei test strumentali e, per certi versi, rivaluta l'approccio clinico diretto (pur senza cedere a suggestioni "romantiche"). In secondo luogo (secondo nell'ordine ma non per importanza), Vineis mostra una particolare attenzione per le implicazioni etiche e sociali della diffusione di certe modalità di intervento, mettendo per esempio in evidenza come, anche nel campo medico, il consumo di certi test e di certi farmaci è talora di efficacia dubbia per il paziente mentre è di efficacia sicura per gli erogatori, in quanto aumenta i loro profitti. Giacché, come ho detto, Vineis è molto attento alla difesa dei diritti del singolo, un tema che ritorna più volte, e che certamente è di grande rilevanza politica e sociale, è quello del rapporto rischi/ benefici. È questo un problema sempre più importante nella società industriale, in cui a certe persone (per esempio, a certe categorie di addetti a determinate lavorazioni) viene richiesta una esposizione a rischi maggiori in nome dei vantaggi che ne trarrebbe la collettività nel suo complesso. Vineis mette in evidenza come per lo più chi corre il rischio non è la stessa persona che gode del vantaggio. Non solo, ma sottolinea come il concetto stesso di beneficio è un concetto non fattuale ma ideologico, che dipende cioè da una implicita scelta di valore (la qualità della vita è influenzl!_tapositivamente solo dall'aumento della produttività? È corretta una definizione solo economicistica del concetto di beneficio?). Vineis assume questo problema come un esempio paradigmatico di quella che si potrebbe chiamare una crisi del la trasparenza, per cui non è più possibile vedere distintamente dietro l'intervento medico il modello etico condi viso che lo sostiene e giustifica. Su questa stessa linea Vineis mostra come il progresso della tecnologia, soprattutto in certi territori di confine (fecondazione artificiale, trapianti, ingegneria genetica), rischi di metterci tutti di fronte a dei fatti compiuti, con uno scarto temporale (o addirittura con una prevaricazione di principio in nome'di una presunta capacità autoregolati va della scienza) rispetto a una riflessione etica che si interroghi sul significato umano, in termini di valori, di certe innovazioni. A proposito di valori, si potrebbe dire che l'esposizione che Vineis fa delle ricerche sulle cause delle malattie e sull'efficacia dei test diagnostici e delle terapie che costituiscono l'oggetto della epidemiologia - rappresenta di per sé un omaggio concreto ai valori democratici (che sono i valori della partecipazione), perché permette al lettore di rendersi conto dell'importanza ma anche dei limiti della tecnologia medica, e quindi di sottrarsi al ricatto degli addetti ai lavori, che spesso fanno un uso retorico della scienza. Per uso retorico intendo, secondo la definizione classica, l'utilizzazione del linguaggio (del gergo) scientifico al fine di influenzare gli atteggiamenti e i comportamenti. Si potrebbe anche parlare di un uso terroristico, come di chi dice: io so e tu non sai, e dunque taci. È un abuso della competenza a fini di potere. Coerentemente, Vineis mostra il carattere solo probabilistico dei risultati della epidemiologia e, più in generale, con grande cautela epistemologica, contrappone una logica della argomentazione a una logica della dimostrazione, che è ovviamente una logica più "forte" e quindi più prescrittiva. Allo stesso modo egli contrappone una ideologia della manipolazione a una ideologia che tenga conAugusto Romano (Bari 1934) vive a Torino, dove è psicoanalista junghiano e insegna a[ Centro italiano di psicologia analitica. E autore, con Mario Trevi, di Studi sull'ombra (Marsilio, seconda ed. 1991) e di Madre di Morte (Bompiani 1988) e numerosi saggi e articoli su riviste. Collabora regolarmente a "Tuttolibri" e a "Immediati dintorni". to dei bisogni (e dei diritti) individuali nella concretezza della loro configurazione storico-culturale. Negli anni '60 Umberto Eco pubblicò un libro che si intitolava "Apocalittici e integrati", mettendo a confronto due atteggiamenti estremi nei confronti della modernità. Vineis non è né un apocalittico né un integrato. Lo definirei un razionalista ben temperato. Accetta l'orizzonte della razionalità e della perfettibilità e trova nella riflessione epistemologica e nelle astuzie metodologiche che la ragione stessa suggerisce uno strumento per limitarne le tendenze espansionistiche. Della modernità non accetta invece la presunta razionalità intrinseca dei fini, espressa soprattutto nella proposizione dell'economia come valore ultimo, "oggettivo", per così dire incardinato nella natura delle cose. La sua è una ricerca condotta non sotto l'egida della Ragione (con laR maiuscola) bensì sotto quella delle "buone ragioni" che, poste alla base di una scelta, possano essere comprese e condivise. Detto questo, cosa posso aggiungere io come persona che ha scelto di occuparsi abitualmente della sofferenza psichica, propria e degli altri? La prima idea che mi è venuta è quella di dare un sostegno agli argomenti di Vineis, sottolineando un punto particolare, cui anch'egli accenna nel libro. Mi riferisco al problema della interazione medico/malato. Tutti sappiamo che lo sviluppo tecnologico ha ridotto sempre più la vicinanza tra i due soggetti del rapporto terapeutico. Ci minacciano quelle che, con blando umorismo, potremmo chiamare la "sindrome del farmacista" e la "sindrome del robot". I farmacisti sono spesso persone colte, preparate ed umane, ma di fatto l'andamento delle cose li ha obbligati per lo più a fare semplicemente i negozianti. La professione medica in qualche modo corre un rischio analogo: prescrizione di farmaci e di esami, delega ad altri specialisti, e così via. Sull'altro versante, il paziente tende ad essere concepito e a sentirsi come un robot, cioè come un aggregato di pezzi relativamente indipendenti. Si riflette anche qui quella che è stata chiamata la perdita del centro. Il mio non è semplicemente un appello ai valori tradizionali. Vorrei solo sottolineare come la relazione, cioè l'instaurazione di un campo interattivo, sia un fattore che può esser
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