Linea d'ombra - anno X - n. 71 - maggio 1992

2 VISTA DALLA LUNA Pico Merzagora, Stefano Losurdo Pico Merzagora (Como, 1941), segretario e socio fondatore della Ledha, lavora a Milano e si occupa soprattutto delle iniziative culturali dell'associazione. Stefano Losurdo (Altamura, 1954) lavora alla Provincia di Milano per la quale promuove e organizza iniziative culturali e sociali. Collabora da due anni con la Ledha occupandosi in particolare del settore audiovisivi. La Ledha (Lega per i Diritti degli Handicappati) ha sede in via San Barnaba 29, 20122 Milano, telefono 02/55195505, fax 02/59902536. Le foto che illustrano questo numero fanno parte di un servizio su Milano di Philippe Antonello (Ginevra 1968), già studente di storia dell'arte e da due anni allievo dell'Istituto europeo di comunicazione a Milano. Sull'handicap Un'associazione di associazioni a cura di Goffredo Fofi La Ledha è nata nel 1979. Su quali motivazioni? M. - Si trattava di superare un vecchio modo di concepire le associazioni: quello delle associazioni storiche, di ciechi, sordi e invalidi civili che tra l'altro hanno una legge che li protegge e li ha portati a un forte corporativismo, ma anche quelle nate nel dopoguerra e su handicap particolari, tra famiglie che non trovavano risposte di nessun tipo a livello pubblico e che sono sopravvissute chiuse in se stesse, non aprendosi all'esterno. Questo è stato il loro principale errore, e l'associazionismo soffre di questi difetti. Il nostro tentativo era dire: facciamo pure una lega di associazioni di tutti gli interessati, però facciamo anche un passo avanti e una volta che siamo tutti insieme, senza distinzioni di handicap, apriamoci all'esterno, coinvolgiamo le persone che davvero possono dare una mano con le leggi, con le capacità professionali e - questo è ancora più importante - da un punto di vista culturale, nel senso che l'handicappato dovrebbe avere come punto di arrivo il contatto col sociale e non venir sempre considerato solo come una persona da aiutare. In alcune associazioni va avanti ancora questo discorso, e l'handicappato è come il povero che chiedeva l'elemosina, il cieco, lo storpio di una volta ... Succede ancora così, in parte: e si fanno ancora le raccolte di fondi, i ciechi continuano a raccogliere gli stracci. Oggi le cose sono un po' cambiate e la Ledha forse è anche servita a cambiare un po' questa mentalità, ad aprirsi soprattutto verso l'esterno. L'esterno vuol dire, per esempio, che sulle barriere architettoniche non serve continuare a piangere che ci sono degli ostacoli se non si va invece a toccare la professionalità degli architetti, dei geometri dell'università che devono progettare senza barriere non perché uno glielo va a chiedere ma perché quella che è da cambiare è proprio una mentalità. Ma questo vale anche per la magistratura, vale per gli insegnanti ... Non è molto utile che ci siano insegnanti di sostegno specialisti nell'handicap, mentre tutti gli insegnanti dovrebbero farsi carico del fatto che ci sono dei diversi che possono frequentare la scuola, che le persone che non hanno l'handicap possono integrare gli handicappati ali' interno della società. Per riuscire in questo bisognava che noi superassimo la logica meramente associativa. E così abbiamo cercato di fare, con un tentativo di coordinamento senza distinzione tra i vari tipi di handicap, e scegliendo questo colloquio con l'esterno. Direi che è questo il motivo principale per cui è nata la Ledha. Come è cambiata secondo voi, non solo grazie a voi ma anche grazie a voi, l'immagine dell'handicappato nel corso di questi ultimi anni? Anche la storia dell'handicap riguarda un tipo di coscienza post- '68 e di diritti civili. Tredici anni dopo la costituzione della Led ha, fortemente voluta da due persone in particolare, tu Merzagora e Cernuschi, usciti dalle vecchie associazioni su una nuova ipotesi di lavoro, come ha inciso la Ledha (che di associazio11i ne raccoglie trenta) rispetto alle associazioni tradizionali? M. - Il tentativo c'è stato, qualcosa si è raggiunto e si è quantomeno corretto l'eccesso di corporativismo e di divisione per categorie delle associazioni, perché sumolte cose ci si è accorti che lavorando insieme si ottenevano maggiori risultati. Era assurdo che quindici associazioni diverse che si rifacevano all'handicap fisico facessero quindici incontri separati con lo stesso assessore per risolvere lo stesso problema, per esempio quello delle barriere architettoniche. Resiste però ancora un atteggiamento di chiusura all'interno del proprio settore, del proprio handicap e della propria "famiglia", della propria consorteria. E questo non si riesce facilmente a smantellare. Direi anche, con molta amarezza, che se qualcosa è cambiato nel mondo dell'handicap e c'è molta più attenzione di un tempo (fin fastidiosa negli ultimi tempi per il diffuso pietismo spettacolare della Tv) questo è dovuto non tanto a una maturazione culturale quanto al fatto che un pìaese più ricco può permettersi di fare il generoso, può permettersi di occuparsi degli svantaggiati. Come è successo in tutte le parti del mondo: prima di noi, la Svezia, la Germania, parti degli Stati Uniti si sono occupate di handicappati perché avevano più soldi da investire, e se oggi a New York ci sono metà degli autobus accessibili agli handicappati non è perché i newyorkesi o gli americani hanno raggiunto una nuova sensibilità, sono diventati più bravi, è soltanto che hanno più soldi da investire negli autobus ... E quello che sta succedendo anche da noi.

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