Linea d'ombra - anno X - n. 72 - giugno 1992

20 VISTA DALLA LUNA ~ e:: LlJ E- <( ..J limitare. È un metodo che ricostruisce un rapporto fra i ragazzi e l'educatore, che fa leva su altre motivazioni. Nel vostro lavoro quotidiano che rapporto c'è fra il tentativo di insegnare qualcosa di molto concreto, come leggere e scrivere, e la voglia di trasmettere valori nuovi, diversi da quelli recepiti negli ambienti di provenienza? Noi non redimiamo i ragazzi. Nel senso che non sono diavoli, persone macchiate. La devianza è fatta da azioni devianti in ogni persona. Sono deviante anch'io quando passo col rosso e questo non implica che io sia una persona malata, psicotica. Il ragazzo è lì per un'azione deviante, non perché è una persona deviata. Si può tentare di fargli capire questa cosa, ma l'opinione comune è che si tratti di persone devianti. E i ragazzi sanno cosa scrivono i mass media, cosa l'opinione pubblica pensa di loro. Così i ragazzi usano queste categorie per autogiustificarsi. Nelle storie che i ragazzi scrivono sulla loro esperienza spesso si leggono frasi come "a otto anni ero un delinquente". Questo è assurdo. Eppure il ragazzo lo scrive, e vorrebbe sotto sotto aggiungere: "Siccome ero un delinquente, giustificate quello che ho fatto". Ma noi non giustifichiamo, noi dobbiamo responsabilizzare e diciamo '' Quello che hai fatto, lo volevi fare per alcune intenzioni, per alcuni obiettivi che ti eri posto. Lo hai scelto, ne paghi le conseguenze, ma soprattutto non è vero che tu non puoi fare altro". Noi dobbiamo proporre un'altra possibilità reale al ragazzo. Pensiamo che possa sperimentartrnltre opportunità rispetto a quelle sperimentate finora. E ci riuscite a proporre prospettive di vita diverse, a trasmettere fiducia? Riccarda. Non siamo onnipotenti, l'obiettivo che ci poniamo non è quello di rieducare, redimere. Come sempre nel progetto educativo ci sono delle difficoltà, come nella scuola. Bisogna impostarlo e poi vedere se ci sono dei piccoli aggiustamenti da fare. Tu sei generalmente di fronte ad una persona che si esprime attraverso I' "agito", che ha carenza di strumenti, che è molto povero. È già un grande risultato se questa persona- anziché restare chiusa e sola nell'elaborare dinamiche trasgressive-riesce gradualmente, durante il periodo di permanenza al Beccaria, a spostare la propria attenzione da quegli orizzonti rigidi, poveri, subculturali verso altre realtà. L'obiettivo è muovere dei percorsi piatti, è importante la crescita dell'autostima, che si può ottenere anche solo con l'applauso dei genitori allo spettacolo di fine anno. Io sono già contenta quando trascorro con loro quattro ore e vedo che riesco a stabilire un rapporto sulla base di contenuti che mi sembra possano arricchire la loro personalità. Certo, tutto il lavoro si vanifica se, quando vengono rimessi in libertà, sono lasciati soli. Bisognerebbe dar loro le opportunità di proseguire l'esperienza. Maura. È vero senz'altro che sei gratificato dopo quattro ore, quando sei riuscito a mettere da parte il discorso del carcere, la legge malavitosa, e riesci a ridere con loro. Con la fantasia, l'ironia, la MINORI IN TRIBUNALE risata, si riesce a sdrammatizzare una situazione tante volte pesante. Io e Riccarda ci siamo trovate tante volte a legger racconti ai ragazzi bevendo una tazza di tè e mangiando una fetta di torta. Può sembrare una cosa banalissima, ma è quel che serve per rompere la rigidità. Lo facciamo spesso anche nel laboratorio teatrale: si cerca di creare delle situazioni ironiche, comiche partendo anche dalla loro aggressività. Insomma sono le piccole conquiste quotidiane che contano, sono quelle che alla lungapotrebbero produrre i cambiamenti di prospettiva per i ragazzi. Marco Vinicio. Introduco una vena di pessimismo. Anch'io sono contento alla fine della giornata quando sono riuscito a fare qualcosa con loro. Il discorso però è che questo risultato è niente in confronto ai danni prodotti dal carcere. I ragazzi del Beccaria sono diversi dagli altri perché sono in un carcere, non perché sono devianti. La condizione carceraria offre opportunità negative, l'unico modo di esprimersi tra di loro è il rapporto della violenza, il primato del più forte, l'uso delle leggi malavitose anche nel sistema carcerario, l'omertà. Quello che fai nell'aula con i ragazzi demolisce solo un 20% di quel che viene costruito nei rapporti con gli altri ragazzi detenuti, con il carcere e con gli agenti di custodia. Questi danni sono enormi. Ho visto arrivare ragazzi con un reato casuale, non abitudinario. Quei ragazzi sono cambiati nell'arco di tre mesi. C'era un ragazzino che nei primi giorni era educato, diceva "Buon giorno come sta". Dopo tre mesi era passato agli insulti, alle botte e così via. Questo è il fattore che pesa di più. Il problema, quindi, non è tanto il risultato che si riesce a ottenere dai ragazzi. Bisognerebbe confrontare i risultati di alcune cose che facciamo qui in un contesto distruttivo, con quel che si potrebbe ottenere se le stesse cose venissero fatte fuori, prima che il ragazzo venga arrestato o dopo la sua uscita. È il vecchio discorso della prevenzione. Dal punto di vista pratico come è organizzato il vostro lavoro? Paolo. Lavoriamo per progetti, nel senso che non si seguono le discipline in un modo rigido nella scuola normale. Il più delle volte si lavora "in compresenza", cioè siamo in due per classe, perché questo ti permette di tenere sotto controllo sia le dinamiche dei ragazzi, sia le tue. Ti permette cioè di limitare quei meccanismi di relazione che potrebbero diventare eccessivi dal punto di vista psicologico. La compresenza è uno strumento per spezzare questo genere di dinamiche. I due insegnanti che lavoreranno nella stessa classe, con lo stesso gruppo di ragazzi, vengono scelti per affinità affettive e di progetto. Il rapporto ottimale per riuscire a fare qualcosa è quando ci sono cinque ragazzi ogni due insegnanti. Avere un maggior numero di ragazzi diventa dispersivo, averne meno diventa confuso. Immagino che una delle difficoltà maggiori sia riuscire ad avere un impegno continuo, un'attenzione costante da parte dei ragazzi.

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