Linea d'ombra - anno X - n. 71 - maggio 1992

14 VISTA DALLA LUNA ~ ~ <!'.'. -l Gli scriHi e il lavoro di Marco Lombardo Radice Una concretissima utopia. È questo il titolo della raccolta di scritti di Marco Lombardo-Radice su lavoro psichiatrico e politica pubblicati dalle edizion__dii "Linea d'ombra" pochi mesi fa. Marco è morto nel 1989, a soli trentanove anni. E stato molto noto a suo tempo, nella seconda metà degli anni Settanta, come autore assieme a Lidia Ravera di Porci con le ali. Ha lasciato scritti importanti sulla condizione giovanile. Ha dedicato la sua vita al lavoro di neuropsichiatra infantile, a Roma. Militante, scrittore, professionista, la sua attenzione si è sempre rivolta ai deboli, la sua curiosità al rapporto tra generazioni e tra terapeuta e paziente, nel contesto di una società confusa come la nostra. Su di lui e sul suo libro abbiamo chiesto la testimonianza e la riflessione di Adriano Giannotti, direttore del Servizio di Neuropsichiatria de~la _ clinica universitaria presso cui Marco lavorava, diretta dal prof Bollea, e dei nostri redattori Filippo La Porta e Gianfranco Bettin. Gli scritti di Una concretissima utopia erano stati scelti e commentati da altri amici, in particolare Luigi Manconi, Marino Sinibaldi, i colleghi e i ragazzi della clinica e la compagna di Marco. Sull'orlodei dirupi Gianfranco Bettin C'è una tensione duplice negli scritti di Una concretissima utopia, la stessa che c'era nella sua ricerca, nella sua vita. C'è la spinta ad agire concretamente, e a ben agire, ad agire rettamente, coerentemente, misurando le idee nella difficile, selettiva sfida dei fatti e della realtà. E c'è lo sguardo globale, più alto, che sfida la prassi a partire da una complessa riflessione critica, da una tendenza, direi, a produrre teoria critica, ad agire nel pensiero, per così dire, e allo stesso tempo a pensare dietro l'agire. A essere esigenti verso se stessi ma anche verso la cruda realtà e verso le rappresentazioni che produce. C'è il meglio della generazione politica e intellettuale formatasi tra gli anni Sessanta e Settanta in questa duplice tensione, i cui effetti possono anche essere fisicamente pesantissimi tanto quanto sono produttivi intellettualmente. Ci vuole forza, e anche un notevole ardimento intellettuale ed esistenziale, per mantenere questa ricerca. Da questi saggi e interventi anche chi non lo conosceva può ora capire che Marco Lombardo Radice l'ha vissuta con rigore e coerenza rarissimi. Nell'esperienza politica militante prima, nella professione poi, e sempre nel lavoro intellettuale, ha provato a realizzare la "concretissima utopia" di spendersi con passione e intelligenza per una causa, e per un sogno. Di questo sogno - "una fantasia molto antica, personale e prepolitica di ciò che avrei voluto fare nella vita" - egli stesso dà conto, nello scritto forse più bello del libro, Il raccoglitore nella segale, del 1988. Vi si parla di reparti di Neuropsichiatria infantile, di modalità di trattamento dei pazienti, di Ussl, di infermieri e medici e primari, di patologie psichiatriche, di gestione di casi e gestione di strutture, di legge 180 e di Foucault, ma si conclude con un brano del celebre The Catcher in the Rye, cioè// giovane Holden di Salinger. Ed è il brano in cui il protagonista sogna di stare in piedi sull'orlo di "un dirupo pazzesco" edi acchiappare al volo quei ragazzi che giocano nel campo di segale e "correndo senza guardare dove vanno" non si accorgono che stanno per cadere dal dirupo: " ...Io devo saltare fuori da qualche posto e acchiapparli. Non dovrei fare altro tutto il giorno. Sarei soltanto l'acchiappatore nella segale ...". Di simili fantasie è nutrito l'agire politico di molti, e la loro stessa elaborazione culturale. Tuttavia a tali fantasie sia l' azione sia la riflessione si sono spesso ridotte, troppo costoso sembrando ai più l'avvicinarsi concreto, la loro traduzione in atti, in progetti, in comportamenti precisi. Il velleitarismo di molta parte della sinistra, vecchia e nuova, in qualsiasi forma incarnatasi, degli stessi "movimenti" di ogni stagione recente o lontana, nasce da tale incapacità di traduzione concreta delle idee e delle stesse fantasie fondanti il proprio immaginario ideale e culturale. Di qui, sia le forzature terribili in direzione dell' inveramento immediato di quei sogni-magari a colpi di pistola-sia i precoci abbandoni, le delusioni immedicabili, quegli atteggiamenti da precoci reduci da chissà quale guerra o tempesta epocale, di cui parla anche Luigi Manconi nell'introduzione al libro. Si tratta di quell'opportunismo diffuso particolarmente "nell'intellettualità di massa dei grandi centri urbani", ricorda\o da Marco Lombardo Radice: "C'è una tendenza riscontrabile in tutti gli strati sociali che negli anni scorsi erano stati al centro di grandi movimenti di massa: al desiderio di farsi soggetti, di acquistare una piena coscienza della propria identità, sembra essere subentrata l'esigenza di inserirsi con successo nei meccanismi sociali, anche a costo di rendere quest'identità più fluida, più duttile e sfuggente". Insomma, il quadretto descrittoci da ogni sorta di "Grande freddo" rappresentato al cinema o per iscritto o nelle chiacchiere quotidiane. Le persone come Marco, ben consapevoli di vivere le stesse difficoltà e le stesse tentazioni, si sono sforzate tuttavia di resistervi e andare oltre. Non sempre con fortuna. Ce ne sono, però, e non pochissime. Rappresentano forse ancora soprattutto un seme, piuttosto che un frutto. Ma il frutto può venire. Il loro percorso è stato tracciato con fatica nella palude infida della società e delle istituzioni italiane di questi anni. In tali sfavorevoli condizioni ambientali hanno provato a dar corpo a lontane fantasie, a lontani sogni di cambiamento. Se per esempio sognavano un mondo nonviolento, hanno provato a realizzare una "gestio-

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