MINORI IN TRIBUNALE Marco Vinicio. La continuità è un problema che dobbiamo affrontare ogni giorno. Noi cerchiamo di tenere i gruppi più uniti possibile; la struttura carceraria è complessa e a volte non si riesce a tenere i gruppi uniti per intrecci di vincoli, di orari, di copresenze, di luoghi, di assenza dei ragazzi che modificano il lavoro. E per il fatto che siamo pochi, mentre i ragazzi aumentano. Questo è il risultato di una legge, la riforma del codice di procedura penale, che aveva previsto un carcere inesistente, residuale, e che con i successivi aggiustamenti sta creando, invece, una situazione molto diversa. Il carcere sta esplodendo, ci sono 70 ragazzi, mentre noi siamo un terzo di quello che eravamo tre anni fa. Paolo. Per coinvolgerli cerchiamo di aumentare la quantità di stimoli. Partiamo dal loro vissuto, cercando di incidere con degli stimoli diversi da quelli dell'ambiente di provenienza. Il nostro però è purtroppo un episodio nella loro vita. I ragazzi stanno qui due, tre mesi. E comunque questo è una specie di collegio, dove l'idea della prevaricazione, della violenza esiste. Comunque qui ci sono degli adulti, delle risorse che possono essere agite. Questa scuola media può essere un qualcosa che, quando il ragazzo esce, può diventare una piccola tappa raggiunta, una possibilità in più. Certo, bisognerebbe inventare un programma per il dopo, per il fuori, in modo che si crei un gruppo di lavoro reale che si possa prendere in carico queste persone all'uscita dal carcere. La gente per fare questo lavoro c'è, occorrerebbe solo chiamarla. Ci sono libri di testo? Clara. Non nel senso classico del termine. Non c'è il libro di grammatica, quello di matematica. Però usiamo altri libri che noi educatori portiamo in carcere, leggiamo materiale fotocopiato, giornali, fumetti. Tutte cose che nella scuola normale generalmente non sono in uso. Alla lettura e allo studio del materiale scritto comunque preferiamo l'esperienza pratica e diretta. La loro capacità di concentrazione è molto bassa, e quindi funzionano meglio le immagini che sono più forti della parola. Tentiamo di fissare visivamente il concetto che è sotteso alla parola e alla strutturazione del futuro dialogo. Esiste un modo per verificare, per registrare, tenere sotto controllo i risultati del lavoro chefate? Maura. Un riscontro di quello che stanno facendo c'è sempre. Usiamo schede in cui evidenziamo il tipo di lavoro, il grado di accettazione, il rapporto con i compagni, con noi insegnanti, il rispetto delle strutture, di un certo tipo di didattica, i risultati che hanno avuto. Alla fine della giornata il ragazzo la può leggere. Riccarda. La nostra verifica è a livelli diversi: c'è quella tecnica, quella educativa e soprattutto ci sono i prodotti che i ragazzi realizzano, che sono molto leggibili anche da loro stessi. Puntiamo soprattutto su questa concretezza. Voi usate molto computer, telecamere, macchine da scrivere ... Paolo. Con il computer il ragazzo sente di aver fatto una bella "cosa" senza errori. Riesce a correggere gli sbagli prima che escano sulla stampante, prima che possano essere sanzionati, puniti. Sembra buffo, ma per la vita che fanno e per le esperienze che hanno vissuto è come se si fossero fatti un'idea estetica della "correttezza". È come un sogno, come se così potessero eliminare i loro casini. Infatti sono loro stessi, quando scrivono qualcosa a mano, a volerlo trascrivere pere liminare gli errori. Recuperare l'errore: è questa la loro esigenza, proprio per il vissuto che hanno alle spalle. Puntiamo sulla valorizzazione di quello che hanno dentro, di quello che sono. E solo a partire da quello si tenta di modificarli. Il nostro metodo cerca di essere realistico, definisce la possibilità di cambiare, di evolversi, di adeguarsi alle situazioni, anziché adeguarsi a dei ruoli sociali stabili. Insomma cercate di rispettare i loro tempi, le loro necessità. Riccarda. Cerchiamo di partire da loro. E la loro modalità elettiva di espressione è l'azione, l'agito. Non sono ragazzi che amano concettualizzare, non è il linguaggio verbale quello che preferiscono. Non a caso nella loro vita c'è stato un reato. Allora si parte da lì e si sposta il loro percorso. Questo è l'obiettivo e questo tipo di approccio serve per conoscere il loro livello di partenza e per modificarlo. Owawe Micro progetto con gli indios del Mato Grosso Raccolta fondi, per l'acquisto di una jeep da consegnare alla comunità xavante del villaggio Owawé (Mato Grosso - Brasile) il 12 ottobre 1992, con la vendita di 5 00 copie del libro fotografico di Patrizio Esposito Transiti. Per informazioni • Otello Sarzi Teatro Il Setaccio via Adua, 57 42100 Reggio Emilia Te!. 0522/511986 Fax 517608 • L'Alfabeto Urhano Casella Postale 147 Napoli centro • Agenzia Fotogiornalistica Controluce Te!. 081/5753968 LATERRA 21 s "' i: = .. ;: .. e: =
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