Linea d'ombra - anno X - n. 71 - maggio 1992

COSA SIGNIFICA 11 NERO'', OGGI a cura di Matteo Bellinelli I segni dell'inverno Il quadro sociale è cupo: una dozzina d'anni di reaganismo, incluse la variante Bush e le due crisi economiche che stanno ai due capi per periodo, hanno ricacciato la minoranza afroamericana indietro di trent'anni. La popolazione bianca e gli affari hanno continuato ad abbandonare le vecchie città, sottraendo gettito fiscale alle amministrazioni locali e lavoro ai residenti. La politica federale dei tagli ai programmi di assistenza e ai finanziamenti per opere pubbliche, scuole e servizi ha accelerato il degrado fisico e morale dell'ambiente urbano, abbassato il reddito dei residenti, aperto ulteriormente il campo all'illecito diffuso. Le minoranze povere cui sono state sempre più abbandonate le città vivono peggio che mai. Quei fanti neri che si sono arruolati per la guerra del Golfo avevano meno probabilità di morire nella guerra che continuando ad abitare nei ghetti. Tuttavia, i sindaci di molte grandi città sono neri, come lo è il Capo di stato maggiore Powell, o il presidente del Comitato nazionale democratico Brown. Per la prima volta un governatore di uno stato, la Virginia, è nero e, dopo più di cent'anni, nel Senato degli Stati Uniti è tornato a sedere un afroamericano. lesse Jackson rimane una figura di spicco nel panorama politico, grazie alle passate partecipazioni alla corsa elettorale. Questi sono successi. E l'elenco potrebbe continuare a lungo con i nomi di appartenenti ai campi più abituali dello sport e dello spettacolo, dell'arte, della cultura. Ma non si tratta quasi più, con pochissime eccezioni, di "successi della razza", come sarebbero stati considerati ancora una ventina d'anni fa. Non lo sono neppure in quei casi in cui li hanno decretati gli elettori con il loro voto. Quel che è cambiato è che in questa dozzina d'anni è stata repressa, soffocata, isolata ogni forma di iniziativa sociale di consistenza tale da richiamare alla mente o "minacciare" il rinverdimento di quelle mobilitazioni popolari durate dalla metà degli anni Cinquanta alla metà dei Settanta. Ogni successo fa storia a sé, oggi. Èuna conquista personale in una società estremamente individualistica ed egoista. Sembrerebbe essere almeno in parte diverso, per esempio, il caso di Jesse Jackson. Nel suo successo è stato evidente l'entusiasmo del popolo nero, che ha sottolineato ripetutametnte gli elementi di continuità con quella fase storica di mobilitazione e conquiste. E però, in definitiva, le sue candidature elettorali sono state "occasioni" tutte interne al quadro istituzionale dato: la loro storia è stata dettata dalle impersonali scadenze elettorali. Non è stato l'entusiasmo di un movimento in crescita, che crea i propri leader, si dà i suoi tempi, sceglie le proprie manifestazioni e produce magari anche i propri candidati per i diversi processi elettorali. La mobilitazione popolare nera per Jackson è stata, di necessità, soltanto un fatto emotivo, d'opinione ed elettorale, momentaneo anche se ripetuto. I successi di un numero limitato di afroamericani - ma bisognerebbe tener conto anche delle altre minoranze-sono stati comunque in gran parte subiti dalle esistenti strutture di potere, perché il pregiudizio razziale rimane fortissimo. Ma sono stati, in parte, anche visti di buon occhio o favoriti. Tralasciamo qui il caso dei sindaci neri, che sono il prodotto del declino stesso delle città e l'espressione diretta delle maggioranze afroamericane che vi abitano. Negli altri casi, spesso, l'elevazione simbolica di un nero permette di tenere le schiere nei bassifondi. Amiri Baraka, allora ancora LeRoi Jones, aveva centrato l'essenza della questione nel suo saggio del 1962sul tokenisrn ("Simbolismo: tre secoli percinquecentesimi" in Sempre più nero). QuandoallaLockheed diMarietta un nero salì dall'usuale livello di facchino o fattorino a quello inaudito di impiegato, scriveva Jones, "l'avvenimento fu salutato dal governo federale ...come 'un gran passo sulla strada delle relazioni razziali' (per citare il New York Times). Il negro con la promozione divenne 'un simbolo della volontà americana di liberarsi dal marchio della discriminazione razziale'(op. cit.)." Rispetto ad allora, la successiva solidificazione di un sottilissimo strato di "borghesia nera" ha imposto l'elevazione dei simboli e anche la loro trasformazione. Ma il processo in quanto tale è cambiato poco. Soprattutto, non c'è stata crescita economico-sociale generale e il muro dell'American apartheid non è crollato. lesse Jackson si manteneva nei dintorni di LeRoi Jones quando diceva, nell' 83: "I neri sono il l 2 percento della popolazione statunitense e rispetto a 18 anni fa - quando fu votata la legge sul diritto di voto - abbiamo raggiunto un numero di eletti pari all'un per cento. Al ritmo dell'un per cento ogni diciotto anni ci vorranno 198 anni per raggiungere l'equità." È giunto il momento di accelerare, concludeva Jackson: di andare oltre il simbolismo. Allora sperava ancora di riuscire a coagulare un duraturo movimento popolare interrazziale. Ma il limite delle sue aspirazioni era predefinito dalla sua stessa elevazione a simbolo della sua razza. Ci vorrà ancora molto tempo prima che un uomo afroamericano possa avvicinarsi ai vertici istituzionali. Quei "tenaci realisti", per dirla ancora con LeRoi Jones, che hanno mantenuto in corso la logica del "simbolismo" dalla fine della schiavitù a oggi, hanno sempre saputo dove e quando chiudere gli accessi ai piani superiori. Ed è stato un altro letterato, lshmael Reed, a toccare una decina d'anni fa sul supplemento letterario del "New York Times" proprio la questione dei limiti imposti alle aspirazioni dei maschi neri. Il suo discorso era limitato, ma a suo modo esemplare. Prendeva lo spunto dal successo delle giovani scrittrici nere, cui corrispondevano le grandi difficoltà degli scrittori neri a trovare editori. Queste difficoltà venivano anche rapportate alla voga minimalista - maschile e bianca - allora così pompata sul mercato. Reed non discuteva il valore delle scrittrici, ma toccava un punto delicato quando affermava: "Credo che il punto di vista del maschio nero sia stato sempre considerato in qualche modo sovversivo e, con l'aria di conservazione che caratterizza la scena politica attuale, nessuno vuole averci a che fare. Poi, molti editori considerano quella del maschio bianco come la prospettiva letteraria tradizionale." Quindi, meglio le foto minimaliste dell'insulso mondo middle-class che un cono prospettico sul reale che abbia al suo vertice l'occhio del maschio nero. È la scrittura del maschio nero che entra in competizione diretta con quella del maschio bianco, aggiungeva Quincy Troupe, e per questo quella bianca va difesa rendendone esclusivo o quasi l'accesso al mercato. Così, se nero deve essere, meglio che siano le donne nere a pubblicare. Se poi sono brave come hanno dimostrato di essere, meglio. Nel suo schematismo - certamente ostico agli osservatori non usi alle logiche delle quote e dei simbolismi - il quadro è in realtà credibile. E potrebbero andare a sua parziale conferma le difficoltà che anche gli scrittori appartenenti ad altre minoranze interne agli Stati Uniti, da quella chicana a quella portoricana, cino-americana o "indiana," incontrano nell'accedere al pubblico. E come per i neri esse sono il riflesso degli enormi problemi derivanti dal fallimento della società multietnica statunitense. Nella vicenda storica di tale fallimento l'ultima dozzina d'anni è stata cruciale. Come in tanti altri casi i primi a vedere i segni dell'inverno sono stati i militanti e i letterati. (Bruno Canosio) 43

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