Linea d'ombra - anno X - n. 72 - giugno 1992

IL CONTESTO One Party State La sconfiHa dei laburisti in Gran Bretagna Michael Eve Nei giorni dopo le elezioni politiche inglesi che hanno premiato per la quarta volta successiva il partito già al governo da 13 anni, i giornali del paese (non solo quelli di sinistra) hanno insistentemente parlato di one party state. Difficile dargli torto: il sistema politico inglese si è riconfermato non meno "bloccato" di quello italiano. Anzi, il monopolio dei conservatori inglesi è, per molti versi, più in contrasto di quello posseduto da partiti del centrodestra in altre parti dell'Europa perché mancano molti elementi del pluralismo istituzionale e della divisione dei poteri che potrebbero attenuarne il predominio politico. In Inghilterra, infatti, non esiste un vero livello regionale di governo, il parlamento è effettivamente quasi unicamerale (la Camera dei Lords ha poteri assai limitati), le città hanno tradizioni di organizzazione politica più deboli che altrove, manca una forte magistratura (e una vera Costituzione) capace di contrastare il governo. Questa volta non ci sono neanche molti alibi per il partito laburista. Sembra proprio il modello socialdemocratico inglese nella sua essenza ad essere bocciato. "L'Inghilterra si è rivelata un paese profondamente conservatore" commentava sconsolato un articolista del "Guardian" nei giorni dopo il voto (Hugo Young, 114-92); lo storico Bernard Crick, notando l'immensa portata della sconfitta laburista, scriveva che si è praticamente spezzata quella dialettica fra individualismo e senso della comunità che ha così fortemente caratterizzato la politica inglese in questo secolo (sul "Guardian" del 13-4-92). Certamente la straordinaria tenuta del voto conservatore (il 42,8% questa volta, molto simile al 42,3% ottenuto nel 1987 e al 42,4% nell' 83 e il 43,9% nel '79) rivela la superficialità di molte analisi fatte dalla sinistra delle sue sconfitte precedenti. È ormai penoso ricordare quanta importanza fosse attribuita a fattori contingenti come l'ondata di nazionalismo in seguito alla guerra delle Falkland (che precedeva le elezioni dell' 83), oppure il boom consumistico della metà degli anni Ottanta o anche il carisma e il richiamo populista-autoritario della signora Thatcher. Lo stesso termine "thatcherismo" ormai sembra meno appropriato per descrivere (e per diagnosticare) le basi del predominio della destra inglese. Adesso infatti, nel 1992, nel mezzo di una recessione ben più intensa che altrove in Europa e che ha particolarmente colpito una fetta cruciale dello stesso elettorato conservatore, John Major ha ottenuto la vittoria e una maggioranza parlamentare di poco inferiore alla precedente. Non stupisce che deputati conservatori si siano abbandonati a compiaciute previsioni sulla fine del partito laburista in senso tradizionale, prospettando l'adozione di un programma simile al Partito democratico americano come l'unico modo di evitare altri vent'anni di sconfitte. Non si può neanche dare tutta la colpa al pur assai ingiusto e depoliticizzante sistema elettorale. Con quasi il 43% dei voti, anche sotto un sistema proporzionale corretto (solo pochissimi paesi hanno il proporzionale puro) i conservatori sarebbero sempre in una posizione di schiacciante predominio. Naturalmente, stime ipotetiche del modo in cui gli elettori reagirebbero se il sistema fosse diverso sono assai poco affidabili, ma giochi del genere servono a sottolineare la larghezza dei consensi conservatori. Come ammettono i deputati dell'opposizione, neanche una specie di Fronte Popolare che unisse i voti del partito laburista con quelli 8 dei liberaldemocratici troverebbe la strada facilmente spianata. Nelle ore subito dopo la sconfitta laburista, Neil Kinnock (leader ormai dimissionario) e diversi altri esponenti del partito hanno dato una parte della responsabilità alla stampa popolare, volgare e visceralmente anti-progressista. Kinnock ha ricordato come uno dei principali responsabili della campagna conservatrice avesse riconosciuto il grande ruolo giocato dalla stampa popolare in favore del suo partito, tanto da ringraziare i redattori e proprietarj dei giornali. Lo stesso "Sun" (tiratura 4 milioni di copie), il più sguaiato dei vari giornali e il più odiato dalla sinistra, ha proclamato orgogliosamente la sua parte nella disfatta laburista con titoli cubitali il giorno dopo il voto. A una spiegazione della sconfitta in termini dell'influenza culturale dei mass media è accordata una certa credibilità in Inghilterra (non è la prima volta che è stata invocata). Ogni sinistra nazionale ha i suoi demoni. In Italia può essere il clientelismo a essere individuato come la forza oscura più temuta e il simbolo del male più caratteristico del paese. Gli inglesi invece hanno una visione meno particolaristica della propria società e tendono a ricorrere a spiegazioni in termini di cultura di massa. Il riferimento alla stampa popolare è particolarmente significativo perché è appunto nella cultura popolare e in certe fasce della working class che il partito laburista ha il suo fianco più debole. Perciò la volgarità esibita in forma caricaturale da giornali come il "Sun" sembra simboleggiare molti fantasmi e paure della sinistra inglese. Sono gli operai, i lavoratori autonomi, i piccoli impiegati lettori del "Sun" o del "Mail" che costituiscono la chiave delle elezioni in molte circoscrizioni e sono proprio loro che in questi anni hanno spesso costituito una base cruciale del Partito conservatore. Per un pubblico italiano, comunque, sembra superfluo sottolineare l'inadeguatezza di una spiegazione dei risultati in questa chiave. Se la disinformazione e le violente polemiche della stampa popolare hanno inciso su una certa percentuale di elettori, questo dimostra soprattutto le radici superficiali del sostegno laburista. L'appoggio ai laburisti ha infatti oscillato enormemente negli ultimi anni ed è in questo contesto che va inquadrata l' evaporazione del voto laburista negli ultimi giorni della campagna. Com'era evidente già prima di queste elezioni e prima della clamorosa smentita dei sondaggi demoscopici, una buona parte del potenziale appoggio laburista è estremamente labile. In fondo, i laburisti non sono riusciti a superare i confini di un elettorato basato sulle fasce meno prospere della classe operaia, sulle minoranze etniche e su una classe media illuminata (possibilmente impiegata nel settore pubblico). Una simile alleanza (in Inghilterra, ma forse non solo lì) è stata sufficiente per ottenere un terzo dei voti (il 35,2% in questo caso); ma qualunque tentativo di superare quel livello sembra costantemente destinato all'insuccesso. Si tratta insomma, largamente, di un problema di consensi, e soprattutto presso alcune fasce sociali. Perché l'elettorato, pur molto insoddisfatto del governo in carica, non ha dato "fiducia" all'opposizione? La maggior parte dei commenti raccolti da elettori e politici e riportati dai giornalisti indicano il programma fiscale del Partito laburista come l'ostacolo maggiore a un voto laburista. Il Partito laburista, sbarazzatosi della retorica e del

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