HANDICAP i ciechi suppliscono alla scarsità di notizie sul territorio offerte dalle loro mappe con una moltiplicazione delle ipotesi e un potenziamento dell'immaginazione. Correre con una vettura lungo un'autostrada conosciuta è indubbiamente più comodo e veloce che andare a r.iedi; fermarsi ai lati della strada e incamminarsi fra i boschi sconosciuti che la costeggiano è più difficile e rischioso, ma può essere persino più àppassionante. Per una pedagogia dell'errore Come si rappresenta il mondo a un_bambino 111111, L'}knte?Quali discriminazioni srabilisce fra ,e·;,· 1· ambiente? Quali sono le sue modalità di cla,,il'icazione e di seriazione delle sensazioni? Che idea si fa delle montagne e degli astri? Purtroppo studi in questo senso sono pochi e frammentari. Rispondere a queste domande significherebbe dare delle soluzioni concrete ai difficili problemi educativi connessi all'handicap visivo. La risposta più semplice può essere: chiudi gli occhi e immagina le cose. Una risposta semplice, ma sbagliata. "Il vedente che chiude gli occhi - scrive Enrico Ceppi - non si costruisce un mondo simile a quello del bambino nato cieco, il suo mondo interiore resta pur sempre quello del vedente: un mondo di immagini visive, di colori, di rappresentazioni vive in movimento, rappresentazioni spaziali dense di contenuti emotivi. Non chiudete gli occhi ma spalancateli sulla vita del bambino che non vede e osservatelo con attenzione, perché da ogni suo gesto, in ogni suo atto, avrete la 1isposta al vostro interrogativo." Il bambino vedente costruisce il suo mondo di immagini e di parole, si può dire, naturalmente, guardando la molteplicità degli esseri animati e inanimati che si muovono attorno a lui. Per un bimbo cieco invece la rappresentazione del mondo è una costruzione complessa, perché non può istituire immediatamente una relazione tra le parole e i rumori che sente e gli oggetti a cui si riferiscono. Il bimbo che non vede perciò deve cercare il mondo, conquistarlo punto per punto, mattone su mattone. Nessun bambino, a giudizio unanime degli specialisti, nel suo primo anno di vita è in grado di differenziare le sensazioni dei quattro organi di senso spazialmente separati: mano, bocca, orecchio e superficie della pelle; realizzare questa necessaria differenziazione per il bimbo che vede non si presenta particolarmente problematico: la vista gli permette di stabilire rapporti oggettuali istantanei tali da renderlo capace, già nei primi mesi di vita, di orientarsi nello spazio secondo le diverse funzioni degli organi. Il bambino che non vede invece deve essere guidato in questo processo di differenziazione con stimoli mirati. È fondamentale per gli educatori ottenere questo obiettivo; si tratta cioè di passare dalle sensazioni stimolo-rumore a un ordine percettivo differenziato; ciò significa attivare le funzioni sensoriali del bambino per renderlo consapevole, offrendogli così la possibilità di esplorare e di conoscere il proprio corpo e l' ambiente in cui vive. Negli anni passati i bambini ciechi sono stati sottoposti a test che li mettevano a confronto con i loro coetanei vedenti: ne emergevano svantaggi cognitivi giudicati a volte non superabili. Ma il LA TERRA fatto che un bambino vedente bendato riconosca, con più probabilità di un suo coetaneo non vedente, una forma geometrica, ci informa su un'abilità e non sul percorso cognitivo. Un test non è una gara sportiva. Errare è un ricominciare da capo, è un fare ipotesi, è, come dice Piaget, il procedere a tastoni dell'intelligenza. Quando si propone a un bambino cieco una prova di denominazione sottoponendogli la riproduzione in plastica di un granchio e lui risponde che è un ramo di un albero, la risposta è estremamente,: interessante anche se sbagliata. Un bambino vedente, con grande proba- · bilità, avrebbe risposto correttamente perché la sua esperienza visiva gli ha permesso una ricchezza maggiore di informazioni. Il bimbo che non vede, invece, a sei-sette anni, difficilmente ha avuto esperienza tattile di questo animale, per cui ha dovuto operare una contaminazione semantica con modelli già sperimentati realizzando così un'identificazione dell'oggetto per somiglianza. Questo esplorare il mondo per prove ed errori mi pare molto importante. L'errore infatti ci permette di entrare nel laboratorio cognitivo del bambino. Il bambino non vedente, nel corso dei suoi primi anni di vita, incontra molte parole pronunciate da genitori, parenti, amici, ma queste parole non sono accompagnate da una percezione visiva e nello stesso tempo rivestono per lui grande rilievo perché adottate da persone affettivamente importanti; da qui la tensione cognitiva del bambino, costretto a misurarsi con un linguaggio di cui spesso non conosce il referente. Piaget ha notato : "è difficile pensare per un bambino a una parola che non si riferisca ad un oggetto". Anche per un bimbo cieco vale lo stesso discorso, ma la relazione parola-cosa è una scoperta difficile. In una recente opera sul mondo dei ciechi, Fabio Levi osserva a proposito del loro linguaggio: "Nell'insieme sembra manifestarsi la compresenza di un prevalente uso di termini che sembrano quasi limitarsi a sfiorare le cose, i fatti e le persone e di parole che invece, a tratti, denotano una improvvisa e maggior concretezza". Questa oscillazione cognitiva è da imputare al lavoro più o meno riuscito di adeguare la conoscenza delle parole all'ambiente a cui si riferiscono. Molti educatori parlano a questo proposito di "verbalismo" dei bambini ciechi, cioè di un uso non consapevole della lingua; perciò essi promuovono una sorta di didattica fondata sul principio aristotelico del realismo linguistico per cui il linguaggio è lo specchio fedele della realtà. Questa epistemologia pedagogica si traduce concretamente nel far manipolare al bimbo cieco con cura le fom1e di molti oggetti attribuendo il termine designante. Il risultato cognitivo e pedagogico è la passività e la noia perché il sapere, così concepito, non è una scoperta, ma un indice di nomi associati a cose. Questa prassi educativa mortifica le capacità immaginative e la gioia del fare ipotesi. Le rappresentazioni del mondo dei bambini che non vedono sono una realtà da scoprire; è auspicabile, anziché offrire loro un mondo già confezionato, dargli delle possibilità di provarsi. L'ambiente, per il bambino, non è un luogo di contenuti già cristallizzati ma un- luogo di modalità da sperimentare: un granchio può essere, così, un ramo, e una tromba un archibugio. 13 < e a ,. .. r;: .. e: z ,.
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