Rannicchiato su qualche cosa - un giaciglio? - che restava del tutto sommersa dalle piante mostruose, un uomo, accovacciato e mezzo affondato tra le ortiche giganti, era immobile, come dormisse, con la schiena appoggiata al muro e la testa sulle ginocchia. Indossava un vestito molto scuro e un grande cappello nero ne nascondeva completamente la testa. Escludo che quell'uomo dormisse, non fosse altro per lo strepito che proveniva dalla portaccia. E che, poi, dove s'è visto uno scheletro dormire? Mi ricordo delle mani di quell'uomo, le ossa lunghe affilate luccicare tra il fumo delle ombre. La fuga. La provvida, urgente, venuta d'un balzo, quella che alza ben alte le gambe e tiene la durata. Tuttavia mi ricordo confusamente di questo: che nel memento che lasciai andare il palo, la portaccia strepitò soltanto un attimo. È da pensare dunque che aperta rimase. Non ho coscienza di quanto corsi dapprima. È certo che se a un punto venne meno il vigore, esso robusto sopravvenne di subito, dacché alle mie spalle e inverosimilmente portaccia di legno gracchiò. L'AQUILONE Sergio De Santis Sergio De Santis (Napoli 1953), laureato in filosofia, insegna nelle scuole medie. Ha pubblicato su "Nord Sud" un saggio su Borges (1982) su "Prospettive '70" saggi su Debenedetti, Morselli, Eco, Calasso, Nievo e Verga. Ha collaborato con Rai Radio Uno e per la terza pagina del quotidiano napoletano il "Roma", attualmente collabora alla pagina culturale napoletana di "La Repubblica". Statue, simulacri di uomini, continuano a nascere dal buio, volano nella stanza per poi sbriciolarsi contro le pareti; accendi la luce e quelle svaniscono. Occorre spegnere il lume, ammettere che alcuni giorni sono ingombri di avvenimenti pesanti e reali come marmo. Si depositano nella coscienza e, arrivata la sera, nella mente svolazza un turbinio di luoghi, volti, parole che ritardano il sonno, relegandoti in una palude di fastidi, dalla quale non riescono a scaturire sogni. Sono i sogni che elaborano ciò che è accaduto, dissolvono i fatti in favole o in incubi, purché tutto divenga colore e forma accettabili per ciò che si è vissuto nella giornata, alla ricerca di qualcosa che scuota lo stagno dell' irrequieta veglia. La bionda e già abbronzata funzionaria della prefettura era stata chiara, la locazione era finita già da un pezzo -queste cause si sono trascinate per anni, la gente lo sapeva, e ora la gente deve andarsene - e la gente, stavolta, sei anche tu. La funzionaria ha parlato di dispositivi e di leggi. Aveva lo sguardo stanco. Innumerevoli sfratti, con migliaia di voci, da mesi, le chiedono qualcosa: gli inquilini non sanno dove andare, i proprietari reclamano gli appartamenti. E le leggi, quelle giuste, quelle ingiuste, quelle disattese e quelle che ancora attendono, sembrano insufficienti, aggirate, eluse. Lei rappresenta lo Stato e fa quel che deve fare. Comunque, aveva aggiunto che prevedibilmente la commissione avrebbe concesso un'ultima proroga, qualche mese, prima di autorizzare l'intervento della forza pubblica. Stavi per dire qualSTORIE/DE SANTIS cosa, ma son venuti a chiamarla per una riunione, e la signora è scomparsa in un corridoio, camminando svelta. Poi ti sei ritrovato, adesso non ti ricordi nemmeno come, al capolinea di uno di quegli autobus che portano fuori, in periferia, dove la casa la paghi un'esagerazione, ma un'esagerazione possibile. Pochi vanno dal tuo quartiere in periferia, e per giunta con l'autobus. Il tuo quartiere. Ci hai sempre vissuto e finora nemmeno sospettavi esistessero dei pullman che, proprio da lì, mirano a quei centri dell'hinterland, paesi di una immediata provincia che, ormai, è sempre e ancora città, periferia. I nomi dei paesi li avevi letti qualche volta sui giornali, o sentiti dai notiziari televisivi che riferivano di sparatorie, morti, guerre fra clan. Tutte cose lontane, che avvenivano laggiù; che avvengono là dove il tuo autobus doveva portarti. Anche in città esplodono i fuochi di camorra; generalmente li apprendi dai giornali e presto dimentichi. In periferia, nei paesi, invece, chi ci abita viene a sapere le cose dalle persone, e le sa subito. Se ne discuterà nei giorni seguenti, come di normali accadimenti da commentare a bassa voce. L'autobus non c'era e hai atteso più di un'ora, continuando a spulciare pagine di giornaletti dagli annunci grotteschi, provocatori. Le cifre stampate avevano del mirabolante. La faccia della funzionaria è riaffiorata fra numeri e vaghe informazioni. Forse i sogni si stavano organizzando. Le immagini ritornavano così, tanto per provarne l'effetto. Quando è sopraggiunto un autobus, dal colore hai capito che era quello giusto, verniciato di un rosso stinto, ma ancora vivace. Quelli di città sono sempre arancione. Sono salite davvero poche persone, quasi tutte donne. . La stagione non è gran che.L'estate tarda, e questa primavera è compromessa d'autunno. Un vento spinto dai fianchi dei palazzi tormentava la palma, stanca di attendere il caldo e di immaginare, oltre i palazzi, il golfo affaccendato a tenere uniti sterminata metropoli, isole e vulcano muto. L'autobus non partiva mai. Doveva rispettare il suo turno: aveva già saltato una corsa, era in ritardo, e quindi, per obbedire alla puntualità delle tabelle di marcia, doveva ancora tardare. A un tratto è comparso un giovane, vestito con cura, aggettivato da un gonfio borsone blu. Si è piantato ali 'inizio del corridoio, e ha preso a recitare una poesia con versi che finivano in ato: disoccupato ... sfortunato ... garbato ... Quindi la rima è cambiata in esto: onesto ... modesto ... presto ... e mamme. La filastrocca finiva proprio con mamme. Ha aperto il borsone iniziando a vendere i suoi rotoli di carta argentata, le confezioni di aghi, le calze di nylon. Finito il lavoro, ha salutato cedendo la scena all'autista, che aveva assistito a tutto indugiando sul predellino. Sfrattato ... cacciato ... confinato ... intanto l'autobus lasciava il quartiere. Non è che sia un bel posto: un intrico di edifici più o meno pretenziosi, piantati sulla collina da una delle più feroci speculazioni edilizie del dopoguerra. Ora una casa, qui, costa quanto un lavoratore medio può guadagnare in due o tre vite. La tua, finora, l'hai spesa proprio fra quelle strade che scivolavano dal finestrino. Una tregua della memoria t'impediva di ricordare brani della tua esistenza legati a questa o a quella via, o a persone che abitavano proprio dietro quelle finestre. O ti lasciavi prendere da un'ansia totalizzante, oppure bisognava ordire pensieri diversi, o, come sempre, era meglio accorgersi degli altri. E allora ti sei occupato dei tuoi compagni di viaggio. Cinque o sei donne sui quarat'anni, e un uomo segaligno, seduto di traverso. Le donne 65
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