IL CONTESTO La sinistra necessaria Marino Sinibaldi La sinistra, se c'è, perde ovunque. È questo il responso di una primavera elettorale amara, e non tanto in Italia, forse, ma su scala almeno continentale. Specialmente dove, come in Gran Bretagna, lo scontro è secco e la sconfitta dunque più chiara. Ma che la sinistra perda, non appaia in grado di attirare entusiasmi, sia circondata da sfiducia e pochi, stanchi consensi, è chiaro ovunque. Dietro queste sconfitte ci sono due elementi che vale la pena di prendere in considerazione. Il primo è che il tracollo dei socialisnù reali ricade su tutta la.sinistra europea, anche la più incolpevole. Ma esiste poi davvero una sinistra incolpevole? O la simpatia o la sudditanza verso valori, metodi e sisterni che hanno animato i vari esperimenti socialisti è stata forse più diffusa di quanto non mostrasse l'astratta topografia che ha diviso comunisti, socialisti, socialdemocratici? La difficoltà di tutta la sinistra nel ridarsi una dimensione programmatica e ideale una volta abbandonata ogni radice marxista-statalista è forse il segno di quella sotterranea e inconfessata sudditanza. E quindi la reazione di un elettorato che, registrando "simbolicamente" quel legame, penalizza la sinistra è meno irrazionale e meno "ingiusta" di quel che non sembri. Anche per questo la crisi è di tutta la sinistra: alla radicec' è un unico, grande fallimento. E l'illusione che il disastro sovietico rilanciasse la socialdemocrazia o le altre sinistre ha mostrato di ignorare che la storia in certi momenti procede all'ingrosso, affermando verità sommarie ma solide. Ammettere questo destino non vuol dire naturalmente accettarlo. Ma certamente in Occidente non tutti hanno percepito la drammatica radicalità e le enormi conseguenze del fallimento sovietico, e questa sordità ha ulteriormente indebolito le sinistre. Per cecità o per bisogno di consolazione, 1'89 è parso, nelle interpretazioni prevalenti, chiudere non solo la lunga storia del comunismo, ma anche gli anni Ottanta della rivincita conservatrice. Il secondo elemento che sta dietro le molteplici sconfitte elettorali delle sinistre è invece questo protrarsi dell'onda conservatrice ben oltre il decennio che l'ha vista affermarsi. Ormai il riflusso è storico, mette in discussione conquiste ideali che in Occidente si erano affermate da due secoli (ben prima di Marx e dei suoi errori, dunque). La spinta propulsiva della rivincita conservatrice è perciò tutt'altro che esaurita. Magari si dissemina in rivoli differenti, ma alimenta il successo di liste e gruppi animati anche, in parte, dalla volontà di 1ivalsa contro i valori della sinistra e quel poco che se n'è realizzato (le forme di solidarietà comprese nel modello di stato sociale, per esempio). In parte, perché la destra non sarebbe nuova destra se non si mostrasse in grado di intervenire e creare consenso nelle contraddizioni che questa fine secolo apre. ln particolare, quella tra una dimensione ormai mondializzata della cultura, i linguaggi, gli stili di vita e le tensioni localiste. La forza della destra mi pare stia oggi soprattutto nella capacità di gestire questa contraddizione, mentre la sinistra sembra paralizzata dalla sua vocazione universalista e dalla sua ondivaga tradizione. E qui il discorso può tornare all'Italia. Perché sicuramente le elezioni di aprile sono state importanti, hanno segnalato un disagio, una crisi del tessuto connettivo civile del paese, hanno prodotto uno scossone dal quale il sistema politico tarda a riprendersi. Ma non hanno affatto rappresentato quella novità 4 profonda che molti vorrebbero. A me sembra piuttosto che, una volta consumate le ideologie e le controideologie, sia riemerso in forme pure un elemento costitutivo del nostro carattere nazionale e della nostra tradizione sociopolitica: il populismo. A ben vedere, quelli che possono più o meno legittimamente ritenersi "vincitori" elettorali sono espressione di un populismo reazionario, perbenista, egoista (la Lega), di uno moderato e moralista (la Rete), di uno demagogico ed estrernista (Rifondazione). Altri gruppi hanno più moderatamente beneficiato dei suffragi procurati dal populismo sovversivo e autoritario di Cossiga; e se persino un partito antipopolare come il Pri riesce a spuntare un modesto incremento sfoderando argomentazioni e tattiche populiste, credo proprio che almeno per approssimazione questo ternùne - populismo - possa valere per definire gli ·umori nazionali e il clima politico-elettorale in cui si sono espressi. Come è noto, populismo e trasformismo sono state due tra le costanti che hanno reso l'Italia il (brutto) paese che è. Qualunque impresa democratica non può che contenere la più radicale avversione per quei valori e i comportamenti individuale e politici nei quali si incarnano. Populismo e trasformismo sono invece ben piantati nella tradizione della nostra sinistra, praticamente in tutte le sue sfumature. È questa continuità ad alimentare ormai il sospetto che forse non c'è bisogno, almeno in Italia e oggi, di una sinistra. E credo che sia a questa domanda radicale che deve oggi rispondere ogni iniziativa, ogni tentativo che rniri a interpretare e rinnovare i valori che sono stati della sinistra, a difendere le idee Foto di Eligio Proni (Agenzio Controsto).
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