Linea d'ombra - anno X - n. 71 - maggio 1992

LA COMUNICAZIONE DELLA SPERANZA Incontro con George Steiner a cura di Paolo Bertinetti George Steiner (1929) statunitense teorico della letteratura, saggista e professore di inglese e lingue comparate all'università di Ginevra, membro straordinario del Churchill College di Cambridge. ha inoltre cariche istituzionali presso le università di Chicago. Harvard, Oxford e Princeton. Fra le sue opere tradotte in italiano: La morte della tragedia (Garzanti 1976). Martin Heidegger (1980), Il processo di San Cristobal ( 1982). Dopo Babele (1984). Nel castello diBarbablù ( 1990) e Le Antigo11i (Garzanti 1990). I suoi contributi critici possono essere visti come un antidoto salutare nei confronti del decostruzionismo e delle francioserie alla mo- G St . . f t . . , eorge e1ner in una o o da nelle umverstta di Giovanni Giovannetti. americane e inglesi. Ma dopo la sua opera di "distruzione", quale resta il ruolo e la funzione di un "esperto" di letteratura? Che cosa deve dire un professore universitario ai suoi studenti? Agli studenti bisogna dire di non leggere le critiche, ma di leggere i testi. Tutto il mio libro è un grido d'orrore per ciò che accade nel mondo universitario. I miei studenti a Cambridge hanno un esame in cui discutono dell'opinione di T.S. Eliot su Dante senza dover leggere Dante, un solo verso di Dante. Per me è un'oscenità, nel vero senso della parola, una cosa grottesca. Leggere il testo "primario", questo bisogna fare. Sì, un'edizione filologica può essere utile, anzi, una buona edizione filologica è la migliore interpretazione. Come la lettura di un poeta che legge una sua lirica, come ascoltare un grande attore che recita un testo teatrale. Una delle più belle critiche su Shakespeare potrebbe essere quella di paragonare, ad esempio, l'Amleto di Olivier e quello di Gielgud per vedere due visioni totalmente diverse. Quello che ci vuole è un'interpretazione dinamica, un'interpretazione che sia azione e non passività. Leggere la critica, leggere i testi "secondari", significa essere passivi, come davanti alla televisione; significa rinunciare alla responsabilità dell'azione. Al centro della mia posizione c'è una cosa estremamente semplice e chiara. È un sonetto di Rilke, quello al torso arcaico di Apollo, in cui lui 68 dice "cambia la tua vita". Una lettura seria e profonda cambia la mia vita: è un incontro con un'apparizione imprevista, come un incontro all'angolo della strada con l'amante, con l'amico, con il nemico mortale. Tutta la critica è un allontanarsi davanti al terrore, davanti ali' assoluto dell'opera d'arte. Certo, il critico, il professore, può fare qualcosa, può aiutare un poco i suoi studenti con il suo piacere per l'opera di cui parla. Però attenzione! Ha detto Puskin: "lo scrivo la lettera, un professore la porterà". lo sono un postino. Ma è importante essere un bravo postino. E cioè, saper portare la lettera ai nostri studenti avendo sempre in mente che la lettera è stata scritta da Puskin e non da noi. Tra i miei colleghi dell'università domina la vanità senza fine, il bizantinismo dell'orgoglio, il terribile gioco di parole di Derrida, il "pre-testo". Per me è inammissibile, è sintomatico del bizantinismo della nostra categoria. Al centro del mio libro c'è l'aneddoto, vero, di Schumann che per spiegare una sua composizione semplicemente si sedette al piano e la suonò. Per spiegare una poesia io la registro nella mia memoria. Se è nella nostra memoria, una poesia vive in noi e si rivela. Si rivela, piano piano, anche la poesia più difficile. Per me il più grande poeta del Novecento è Paul Celan. È anche il più difficile. Io mi sono imparato a memoria le sue liriche più belle e le garantisco che non le si può analizzare. Però le si può vivere: quelle liriche hanno cominciato a vivere in me, come carne della mia carne, e lentamente si è rivelato il loro mistero vitale. Bisogna vivere la poesia, non anatomizzarla. Piuttosto mi sembra interessante la scuola di Ginevra, la scuola di Starobinski: prendiamo un solo testo e lo leggiamo insieme per un anno. Butor, ad esempio, prese quattro favole di La Fontaine e le presentò in un suo corso della durata di otto mesi, soffermandosi su ogni vocabolo, parola dopo parola. Rileggere, rileggere, imparare amemoria: la pazienza dell'amore per una vera lettura, questo è quello che conta. Quali strumenti devono guidare la lettura come la intende lei? Soltanto la filologia e la retorica? La retorica, la filologia, ma anche la grammatologia, l'analisi semantica. Ma questa è la cosa più difficile, l'impresa più ardua. Ce ne saranno dieci al mondo che sanno fare una vera analisi semantica. Contini, Timpanaro, Auerbach e pochi altri hanno saputo fare un'analisi semantica in profondità, andando dal lessicale al semantico. È una strada lunga e difficile. Su questo, comunque, rimando al mio saggio che apparirà presto proprio su "Linea d'ombra". Tuttavia ci devono essere dei criteri critici in base ai quali decidere. la Fontaine piuttosto di un altro autore, quelle quattro favole invece di quattro altre... Non è molto importante scegliere i "maggiori". Si può anche studiare un poeta minore. È importante individuare l'esperienza, l'incontro. E l'incontro può avvenire anche con un autore minore. Ad esempio, il mio incontro con la musica di Edith Piaf. So benissimo che non è Bach. E allora? Si è perduta la gioia del rischio. Sono tutti imbarazzati, ci si chiede ansiosamente che cosa dice la critica ... È come alle corse dei cavalli, c'è il primo, il secondo, il

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