terzo. L'amore non è una corsa di cavalli, l'amore è un mistero, fatto di scelte personali, interne ... Se l'università è una prenotazione dell'amore, dell'orgasmoil terribile orgasmo prenotato della California di domani, tutti irregimentati, tutti incasellati - allora è un disastro. Quello non è leggere, quello è evitare ogni possibilità di rischio, volere 1 'assenso della collettività, l'approvazione ufficiale: è la morte della relazione intima, sempre imprevedibile, del testo che parla a noi. Hemingway, in Fiesta, ha scritto una frase eccezionale: "La mendicante senza una gamba di Alameida ha un amante giovane e bellissimo". Ma sì,ha un amante giovane e bellissimo! EMontaigne, davanti al mistero centrale della sua vita, dell'amore per il suo amico, un personaggio senza importanza, dice "Farce que c' est lui, parce que c'est moi", perché è lui, perché sono io: questa è una splendida definizione di una buona lettura. Senza dover nulla spiegare. E se, onestamente, uno studente mi dice che non gliene importa nulla di Petrarca e che ha una passione totale per Woody Allen, e che di quello si vuole occupare, io ho il massimo-rispetto per questa sua scelta, se vedo che è la sua scoperta, una sua necessità. Lei è d'accordo con l'opinione secondo cui la letteratura è la comunicazione dell'esperienza? È la comunicazione della speranza, piuttosto. L'esperienza, forse, la posso comunicare meglio con il documento che con la letteratura. Oggi la televisione ha una potenza di documentazione enorme. La letteratura dice che la vita può essere altro; e può darci la sensazione della speranza, la speranza di una vita più giusta, meno crudele, meno assurda. Un grande libro, un grande romanzo, una grande poesia, un grande dramma, è un mondo oltre il nostro, un'alternativa alla determinazione biologica del fatto bruto della morte. Allora, per usare una definizione illustre, è la prefigurazione dell'utopia? Piuttosto il principio di speranza di Emst Bloch; e il messianesimo tragico di Walter Benjarnin. Io mi sento soprattutto vicino a Benjamin. Per Adorno la sociologia è molto importante; io invece sono del tutto estraneo alla sociologia. Per me un singolo capitolo di Puskin o di Gadda vale di più di tutta quanta la sociologia. Nel suo ultimo libro, Vere presenze, una presenza di fondamentale importanza è quella di Dio. Tuttavia, ad un certo punto, lei dice che bisogna leggere "come se" Dio esistesse. Qual è il senso di questa affermazione? Voglio essere preciso. Io ho il massimo rispetto per lo scrittore ateo. È molto raro. E l'ateo conseguente, nella grande poesia, è rarissimo. Leopardi. Io ho un rispetto immenso per il rifiuto di Dio. La provocazione di Dio, inKafka. La cosa che temo è l'indifferenza, quella del pragmatismo americano, ad esempio, l'indifferenza davanti alla questione dell'esistenza o della non esistenza di Dio. Un'arte atea, nel domani, è possibile. O meglio, forse è già cominciata, dopo Nietzsche, dopo Freud- ma un secolo è troppo poco per poterlo già dire. Mi sembra che gli artisti siano d'accordo con me. Picasso, che parla di quell'Altro nell'atelier vicino al suo, il Nemico. D.H. Lawrence che dice che per scrivere una sola grande INCONTRI/STEINER riga deve sentire in sé la fiamma di Dio. È possibile che nel mondo del positivismo e dell' androgeni a Dio possa essere assente. Ma una cultura per la quale la questione non esiste più, o esiste soltanto come caso patologico, come assurdità infantile, è una cultura in pericolo. L'atto stesso della creazione artistica non è che imitazione o rivalità rispetto alla creazione divina. Queste sono le due possibilità. L'imitazione è la celebrazione di Dio, per cui creare è dire ringrazio, è dire grazie alla prima creazione. Poi c'è la lotta, la polemica, come Michelangelo che vuole superare ciò che ha fatto il "rozzo martello di Dio". Può anche esserci una mescolanza tra le due possibilità. Prendiamo le ultime pagine di Proust, forse le sue pagine più belle, quelle che ha scritto dieci giorni prima di morire, a proposito della morte del romanziere Bergotte. "La notte della morte di Bergotte", dice Proust, "nelle vetrine delle librerie i libri si sono aperti e sono diventati le ali degli angeli della morte". È una delle più belle immagini religiose di tutti i tempi, come gli angeli terribili di Rilke. Questa immagine, con la sua intensità, non avrebbe potuto essere scritta considerando la questione dell'esistenza di Dio un concetto assurdo e arcaico, una superstizione. Lo stesso discorso vale per il finale di I morti (il racconto di Gente di Dublino di Joyce), il più bel racconto dell'età moderna. Non sarebbe stato possibile scriverlo senza la luce della trascendenza. Se questa luce diventa quella di un set di Hollywood, allora è finita. Ha avuto importanza il suo retroterra ebraico rispetto a questa sua posizione? Certamente. Dopo Auschwitz, la grande questione di Adorno, "perché la poesia?", ha una sola risposta adeguata, ed è la poesia di Celan. La voce di Celan sorge dalle ceneri di Auschwitz. Oppure Achmatova e il gulag. Sì, nel mio caso l'ebraismo èmolto importante perché l'ebraismo vuol dire l'amore del testo e la mia patria è la lettura. Ma la lettura intesa come leggere insieme con gli altri; ma non nelle università o nelle fondazioni. Piccole case per la lettura, una tavola, degli amici, per imparare di nuovo a leggere, nella quiete e nel silenzio. È molto difficile leggere nel silenzio, essere pronti alla gioia, all'avventura e alla sventura dell'incontro con delle voci, magari delle voci terribili. Perché lei come forma d'arte privilegia la musica? Probabilmente è un effetto del tempo. Quando si diventa più vecchi, dice la psicologia, la musica diventa più importante della lettura. È un fenomeno legato all'invecchiare. Ma non è la sola ragione. A tutti i grandi semiotici io, rispettosamente, chiedo come mai non hanno detto una sola parola sulla musica. Dice Leibniz: "la musica è come che cosa al mondo?". Davanti a un bianco su bianco di Lissitski j Aristotele direbbe che è la neve che cade sulla neve; ma cosa è stato detto della musica? Nella storia della cultura occidentale ci saranno sei o sette voci che sulla musica hanno detto qualcosa che valeva la pena di essere detto. Platone, Agostino, Kierkegaard, Nietzsche, Mann nel Doctor Faustus, Adorno. La vera riflessione sulla musica non è più di una piccola antologia; sulla letteratura ci sono milioni di pagine, per lo più inutili. Vorrei che il mio libro fosse una premessa, un primo passo verso una futura semantica della musica. Per me è centrale il problema del senso della musica. Schopenauer ha detto che dopo la distruzione dell'universo resterà 69
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==