Linea d'ombra - anno X - n. 72 - giugno 1992

GIUGNO 1992 · NUMERO 72 LIRE9.000 I ·mmagini,discussioni e spettacolo o \ I\ ..,,,.-. o O '/1'3 "\,\/o.: ... _.x:'\ ~"'-~, J-~ -- '1 "_,~o o SPED.IN ABB.POSTALEGR. 111-70%- VIAGAFFURIO4 - 20124 MILANO

1948. Nasce Totip. 900 miliardi di vincite. 60.000 milionari. Anno dopo anno TOTIP. Dal 1948 al lavoroper l'ippicaitaliana.

A·P·E·R·T·U·R·E la collana di Linea d'ombra I NOVITÀ I M. K. Gandhi SULLA VIOLENZA Un'antologia del pensiero gandhiano in funzione dell'oggi, del bisogno di una nuova morale individuale e collettiva. I fini e i mezzi , la lotta armata, il socialismo, lo stato, l'aborto, l'eutanasia, la violenza sugli animali. a cura di Giuliano Pontara. ·Mori Ogai L'INTENDENTE SANSHO. Una antica cronaca ri-narrata da un grande scrittore. a cura di M. Mastrangelo e M. T. Orsi. Giinther Anders e Claude Eatherly IL PILOTA DI HIROSHIMA. Ovvero: La coscienza al bando. Un carteggio illuminante il dilemma centrale della modernità. Prefazione di Bertrand Russell e Robert Jungk. Friedrich Schiller IL DELINQUENTE PER INFAMIA. Come si diventa criminali: una "stona vera" della fine del '700. Goffredo Fofi I LIMITI DELLA SCENA. Spettacolo e pubblico nell'Italia contemporanea (1945-1991), dal neorealismo all'omologazione. PRO E CONTRO LA PSICOANALISI. Pratica clinica e corpus teorico, influenze positive e influenze negative. Baker Miller, Bentovim, Bettelheim, Chasseguet-Smirgel, Glasser, Green, Griinbaum, Hartman, Ignatieff, Marcus, Mitchell, Pedder, Rieff, Segai, Spillius, Steiner, Turkle, Young. I SONGOIÀUSCITI I Interviste con gli scrittori di "Linea d'ombra": 1 UN LINGUAGGIO UNIVERSALE Parlano: McEwan, Barnes, Ballard, Swift, Ishiguro, Rushdie, Kureishi, Banville, Gallant, Ignatieff, Ondaatje, Gordimer, Coetzee, Breytenbach, Soyinka, Desai, Ghosh, Frame 2 TRA DUE OCEANI Parlano: Barth, Bellow, Carver, De Lillo, Doctorow, Ford, Gass, Highsmith, Morrison, Ozick, H. Roth, Singer, Vonnegut. Aldo Capitini OPPOSIZIONE E LIBERAZIONE scritti autobiografici a cura di Piergiorgio Giacchè Marco Lombardo Radice UNA CONCRETISSIMA UTOPIA Lavoro psichiatrico e politica Lev N. Tolstoj DENARO FALSO Giinther Anders DISCORSO SULLE TRE GUERRE MONDIALI Boll, Chomsky, Eco, Gordimer, Grass, Hall, Halliday, Konrad, Rushdie, Sontag, Thompson, Vonnegut. GLI SCRITTORI E LA POLITICA Aldo Capitini LE TECNICHE DELLA NONVIOLENZA Albrecht Goes LA VITTIMA , Berardinelli, Bettin, Bobbio, Flores, Fofi, Giacchè, Lerner, Manconi, Sinibaldi A PROPOSITO DEI COMUNISTI Heinrich Boli LEZIONI FRANCOFORTESI Amis, Bel/, Bellow, Briefs, Castoriadis, Dahrendorf. Galtung, Gellner, Giddens, Ignatieff, Kolakowski, Lasch, Paz, Rothschild, Taylor, Touraine, Wallerstein IL DISAGIO DELLA MODERNITÀ Francesco Ciafaloni KANT E I PASTORI. . Identità e memoria Arno Schmidt IL LEVIATANO O IL MIGLIORE DEI MONDI Engels, Tolstoj, Gandhi, Benjamin, Weil, Bonhoeffer, Caffi, Capitini, Fanon, Mazzo/ari, Arendt, Bobbio, Anders VIOLENZA O NONVIOLENZA

~ Vu,ggi e Avvm111111 PeterMayle UNANNO INPROVENZA FrancoBattiato TECNICAMISTA SUTAPPETO Conversazioniautobiografiche con Franco Pulcini Con i testi di tutte lecanzoni 192 pp., L. 23.000 DavidToop RAP Storia di una musicanera 224 pp., L. 23.000 SimonFrith IL ROCK È FINITO Miti giovanilie seduzioni commerciali nellamusicapop 284 pp., L. 32.000 PeterMayle UNANNOINPROVENZA 208 pp., L. 25.000 PierreLoti L'INDIA (SENZAGLIINGLESI) Prefazionedi LionelloSozzi 256 pp., L. 28.000 SalvatoreTropea RITRATTIAMERICANI Viaggioattraverso gliUSA 288 pp., L. 28.000 DickHebdige LALAMBRETTAE IL VIDEOCLIP Cose& consumi dell'immaginario contemporaneo 288 pp., L. 29.000 DaveLaing IL PUNK Storia di una sottocultura rock 252 pp., L. 19.000 RobinDenselow AGIT-POP Musicae politica da WoodyGuthrie a Sting 352 pp., L. 35.000 MarioPraz PENISOLAPENTAGONALE Prefazionedi GoffredoFoti 176 pp., L. 25.000 HenryJames BREVEVIAGGIO INFRANCIA 220 pp., L. 25.000 RenzoManzoni ELYEMEN Unviaggioa Sana'a 1877-1878 304 pp., L. 33.000 FINALMENTELEGUIDE ~ INITALIANO '-" TonyWheeler,JamesLyon BALI & Lombok 352 pp., L. 35.000 GeoffCrowther,HughFinlay TUNISIA 176 pp. L. 20.000 TomBrosnahan YUCATAN & Cancun Sulla strada deiMaya 1 368 pp., L. 35.000 TonyWheeler,RichardEverist NEPAL 400 pp., L. 38.000 Pertti Hamaliiinen YEMEN 256 pp., L. 29.000 TomBrosnahan GUATEMALA & Belize Sullastrada deiMaya 2 300 pp., L. 29.000 19 via Alfieri. 10121 Torino. tcl. 011/5621496 - fax 011/545296

Gruppo redazionale: Alfonso Berardinelli, Gianfranco Bettin, Grazia Cherchi, Marcello Hores, Goffredo Fofi (direttore), Piergiorgio Giacchè, Gad Lemer, Luigi Manconi, Santina Mobiglia, Lia Sacerdote (direzione editoriale), Marino Sinibaldi. Collaboratori: Adelina Aletti, Chiara Allegra, Enrico Alleva, Guido Armellini, Giancarlo Ascari, Fabrizio Bagatti, Laura Balbo, Mario Barenghi, Alessandro Baricco, Matteo Bellinelli, Stefano Benni, Andrea Berrini, Giorgio Bert, Paolo Bertinetti, Francesco Binni, Lanfranco Binni, Luigi Bobbio, Norberto Bobbio, Giacomo Borella, Franco Brioschi, Marisa Bulgheroni, Isabella Camera d'Afflitto, Gianni Canova, Marisa Caramella, Caterina Carpinalo, Bruno Canosio, Cesare Cases, Roberto Cazzola, Francesco Ciafaloni, Luca Clerici, Pino Corrias, Vincenzo Consolo, Vincenzo Cottinelli, Alberto Cristofori, Mario Cuminetti, Peppo Delconte, Roberto Delera, Stefano De Maueis, Piera Detassis, Vittorio Dini, Carlo Donolo, Riccardo Duranti, Edoardo Esposito, Saverio Esposito, Bruno Falcetto, Giorgio Ferrari, Maria Ferretti, Ernesto Franco, Guido Franzinetti, Giancarlo Gaeta, Alberto Gallas, Nicola Gallerano, Fabio Gambaro, Roberto Gatti, Filippo Gentiloni, Gabriella Giannachi, Giovanni Giovannetti, Paolo Giovannetti, Giovanni Giudici, Bianca Guidetti Serra, Giovanni Jervis, Roberto Koch, Filippo La Porta, Stefano Levi della Torre, Mimmo Lombezzi, Marcello Lorrai, Maria Madema, Maria Teresa Mandalari, Danilo Manera, Bruno Mari, Edoarda Masi, Roberta Mazzanti, Roberto Menin, Paolo Mereghetti, Diego Mormorio, Maria Nadotti, Antonello Negri, Grazia Neri, Luisa Orelli, Maria Teresa Orsi, Pia Pera, Silvio Perrella, Cesare Pianciola, Guido Pigni, Giovanni Pillonca, Bruno Pischedda, Oreste Pivetta, Pietro Polito, Giuliano Pontara, Giuseppe Pontremoli, Sandro Portelli, Fabrizia Ramondino, Michele Ranchetti, Marco Revelli, Marco Restelli, Alessandra Riccio, Fabio Rodriguez Amaya, Paolo Rosa, Roberto Rossi, Gian Enrico Rusconi, Nanni Salio, Paolo Scamecchia, Domenico Scarpa, Maria Schiavo, Franco Serra, Joaquin Sokolowicz, Piero Spila, Paola Splendore, Antonella Tarpino, Fabio Terragni, Alessandro Triulzi, Gianni Turchetta, Federico Varese, Bruno Ventavoli, Emanuele Vinassa de Regny, Tullio Vinay, Itala Vivan, Gianni Volpi. Progello grafico: Andrea Rauch/Graphiti Ricerche redazionali: Natalia Delconte Pubblicità: Miriam Corradi Esteri: Pinuccia Ferrari Produzione: Emanuela Re Amministrazione: Patrizia Brogi Hanno contribuito alla preparazione di questo numero: Riccardo Albani, Marco Amante, Fiamma e Luca Baranelli, Mirta De Pra, Barbara Galla, Carmen Giorgetti Cima, Michele Marangi, Marzio Mazzara, Erika Mazzotti, Riccardo Noury, Marco Capietti, Barbara Veduci dell'agenzia Contrasto, Cristina Taverna e la galleria Nuages, il Gruppo Abele, Il Movimento di Capodarco, Le case ditrici Cens e Marietti, le agenzie fotografiche Contrasto, Effigie e Grazia Neri. Editore: Linea d'ombra Edizioni srl Via Gaffurio 4 20124 Milano Tel. 02/6691132. 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Opinioni di un"conservatore" La "svolta antropologica" di padre Balducci Storia dell'agricoltura e questione meridionale 19 Gustaw Herling Orwell e gli altri, a cura di Silvio Perrella 21 Karl-Josef Kuschel Attualità di Rolf Hochhuth 28 G. Giannachi, L. Goodman Viaggio nel teatro bulgaro e M. Barenghi sul romanzo di Consolo (a p.24), A. Baricco su Il ladro di bambini (a p.25), P. Bertinetti sull'ultimo Ballard (a p. 26), G. Fofi su Marlene Dictrich (a p.27), P. Splendore su Ford Madox Ford (a p.33), G. Fofi ricorda Eckart Plinke (a p.34). Gli altri autori di questo numero (a p.79). 48 50 51 66 37 41 60 55 69 Mariano Bàino Eugenio Lucrezi Pietro Mazzone Daniil Charms Chat Kopjitti Ranuccio Bianchi Bandinelli Eric de Kuyper Olof Lagercranlz Harold Kincaid Brandelli Cronachetta dell'ottobre '90 Poesie L'avventura di un caterpillar a cura di Gianpiero Piretto Il coltello Accompagnando il Flihrer e il Duce Frammenti di memoria belga a cura di Silvia Calamandrei Leggere Proust La biologia molecolare e l'unità della scienza con una nota di Andrea Musacchio Sul volontariato: L. Manconi, Sei tesi (a p. 2), L. Ciotti, Una realtà variegata e confusa, a cura dell' Aspe (a p. 4), L. Tavazza, La sfida del volontariato, a cura di G. Marcon ( a p.7 ), V. Albanesi, La condivisione (a p. 9), G. Marcon, Per la pace e per il futuro. Il volontariato internazionale (a p. 13). Minori in tribunale: G. Turri, L'angoscia del giudice minorile (a p. 16), Gli educatori del "Beccaria" di Milano, Insegnare in un carcere minorile, a cura di Z. Dazzi (a p. 18). Medici e pazienti: A. Romano sul saggio di Vineis L'osservazione medica (a p. 22). Media e giovani: G. Foft, Giovani senza. Lettera aperta a Walter Vcltroni (a p. 24). Educatori e diseducatori: L. Rosadoni, Il mestiere di essere vivo. Storia di un prete, con una nota di M. Sinibaldi (a p. 26). Notiziario: Amnesty Intemational (a p. 32). La copertina di questo numero è di Roberto Perini (Nuages). Le foto de "La Terra vista dalla Luna" sono di Carlo Paone (Contrasto). I manoscritti non vengono restituiti. Si pubblicano poesie solo su richiesta. Dei testi di cui non siamo stati in gado di rintracciare gli aventi diriuo, ci dichiariamo pronti a ottemperare agli obblighi relativi.

ILCONTESTO In un torrido fine giugno del Falcone ginnastica e scarpe di gomma, di 1963,a Ciaculli, un' alfetta carica Giuseppe Bono, di Pippo Calò ...Ma di tritolo uccideva, dilaniandoli, Vincenzo Consolo vidi soprattutto, oltre al presidente sette carabinieri: un tenente, tre della corte Giordano, la figura marescialli, tre semplici guardie. smilza, il viso scavato di antico caFu quell'esplosione il primo, tre- valiere spagnolo, del pubblico mimendocambiodilinguaggiodella nistero Ayala, il volto olivastro, con mafia: dall'antico, rurale !in- la folta barba brizzolata, di Falcone. guaggio dei paliottoni della lupa- Mi raccontava un fotografo di ra passava al linguaggio moder- Palermo, uno di quelli costretti a no e cittadino del tritolo; dalle fotografare morti ammazzati copervendette contro singoli avversari ti da giornali, da lenzuola per le alle cieche, indiscriminate stragi strade di Palermo, che l'aveva imcon l'esplosivo o con le pressionato in quei mesi, mettendo sventagliatedirnitra.Orainquella accanto due foto del giudice Falcolocalità sopra i colli che circon- ne, scattate a poca distanza l'una dano Palermo, in mezzo ai fitti dall'altra, il rapido invecchiamento giardini di mandarini che in alto di quell'uomo. Incontrai poi Falcolasciano il posto alla scabra nu- ne, insieme ad Ayala, qualche anno dità della roccia, si erge una stele fa a un ricevimento in casa di comuche ricorda le vittime: "Alla ni amici. Ci presentarono, mi fecero memoriadicoloro-chelamafia sedere accanto a lui. Non scamstroncò a Ciaculli - e del loro biammo che qualche parola. Mi colsacrificio - che trasformò pì di quell'uomo, oltre alla sua ritral'esecrazione in un moto di ri- zione, al suo rifugio nel silenzio, scatto civile" vi è sopra inciso. In l'immobilità, del viso e della figura, quell'estate, ai funerali del te- la rigidità quasi, in contrasto con nente Mario Malausa e dei suoi quegli occhi neri, mobili e attenti. uomini,crediamoabbiaassistito, Capii che a quell'atteggiamento, a sgomento e addolorato, l'allora quella incapacità di sciogliersi anventiquattrenne Giovanni Falco- che in un ambiente sicuro, in un ne. Fresco di laurea, crediamo contesto conviviale, l'aveva ridotto chequeimorti,ildoloreeilfurore Giovanni Falcone (Contra5!o/G. Neri). la vita disumana, da segregato, in per questi servitori dello stato assassinati in quel modo, abbiano continuo allarme per ogni rischio, per ogni pericolo che improvspinto il giovane a compiere la sua scelta di vita, a entrare nella visamente poteva presentarglisi, per l'enorme peso di lavoro, di magistratura. Era nato Falcone nel cuore della Palermo storica, responsabilità che era costretto a sostenere. Ayala invece reagiva nell'araboquartieredellaKalsa,nell'anticapiazzadellaMagione a quella vita in modo del tutto opposto, con vivace, calorosa che le bombe della guerra avevano lacerato e ridotto in macerie, colloquialità, con allegria. in una vaga spianata ancora oggi là sotto il sole. Era figlio di un Falcone non aveva più la barba brizzolata, gli erano rimasti chimico, un uomo serio, rigoroso, morto prematuramente, e di solo i baffi sopra quelle labbra dalla parola avara, in quel viso da Luisa Bentivegna, figlia di un ex sindaco di Palermo. Aveva arabo con quell'espressione pensosa, triste, di uomo "con toda su compiuto gli studi medi al liceo Umberto, dove il bravo professo- muerte a cuestas", come dice il poeta. re di storia e filosofia Franco Salvo esercitava una grande influen- Aveva tanto lavorato e lottato per arrestare quel linguaggio za sugli allievi. E aveva frequentato l'oratorio di San Francesco, fragoroso e mortifero della mafia, quel linguaggio del tritolo presso i frati della chiesa medievale, dove era divenuto amico di dal!' accento ormai da terrorismo basco, da guerriglia libanese. È un coetaneo nato nello stesso quartiere, nella piazza Vetreria, del stato fermato sulla strada che da Punta Raisi lo portava a Palermo, futuro collega Paolo Borsellino. tra l'alta roccia e il mare. È morto insieme alla povera moglie, Falcone, Borsellino, il nisseno Giuseppe Ayala, l'abruzzese Francesca Morbillo, ai fedeli uomini della scorta. La tonnellata di Giuseppe Di Lello, altri coetanei, sono i giovani di una nuova tritolo è esplosa nella vacanza della suprema autorità, nel vuoto storia della magistratura palermitana: giudici che per una diversa del governo dello Stato, mentre le forze politiche si staccano coscienza civile, per profonda indignazione di fronte alla crescen- sempre più dalla realtà di questo Paese, si avvitano in loro stesse te violenza, alla barbarie vergognosa della mafia, a causa dei nella lotta per il potere. grandi delitti degli anni Settanta, degli assassinii di giudici sagaci C'è un famoso romanzo popolare palermitano,/ Beati Paoli, e onesti, Costa, Terranova, Chinnici ..., assassinii di carabinieri e scritto all'inizio del secolo da Luigi Natoli, in cui si racconta di poliziotti, si riunivano attorno al giudice Caponnetto a formare il una settecentesca setta segreta che nella carenza del "braccio pool antimafia che porterà all'incriminazione dei capi di Cosa della Giustizia" statale, compiva vendette, faceva eseguire omiNostra, al grande processo del febbraio 1986. cidi. La strage di oggi ci fa sospettare che una setta di Diabolici In quella mattina di vento, di pioggia, di grandine, ero anch'io Paoli, in questo momento delicato dello Stato, come in altri simili a Palermo ali' apertura del processo, entrai in quell'aula verde, in momenti, al di là o al di sopra della mafia, compia questi tremendi quel bunker a forma di grande ventaglio, salii sulla tribuna della misfatti per seminare terrore. Questa volta sul corpo, sulla vita di stampa, fui spettatore e cronista di quella storica liturgia giudizi a- un giusto, di uno dei migliori siciliani che non finiremo di ria. Vidi, dietro le sbarre delle gabbie, i volti dei famigerati rimpiangere, sulla vita di altri quattro innocenti. mafiosi, di Luciano Liggio, sprezzantemente vestito con tuta da (Milano, 24 maggio 1992) 4

IL CONTESTO Sovrabbondanza e rapina Gli scandali di Milano e la coscienza sporca della sinistra Gad Lerner Insinuanti assonanze. Il compagno che ha sbagliato ma per fini nobili. Ne condividiamo la storia e continuiamo a volergli bene. Non ne ha tratto certo vantaggi personali ... Che linea processuale seguire? Meglio "un compagno non può averlo fatto"? Oppure "il contesto sociale era tale che non si poteva fare altrimenti, e dunque ammettiamo una responsabilità collettiva sui comportamenti illegali venuti alla luce"? Emozioni già vissute all'epoca (non ancora del tutto trascorsa) dei processi contro i servizi d'ordine e la violenza politica, si rivivono oggi che per riscossione di tangenti e forme di finanziamento illecito finiscono in galera tanti militanti del Pds milanese di cui magari eravamo amici, o di cui comunque rispettavamo la dirittura morale pur non condividendone le scelte politiche. Soliti interrogativi che si riaffacciano. Chi è responsabile? Solo coloro che il partito destinava alle mansioni 'sporche', o anche gli altri che come minimo potevano intuire una prassi di autofinanziamento della quale magari anch'essi usufruivano? Non sarà per caso che i primi, gente che trattava miliardi senza trattenere una lira per sé, moralmente debbano considerarsi addirittura più degni degli altri? In fondo non capita a noi di scrivere su giornali finanziati anche a quella maniera (sia ben chiaro, non sto parlando della nostra povera "Linea d'ombra"!, excusatio non petita che di questi tempi è meglio fare). Insomma, lo scandalo di Milano, che poi disvela un meccanismo di funzionamento del sistema dei partiti funzionante alla stessa identica maniera in tutta Italia dal 1945 ad oggi, non può essere liquidato solo come lo scandalo dei socialisti ladroni, o dei democristiani, o dei repubblicani, o della corrente migliorista demonizzata da Botteghe Oscure per autoassolversi. La coscienza sporca ce l'hanno tutti quanti, e a ben scavare si scoprirà che hanno qualcosa da nascondere non solo il Pds ma pure i sindacati. Con l'unica differenza che nel Pds e nei sindacati è più raro incontrare il militante che abbia rubato anche per sé, per arricchimento personale. Questo naturalmente non significa che lo scoperchiamento del sistema politico-affaristico da parte della magistratura non sia Sotto: Palazzo Marino in una foto di Vincenzo Cottinelli. A lato: foto di Massimo Pesaresi (Contrasto). il benvenuto. Lo sentiamo come un evento liberatorio. Sarà bene riflettere sull'insieme di relazioni economiche e sociali - dalle scelte urbanistiche all'assetto della pubblica amministrazione, fino ai risvolti organizzativi delle politiche sociali - entro cui degenerava quel marcio della politica da cui in tanti rifuggivamo. La presenza fra gli inquisiti di persone che stimavamo e alle quali continuiamo a volere bene ci induce semmai ad una riflessione ancor più radicale del semplice "sono tutti ladri". Davvero vien voglia di nuovo di dirsi rivoluzionari: essendo emerso con chiarezza come sia impossibile oggi cimentarsi nel confronto con i poteri reali di questa società (a cominciare da quelli imprenditoriali) senza condividerne almeno in parte le logiche spartitorie profondamente immorali. Tutto questo per chiederci onestamente se non abbiamo commesso un errore, nel passato. Sottovalutando una eventuale centralità della questione delle tangenti e dunque della criminalità nella politica. Io stesso ricordo di aver criticato, anche su "Linea d'ombra", esperienze come quella di Nando Dalla Chiesa e del circolo "Società civile" incentrate sulla lotta per il ripristino della legalità e sulla riaffermazione del valore dell'onestà contro un sistema politico tutto fondato sul ladrocinio. Ci sto pensando molto, in questi giorni, man mano che vengono scoperti miliardi in contanti nelle cassette di sicurezza e conti cifrati nelle banche di Lugano. Ma ancor oggi non riesco a convincermi della bontà di quell'impostazione. Non solo perché vien fuori che fra gli inquisiti figurano anche personaggi iscritti ad honorem in quel "partito degli onesti" che va per la maggiore; o perché altri esponenti di prima fila di quel partito perbene incarnano nella società milanese interessi immobiliari e urbanistici contrastanti con quelli al potere ma non per questo meno rapaci o più degni. No, vale per me ancora una considerazione di fondo. Trovo come minimo ingenua l'ipotesi che la riforma della politica, l'instaurarsi di un corretto sistema di governo e di un corretto rapporto istituzionale fra maggioranze e opposizioni, passi attraverso un semplice, ancorché grandioso, repulisti giudiziario. È alle viste, dopo la bufera dello scandalo di Milano, una 5

IL CONTESTO fase oscura di riassetto di poteri prima ancora economici che politici. Una fase di vuoto di poteri apparenti che potrebbe essere colmato da nuovi poteri forti, avvantaggiati dalla cultura tecnocratica che si annida in realtà- più o meno consapevolmente - alla retorica della legalità e dell'onestà. Forse siamo stati ingenui e distratti nel non rilevare l' ampiezza del sistema della corruzione politica. Ma continuo a pensare che al suo centro non ci fosse di per sé !'"evento tangente", bensì un assetto di potere economico capace di modellare l'insieme delle politiche amministrative. E non solo quelle. Quando tutto sarà venuto alla luce, sarà ben difficile sostenere l'ipotesi di una società civile perbene oppressa dal connubio fra imprenditori rapaci e politici corrotti. La società opulenta che ha nel Nord Italia il suo epicentro si caratterizza per un'enorme zona grigia nella quale è difficile distinguere gli onesti dai disonesti. Si caratterizza per un sistema di scambio in cui i vantaggi e le iniquità si ripercuotono capillarmente spesso fino al livello dell'ultimo dipendente pubblico. I partiti cosiddetti di massa hanno cambiato natura, in questa direzione, così come i sindacati del pubblico impiego. Dallo scandalo di Milano hanno da perderci in molti, forse più di quanti noi stessi sospettiamo. Del resto perché stupirsi? Non siamo forse la società della sovrabbondanza, della rapina e dello spreco delle risorse? Ha qualcosa da offrirci, il Pds? Appunti per una discussione postelettorale Marcello Flores La sinistra, e in particolare il PdS, ha affrontato il dibattito postelettorale sul terreno scelto dagli sconfitti (il quadripartito), quello della governabilità e della priorità assoluta (quasi unica) della riforma istituzionale. Su questo piano non si può che giocare continuamente di rimessa: come ha dimostrato l'elezione dei presidenti di Camera e Senato e il prevedibile difficile accordo per la presidenza della repubblica creato dalle dimissioni di Cossiga. Del resto subordinare la riforma istituzionale (meglio sarebbe dire elettorale) al problema della "governabilità" è già un atto di subordinazione culturale. Non si vede la necessità di una riforma maggioritaria e uninominale se non dal punto di vista della coalizione che ha governato negli ultimi trent'anni (che ne verrebbe rafforzata e legittimata per un altro periodo); o dal punto di vista del "sistema dei partiti", che è la forma specifica assunta dalla democrazia italiana nel dopo-fascismo e che, al di là di regole e princìpi sostanzialmente immutati, ha avuto significati diversi nelle differenti epoche della storia italiana postbellica. Ai fini di rendere più semplificato il sistema politico e favorire le condizioni per l'alternanza basterebbe per il momento, forse, il tetto del 5% per accedere in Parlamento. Il "terremoto" elettorale avrebbe potuto essere occasione di riflessione approfondita e feconda, soprattutto se lo si fosse considerato un elemento della più vasta crisi della democrazia politica che l'occidente sembra vivere come riflesso degli sconvolgimenti all'est. Il sistema politico che ha prevalso in occidente dalla fine della guerra soffre ovunque di una caratteristica: la crisi dei partiti tradizionali e la nascita di nuove formazioni che per comodità definiamo "qualunquiste". Dietro questo fenomeno c'è però una realtà più importante: ed è l'esistenza, in tutti i paesi, di una maggioranza socialmente conservatrice, che ha ormai introiettato sul piano culturale e psicologico tutti i tratti individualistico-consumisti dell'età postindustriale. Viene da chiedersi, sul piano storiografico, se anche negli anni Cinquanta, Sessanta, Settanta, quando i conflitti sociali erano più acuti e contrapposti, non sia esistita una maggioranza sociale conservatrice: almeno nel senso della identità politica e culturale, della "coscienza" collettiva; il che spiegherebbe tanto le fughe volontaristiche sul terreno della rivoluzione sociale quanto il fallimento dei tentativi rivoluzionari. Questa maggioranza, sempre più omogenea culturalmente, 6 socialmente frammentata ma con un solido minimo comune denominatore di benessere che la contrappone alla robusta minoranza degli emarginati, non ha più un unico referente politico, né sul piano ideologico né geografico: la crisi di governabilità nasce dalla non adesione di una parte sempre più cospicua di questa maggioranza al sistema politico; e dalla richiesta di buona gestione, efficienza e moralità che proviene da essa e che-socialmente e culturalmente - è intrecciata con richieste di più accentuato corporativismo, favoritismi, privilegi ecc. La sinistra oggi è una realtà composita ed eterogenea, sia che la pensiamo nel suo insieme (PdS, Psi, verdi, Rete, Rifondazione, radicali) sia che pensiamo al solo PdS, la sua forza maggiore. Il referente sociale del PdS è disomogeneo; esso comprende, probabilmente, la parte più "morale" della maggioranza conservatrice, una parte della società declassata e di quella che tende numericamente a ridursi (gli operai), una parte di ceti medi e professionali che sono l'effetto di una mobilità e promozione sociale avvenuta negli ultimi quindici anni: il collante è ancora, malgrado il post- '89, l'ideologia (ormai genericamente progressista) e un programma riformista altrettanto vago, di tipo fine Ottocento. Può la sinistra essere omogenea? E deve cercare comunque di esserlo? Può essere sufficiente una ricetta di "moralità" e di "difesa" degli strati sociali svantaggiati? Non sono interrogativi cui è facile rispondere, ma che neppure possono essere elusi. Su questo piano vengono al pettine due problemi storici su cui il Pci in passato e oggi il PdS non ha riflettuto abbastanza: quello della compatibilità economica di una politica di sviluppo/riforme/difesa degli strati più deboli e quello della opportunità e/o necessità di lottare in difesa di strati che "storicamente" hanno perso o stanno perdendo il loro ruolo, posizione, forza: oggi gli operai, ieri i braccianti. Sul piano politico sembra che di fronte alla sinistra e al PdS non vi siano che due alternative "strategiche": la prima è di partecipare alla gestione del potere cercando di favorire un raggruppamento trasversale di onesti ed efficienti: avere cioè alla base un programma di comportamento politico, essere ancora di più "tecnici" della politica e separati dalla società. Accettare, come conseguenza, che il "segno" sociale sia conservatore e che il carattere progresssista si riduca ed esaurisca sul piano della gestione, della politica. Non è cosa da poco, naturalmente, ma

bisogna aver chiari i limiti strutturali di una simile impostazione. Per fare un'esempio: si può imporre una gestione efficiente e morale della sanità; ma sarà sempre più difficile impedire che un "buon" ospedale discrimini i più deboli. Efficienza e gestione morale porteranno con sé, molto probabilmente, una subalternità sociale (alla maggioranza "conservatrice" che si diceva prima). Il compromesso sul piano politico (e cioé una parte della maggioranza socio-culturale conservatrice che si schiera col fronte progressista sul piano politico) deve avere una contropartita sociale (un compromesso a favore della maggioranza suddetta). La seconda alternativa parte dall'idea di considerare faticosa e poco produttiva la prima, troppo tecnico-istituzionale. Si tratta, allora, di diventare, sul serio, forza di opposizione. Ma opposizione che si consideri tale "storicamente", sul medio periodo, perchè è consapevole che non esiste una maggioranza sociale progressista nelle società avanzate. In questo senso parlare di alternativa o alternanza ha poco senso, a meno di non voler essere la forza politica di ricambio della maggioranza conservatrice (e allora fare un partito insieme a La Malfa e Segni, non solo un governo) e ricadere nella prima alternativa descritta sopra. Stare all'opposizione significa poter contare, incidere, costringere gli altri a muoversi e cambiare, produrre controlli, verifiche; non, però, nell'illusione di raccogliere consensi sociali da utilizzare poi sul piano politico (come ha sempre fatto il Pci). Una simile opposizione non deve avere come obiettivo di produrre mutamenti politici ma trasformazioni reali. Una opposizione tutta da inventare, perché non c'è mai stata. Una opposizione che si sviluppi sul terreno concreto, delle scelte, delle opzioni, del "caso per caso" - ma in modo rigoroso -e non invece su grandi e generici terni, sulla retorica dei princìpi e dei valori. Naturalmente bisogna essere consapevoli che rifiutare il terreno demagoFoto di Roberto Koch (Contrasto). IL CONTESTO gico-ideale, in una società di massa e dell'apparenza, penalizza. E che comunque occorre costruire una cultura "positiva" che rischia sempre di sconfinare nella demagogia. Una opposizione siffatta deve muoversi su tutti i piani: sociale, ambientale, istituzionale, culturale. Cosa sia un programma di opposizione sociale, ambientale e istituzionale nessuno lo sa. L'obiettivo è di produrre modificazioni concrete, di impedire per quanto possibile soluzioni negative (tipo Lega) ma mai a favore dello status quo; di controllare e costringere per lo meno a far prevalere nella maggioranza conservatrice l'ala morale/ efficientista senza timore di lavorare per il re di Prussia. Dietro una tale opposizione ci vuole una cultura e dei valori: quali? Non si può essere generici (pacifisti e ambientalisti ma a parole, senza che questi valori significhino nulla in concreto, nella vita quotidiana, ma solo sul piano politico); e neppure utopisti in liquidazione che propongono cose impossibili come la rivoluzione ma apparentemente più realistiche (cosa vuol dire solidarietà con gli svantaggiati? bisogna dire a chi dare soldi e a chi no, per che cosa, con quali concrete finalità; più servizi, ma a scapito di cosa; più ambiente e istruzione, magari, ma allora consapevoli di volere meno occupazione operaia e così via). Smettere di volere tutto per tutti, di essere coerenti moralmente ma non selettivi socialmente. Quale identità deve avere una simile opposizione? Quale ambizione di grandezza? Quali valori fondativi? Quali comportamenti? Da chi farsi controllare? Quali finalità esplicite dichiarare? A breve e medio termine o anche di lungo periodo? Se questo è il terreno su cui costruire qualcosa, può l'attuale PdS offrire qualcosa? La risposta sembra negativa. Le mosse compiute sul piano istituzionale per l'elezione dei presidenti di Camera e Senato, la risposta data al coinvolgimento nello scandalo delle tangenti a Milano, l'imposizione di Veltroni a direttore del' Unità, sono tre espressioni chiarissime di come, sempre più, il PdS sia incapace di attuare quel rinnovamento che, con la propria costruzione, aveva promesso e invocato. I motivi sono tanti e i rimedi, probabilmente, inesistenti: una precondizione necessaria dovrebbe essere il far piazza pulita di almeno un 60% di dirigenti, di tutte le correnti, senza ridicole distinzioni tra riformisti, occhettiani, ingraiani. Deburocratizzare un partito è, in generale, un controsenso. Sembra addirittura impossibile per un'organizzazione che del culto gerarchico della burocrazia ha fatto per decenni il centro della propria cultura politica. Allora? Se si vuole essere realistici sembra che sia la prima alternativa l'unica percorribile. Almeno da "politici". Ma la ricostruzione della sinistra passa per la costruzione della seconda ipotesi e solo per quella. Questo significa "ricostruire" insieme l'idea stessa della politica e quella di opposizione, i compiti e gli ambiti della società civile e quelli degli amministratori e dei controllori. In una parola ripensare che tipo di società sia quella che si avvia a doppiare il millennio. E in primo luogo comprenderla e analizzarla. Su questo piano ben poche speranze vengono anche dagli altri partitini della sinistra, dai nostalgici di Rifondazione come dai confusi e sgomitanti verdi o dai demagoghi del moralismo della Rete. Disintossicarsi dalla politica può essere una strada obbligata per il futuro prossimo. A patto di analizzare con spietata severità quello che la società è e sta diventando, quali i comportamenti individuali e collettivi dei suoi segmenti e quali i valori che muovono l'agire degli individui e dei gruppi. Dovremmo interrogarci di più su cosa siamo diventati e stiamo diventando noi tutti, invece che attribuire ai professionisti della politica la colpa di muoversi secondo regole che fanno parte integrante, forse, della nostra quotidianità. 7

IL CONTESTO One Party State La sconfiHa dei laburisti in Gran Bretagna Michael Eve Nei giorni dopo le elezioni politiche inglesi che hanno premiato per la quarta volta successiva il partito già al governo da 13 anni, i giornali del paese (non solo quelli di sinistra) hanno insistentemente parlato di one party state. Difficile dargli torto: il sistema politico inglese si è riconfermato non meno "bloccato" di quello italiano. Anzi, il monopolio dei conservatori inglesi è, per molti versi, più in contrasto di quello posseduto da partiti del centrodestra in altre parti dell'Europa perché mancano molti elementi del pluralismo istituzionale e della divisione dei poteri che potrebbero attenuarne il predominio politico. In Inghilterra, infatti, non esiste un vero livello regionale di governo, il parlamento è effettivamente quasi unicamerale (la Camera dei Lords ha poteri assai limitati), le città hanno tradizioni di organizzazione politica più deboli che altrove, manca una forte magistratura (e una vera Costituzione) capace di contrastare il governo. Questa volta non ci sono neanche molti alibi per il partito laburista. Sembra proprio il modello socialdemocratico inglese nella sua essenza ad essere bocciato. "L'Inghilterra si è rivelata un paese profondamente conservatore" commentava sconsolato un articolista del "Guardian" nei giorni dopo il voto (Hugo Young, 114-92); lo storico Bernard Crick, notando l'immensa portata della sconfitta laburista, scriveva che si è praticamente spezzata quella dialettica fra individualismo e senso della comunità che ha così fortemente caratterizzato la politica inglese in questo secolo (sul "Guardian" del 13-4-92). Certamente la straordinaria tenuta del voto conservatore (il 42,8% questa volta, molto simile al 42,3% ottenuto nel 1987 e al 42,4% nell' 83 e il 43,9% nel '79) rivela la superficialità di molte analisi fatte dalla sinistra delle sue sconfitte precedenti. È ormai penoso ricordare quanta importanza fosse attribuita a fattori contingenti come l'ondata di nazionalismo in seguito alla guerra delle Falkland (che precedeva le elezioni dell' 83), oppure il boom consumistico della metà degli anni Ottanta o anche il carisma e il richiamo populista-autoritario della signora Thatcher. Lo stesso termine "thatcherismo" ormai sembra meno appropriato per descrivere (e per diagnosticare) le basi del predominio della destra inglese. Adesso infatti, nel 1992, nel mezzo di una recessione ben più intensa che altrove in Europa e che ha particolarmente colpito una fetta cruciale dello stesso elettorato conservatore, John Major ha ottenuto la vittoria e una maggioranza parlamentare di poco inferiore alla precedente. Non stupisce che deputati conservatori si siano abbandonati a compiaciute previsioni sulla fine del partito laburista in senso tradizionale, prospettando l'adozione di un programma simile al Partito democratico americano come l'unico modo di evitare altri vent'anni di sconfitte. Non si può neanche dare tutta la colpa al pur assai ingiusto e depoliticizzante sistema elettorale. Con quasi il 43% dei voti, anche sotto un sistema proporzionale corretto (solo pochissimi paesi hanno il proporzionale puro) i conservatori sarebbero sempre in una posizione di schiacciante predominio. Naturalmente, stime ipotetiche del modo in cui gli elettori reagirebbero se il sistema fosse diverso sono assai poco affidabili, ma giochi del genere servono a sottolineare la larghezza dei consensi conservatori. Come ammettono i deputati dell'opposizione, neanche una specie di Fronte Popolare che unisse i voti del partito laburista con quelli 8 dei liberaldemocratici troverebbe la strada facilmente spianata. Nelle ore subito dopo la sconfitta laburista, Neil Kinnock (leader ormai dimissionario) e diversi altri esponenti del partito hanno dato una parte della responsabilità alla stampa popolare, volgare e visceralmente anti-progressista. Kinnock ha ricordato come uno dei principali responsabili della campagna conservatrice avesse riconosciuto il grande ruolo giocato dalla stampa popolare in favore del suo partito, tanto da ringraziare i redattori e proprietarj dei giornali. Lo stesso "Sun" (tiratura 4 milioni di copie), il più sguaiato dei vari giornali e il più odiato dalla sinistra, ha proclamato orgogliosamente la sua parte nella disfatta laburista con titoli cubitali il giorno dopo il voto. A una spiegazione della sconfitta in termini dell'influenza culturale dei mass media è accordata una certa credibilità in Inghilterra (non è la prima volta che è stata invocata). Ogni sinistra nazionale ha i suoi demoni. In Italia può essere il clientelismo a essere individuato come la forza oscura più temuta e il simbolo del male più caratteristico del paese. Gli inglesi invece hanno una visione meno particolaristica della propria società e tendono a ricorrere a spiegazioni in termini di cultura di massa. Il riferimento alla stampa popolare è particolarmente significativo perché è appunto nella cultura popolare e in certe fasce della working class che il partito laburista ha il suo fianco più debole. Perciò la volgarità esibita in forma caricaturale da giornali come il "Sun" sembra simboleggiare molti fantasmi e paure della sinistra inglese. Sono gli operai, i lavoratori autonomi, i piccoli impiegati lettori del "Sun" o del "Mail" che costituiscono la chiave delle elezioni in molte circoscrizioni e sono proprio loro che in questi anni hanno spesso costituito una base cruciale del Partito conservatore. Per un pubblico italiano, comunque, sembra superfluo sottolineare l'inadeguatezza di una spiegazione dei risultati in questa chiave. Se la disinformazione e le violente polemiche della stampa popolare hanno inciso su una certa percentuale di elettori, questo dimostra soprattutto le radici superficiali del sostegno laburista. L'appoggio ai laburisti ha infatti oscillato enormemente negli ultimi anni ed è in questo contesto che va inquadrata l' evaporazione del voto laburista negli ultimi giorni della campagna. Com'era evidente già prima di queste elezioni e prima della clamorosa smentita dei sondaggi demoscopici, una buona parte del potenziale appoggio laburista è estremamente labile. In fondo, i laburisti non sono riusciti a superare i confini di un elettorato basato sulle fasce meno prospere della classe operaia, sulle minoranze etniche e su una classe media illuminata (possibilmente impiegata nel settore pubblico). Una simile alleanza (in Inghilterra, ma forse non solo lì) è stata sufficiente per ottenere un terzo dei voti (il 35,2% in questo caso); ma qualunque tentativo di superare quel livello sembra costantemente destinato all'insuccesso. Si tratta insomma, largamente, di un problema di consensi, e soprattutto presso alcune fasce sociali. Perché l'elettorato, pur molto insoddisfatto del governo in carica, non ha dato "fiducia" all'opposizione? La maggior parte dei commenti raccolti da elettori e politici e riportati dai giornalisti indicano il programma fiscale del Partito laburista come l'ostacolo maggiore a un voto laburista. Il Partito laburista, sbarazzatosi della retorica e del

massimalismo che l'ha caratterizzato nei primi anni Ottanta, ha presentato un programma pragmatico ma sempre di chiara identità labour, cioè socialdemocratico in senso tradizionale. Il manifesto programmatico ha presentato in forma molto concreta una serie di interventi sul welfare state, sui trasporti, per gli incentivi alla piccola industria, la ricerca, la formazione ecc.; il costo di ognuno di questi interventi era minuziosamente stimato e una grande parte del dibattito elettorale ruotava attorno al vero costo di tali interventi. Per finanziare questi progetti - piuttosto modesti e giudicati dalla grande maggioranza come utili - e per operare una piccola distribuzione dei redditi a favore dei più poveri, si è proposto di aumentare le tasse sulle fasce di reddito medio-alte. Secondo l'impegno del Partito laburista, nessun cittadino con un reddito inferiore alla soglia delle 22 mila sterline (circa 48 milioni di lire) lorde sarebbe però stato colpito dal fisco, anzi avrebbe tratto vantaggio dal cambiamento. Il partito aveva presentato, quindi, un programma - esposto e discusso davanti all'elettorato con apprezzabile onestà e precisione - centrato soprattutto sul consumo collettivo e su una modesta redistribuzione del reddito. Temi tipicamente socialdemocratici. Va sottolineata ancora una volta la moderazione e la mancanza di retorica di queste proposte. La maggior parte della popolazione ne avrebbe quasi sicuramente tratto beneficio. Eppure, a giudicare dalle dichiarazioni rese ai giornalisti da persone (anche con redditi modesti) che hanno comunque votato conservatore, è stato proprio questo elemento del programma laburista a "spaventare". Prendiamo il caso di Basildon, città media a una cinquantina di chilometri da Londra e invasa dai giornalisti perché presa come esempio proprio del tipo di seggio che i laburisti dovevano conquistare per vincere le elezioni. Nella sua forma attuale, Basildon è una città nuova, creata nel dopoguerra prevalentemente da emigrati provenienti dall'East End di Londra, fin dall'Ottocento famoso e famigerato luogo della povertà. Basildon mantiene un carattere marcatamente working class nella sua cultura; anche nella struttura professionale è una città pochissimo borghese, con netta prevalenza di operai qualificati e non, di lavoratori autonomi e di impiegati, pendolari forse alla City. Moltissimi fra le prime generazioni arrivate a Basildon si sono trasferiti nelle numerosissime case popolari costruite dall'amministrazione locale (immancabilmente laburista). Negli anni Ottanta, invece, moltissime famiglie si sono avvantaggiate della legislazione del governo centrale che costringeva i comuni ad offrire in vendita (a prezzi ben al di sotto del valore di mercato) le case popolari agli stessi inquilini. Negli anni Ottanta città come Basildon nel sud dell'Inghilterra erano generalmente prospere e anche se la disoccupazione era abbastanza diffusa, molti operai e impiegati che avevano un'occupazione nell'industria o nei servizi privati hanno beneficiato dalla crescita salariale (fra le più rapide dell'Occidente nonostante i progressi complessivamente mediocri dell'economia). In una famiglia media è presumibile ci fossero almeno due occupati (l'occupazione femminile, soprattutto part-time, è cresciuta notevolmente in questi anni, come sono cresciute anche alcune forme di bioccupazione) e il reddito familiare è aumentato rapidamente. Inoltre l'accesso al credito si è allargato ulteriormente negli anni Ottanta. In questi anni un comico inglese ha conquistato grande fama interpretando un personaggio chiamato "Loadsamoney" (Pienodisoldi) che si glori;iva della sua nuova ricchezza sventolando un enorme rotolo di banconote e cantando spudoratamente il vangelo del consumo ostentato; era visto come esempio del modello a cui mirava Essex Man (Essex è la contea dove sta Basildon e altre città simili dell'immigrazione da Londra). Negli ultimi due o tre anni, invece, Basildon, come molti altri centri soprattutto nell'Inghilterra meridionale, ha subito un aumento brusco della disoccupazione e non IL CONTESTO poche persone si sono trovate in difficoltà, magari incapaci di far fronte ai pagamenti dei mutui e degli altri debiti. Basildon è stato preso da tutte e due le parti come metafora centrale della politica inglese. Da una parte rappresenta un elettorato che una volta era "naturalmente" laburista, dall'altra un ceto con un evidente desiderio di mobilità sociale, individuale e familiare a cui il partito conservatore si è spesso rivolto con successo. I laburisti non hanno ottenuto quel 3% in più di voti di cui avevano bisogno e per un migliaio di voti Basildon è rimasto conservatore. Quello che colpisce leggendo le spiegazioni offerte dagli elettori di Basildon è il riferimento quasi ossessivo alle implicazioni immediate per il bilancio familiare. "È solo una questione di soldi" ha dichiarato uno, come per negare qualsiasi implicazione ideologica. Molti, anche con redditi bassi, hanno espresso diffidenza riguardo alle vere intenzioni fiscali dei laburisti. Tanti intervistati hanno nominato le loro preoccupazioni rispetto al mutuo sulla casa. La straordinaria frequenza di riferimenti del genere costringe l'osservatore a considerare questo tema come in qualche modo centrale. Perché una persona che ha un grosso mutuo sulla casa dovrebbe temere un governo laburista? Certamente i conservatori hanno sottolineato lo spauracchio di una fuga di capitali dai mercati finanziari all'avvento di un governo laburista, e il rischio che un governo laburista sarebbe costretto ad alzare i tassi di inter.esse per difendere la sterlina nello SME. Il mattino delle elezioni un giornale popolare, il "Mail", ha dedicato l'intera prima pagina a questa minaccia in caratteri cubitali. È possibile che timori di questo genere abbiano inciso a Basildon. Roy Payne, tassista, dice "Tanta gente qua si trova proprio con l'acqua alla gola", anche un aumento minimo dei tassi d'interesse potrebbe metterli nei guai (sul "Financial Times", 114-92). Non poche case recentemente acquistate infatti sono state rivendute con pesanti perdite per l'impossibilità di pagare il mutuo. Per alcuni, quindi, qualsiasi minimo rischio di aggravio del bilancio familiare (per via delle imposte o dei tassi di interesse sui debiti) è assolutamente da evitare. Ma in realtà non è in gioco solo questa logica dell' indebitamento. Quando si parla di mutui e del tasso d'interesse governativo in Inghilterra (e se ne parla spessissimo) non si tratta di un mero argomento di teoria economica. Le continue conversazioni e battute sui mutui, sul movimento nei prezzi delle case, sulle case stesse indicano evidentemente che si tratta di temi carichi di grandi valenze personali e familiari. È rilevante inquesto contesto ricordare che, diversamente dall'Italia e forse da altre parti dell'Europa, le case inglesi (almeno in queste fasce sociali) si comprano con i mutui pagati dai salari di persone spesso giovani (ventenni e trentenni), non sono beni tramandati ai figli dalla generazione precedente. Ciò aumenta la diffusione del mutuo e ne cambia il significato sociale. In modo particolarmente intenso in Inghilterra, la casa di proprietà sembra essere il fulcro attorno al quale ruotano pratiche (dal bricolage al giardinaggio, dal risparmio allo shopping) di molta importanza per la celebrazione di una riuscita vita familiare. Si tratta inoltre di un potente simbolo di una certa mobilità sociale: il tasso di proprietà (un poco meno del 70%) non è molto diverso da quello italiano, ma in Inghilterra si è partiti da livelli molto più bassi che in paesi caratterizzati da una larga diffusione della proprietà contadina. È solo all'interno di questo terreno simbolico che possiamo capire le paure rispetto al fisco, ai tassi sui mutui, ecc. Il voto di una città come Basildon sembra del tutto irrazionale se facciamo un freddo bilancio dei costi e benefici della politica fiscale ed economico-sociale proposta dai laburisti. Perché dunque molte persone anche con redditi al di sotto della fatidica soglia di 22 mila sterline 9

IL CONTESTO Foto di Richard Smith (Kate Pictures/ Agenzia Contrasto). hanno votato conservatore? In parte, forse, perché molti hanno almeno progetti di avanzamento sociale: come commentava Bryan Gould, candidato (purtroppo non favorito) al posto di segretario del partito, "abbiamo dato l'impressione di porre dei limiti alle aspirazioni della gente"(sul "Guardian" del 13-4-92). In parte perché il voto non è solo un fatto individuale e non sono pochi a calcolare gli effetti su figli con redditi più alti. Roy Wood, guardia giurata, sempre a Basildon, sostiene che la politica fiscale laburista avrebbe colpito troppe persone di reddito medio, ma soprattutto esprime contentezza per suo figlio, assicuratore nella City (proprio il tipo di lavoro ambito per i figli da molte famiglie a Basildon) che, con la vittoria conservatrice, si è risparmiato un aumento enorme delle imposte (sul "Financial Times dell' 11-4-92). I conservatori sono sempre considerati più "affidabili" su questo terreno, crocevia dei progetti familiari. Evidentemente poco importa che proprio loro abbiano spesso penalizzato proprietari con tassi di interesse i più alti della storia. Nello stabilirsi di "reputazioni" in questo campo è stata senz'altro decisiva la battaglia che il partito laburista ha condotto per molti anni - prima dentro il parlamento poi in tanti comuni controllati da amministrazioni laburiste, utilizzando la resistenza ad oltranza o l' ostruzionismo burocratico - contro la vendita delle case popolari. Ciò che conta oggi non è tanto che qualcheduna fra il milione di famiglie che ha beneficiato dalle misure avrà cambiato bandiera a favore dei conservatori, ma piuttosto il fatto che una lunga e aspra battaglia su questo terreno ha definito il campo politico in modo molto netto e 10 identificato indelebilmente il partito laburista con una politica del consumo collettivo e con l'indifferenza verso le strategie di accumulazione familiare. Anche adesso che il partito è molto cambiato continua a pagare i costi della reputazione acquistata negli anni Ottanta. Le linee della competizione politica si sono disposte in modo da porre la destra dalla parte dell'avanzamento individuale e familiare e la sinistra dalla parte di un progetto sociale che cerca una maggiore giustizia e razionalità. L'idea della politica che i laburisti trasmettono al pubblico (sia esplicitamente sia inconsciamente) è centrata innanzitutto sulla giustizia sociale (è questo il tema capace di appassionare di più anche i deputati laburisti della nuova generazione meno legati al passato) oppure sulla razionalità dell'organizzazione sociale. Questo può essere convincente per molti: la raccomandazione di un voto laburista fatta dal "Financial Times" probabilmente non era solo donchisciottesca: infatti il degrado delle infrastrutture, la mancanza di una politica industriale e più in generale i limiti di una politica liberista sono chiari a molti economisti. Evidentemente però una visione della crescita sociale non riesce a competere con il richiamo a strategie familiari. Dagli anni Sessanta (ma forse anche dagli anni Quaranta) il partito laburista non riesce a combinare i due filoni. Mentre le molte e spesso belle case costruite da comuni e governi laburisti nella primametà del secolo potevano costituire una speciedi avanzamento familiare, da molto tempo questo non è più vero. Nel primo discorso dopo la sua rielezione, Major è tornato ancora una volta sul tema della "società con opportunità per tutti". Può sembrare paradossale che un governo che certamente riduce le opportunità possa fare discorsi del genere. Ma fra i conservatori i discorsi sulla mobilità sono abbastanza frequenti, mentre fra i laburisti sono rarissimi. Il partito laburista non è contrario alla mobilità, naturalmente, ma il tema semplicemente non fa parte del nucleo centrale dei suoi discorsi politici. Tutta una serie di politiche conservatrici possono essere viste come rivolte in parte a progetti di mobilità occupazionale e tali politiche affiancano quella della diffusione della proprietà (soprattutto la casa, ma anche il cosiddetto "capitalismo popolare", le vendite delle azioni di società privatizzate direttamente al pubblico). Le iniziative per favorire la riconversione del lavoro dipendente in lavoro autonomo o microimprenditoria sono in realtà prevalentemente misure per contrastare la disoccupazione ma hanno anche la funzione di incoraggiare una strategia di mobilità e così sono state presentate. Soprattutto, i conservatori sono stati molto favoriti dalle grosse trasformazioni della struttura occupazionale che ba permesso a un numero enorme di persone di entrare in un mondo professionale più prestigioso di quello dei genitori, dando così l'impressione di un'apertura delle opportunità. L'espansione del terziario (il motivo principale dell'aumentata mobilità occupazionale) non è certo prodotto della politica governativa, ma i Conservatori ne banno potuto trarre vantaggio politico perché sono loro a fare un discorso di mobilità e di opportunità. Analogamente da quando i consigli di amministrazione delle banche o dell'industria non sono più retti solo da figli della alta borghesia formati a Eton e a Oxford (cambiamento puramente sociodemografico dovuto al numero maggiore di persone disponibili provenienti da altri ambienti e attribuibile semmai all'espansione dell'istruzione lanciata dal governo laburista degli anni Quaranta) i conservatori possono proclamare il cambiamento come risultato del nuovo ambiente d'opportunità. Come nel caso della diffusione della proprietà, anche in quello della mobilità occupazionale i conservatori sono stati premiati da cambiamenti strutturali. Le prese di posizione dei due principali partiti hanno poi messo i conservatori in una luce più favorevole

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