1 2 VISTA DALLALUNA prima, dopo, ecc.), che gli permettono di simulare ciò che non può toccare. Ma che valore cognitivo può avere per un cieco "la luminosità velata della luna?". Il cieco non può interpretare questo asserto che con una sinestesia, ad esempio come un suono attenuato da una barriera posta tra la fonte sonora e l'ascoltatore. O potrà realizzare qualche altro coagulo semantico sulla base del suo campo percettivo residuo (tatto, olfatto, gusto, udito). In sostanza egli, per sfuggire al solipsismo cognitivo, o a una riduzione dell'esperienza comunicativa, elabora ponti semantici con i vedenti. Il cieco deve tradurre, o meglio, mutuando un termine del linguaggio dell'informatica, "interfacciare" i contenuti di due sistemi operativi (cognitivi) non compatibili. Chi non vede, se abitasse in un mondo di soli ciechi, come quello descritto da Wells nel racconto Il paese dei ciechi, non avrebbe bisogno di alcun lavoro di rilettura della lingua. Purtroppo, o per fortuna, le cose non stanno così: i ciechi vivono una realtà socioambientale che non è fatta secondo le loro abilità sensoriali ma in cui però è necessario trovino gli strumenti più idonei per orientarsi. Se il vedente, per orizzontarsi camminando per la città, costruisce la sua mappa a partire dalla ricchezza di stimoli che la retina gli offre, il cieco ha a disposizione invece una nebulosa percettiva che egli orienta gerarchicamente secondo necessità cognitive connesse alla situazione concreta. Ad esempio se egli si trova ad un angolo della strada e vuol svoltare, può scegliere fra le sensazioni più opportune, selezionate in base alla conoscenza del luogo o, se è la prima volta che percorre quel tragitto, in base a modelli topologici e percettivi già speriHANDICAP mentati. L'odore di pane che esce dal negozio del fornaio può risultare un'informazione più rilevante rispetto al rumore delle automobili o alla struttura tattile del selciato. Dunque possiamo dire che, a differenza di Cristoforo Colombo che si orientava nel territorio sulla base di mappe prevalentemente visive, i ciechi ne adottano molte (tattili, acustiche, tattilo-acustiche, ecc.), ma tutte più imprecise, più esili, tanto da rendere il territorio di una materia più fragile, più soggetta a rapidi mutamenti. Perciò è molto importante che gli educatori dei bambini ciechi conoscano a fondo i processi cognitivi dei non vedenti, per attivare tutte le competenze necessarie a gestire tante e diverse informazioni. Da qui nasce l'opportunità di studiare i meccanismi di esplorazione dello spazio di chi è privo di vista. La spazialità del vedente è un composto di forme colorate e organizzate in un quadro prospettico: l'occhio, con un solo sguardo, intuisce la globalità dell'oggetto. Al cieco lo spazio dà informazioni più frammentarie; una mano che sfiora le forme di un plastico colleziona una serie di punti in successione. La globalità dell'oggetto può essere recuperata rafforzando l'abilità induttiva-immaginativa; si tratta cioè di acquisire sempre nuove competenze nel comporre e ricomporre il sistema dei punti nello spazio, come un puzzle in cui però le tessere non si dispongono secondo uno schema fisso ma piuttosto secondo un modello costruttivo ipotetico: le soluzioni sono aperte a più possibilità, alla maniera del gioco del Lego. "Con la pelle si può vedere" afferma Diderot nella Lettre sur les aveugles, ma la "vista" del cieco ha una logica diversa. L'occhio scruta l'oggetto, la mano toccandolo lo ricostruisce. Come gli antichi geografi,
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==