Linea d'ombra - anno X - n. 71 - maggio 1992

INCONTRI/BALDWIN problema di espre~sione, ma di comunicazione con gli uomini: essere artisti significa stabilire un rapporto nuovo col mondo. E per questo oggi tutta la mia vita, non solo la mia carriera, dipende dal mio lavoro di scrittore. In che misura ilfatto di essere negro nell'America del nostro tempo, di condividere la storia e la tradizione dei negri americani, ha determinato la sua formazione di scrittore? Per essere onesto, oggi so molte cose che allora non sapevo, così che mi è difficile rispondere retrospettivamente. Forse la verità è che, inconsciamente, durante gli anni dell'adolescenza, ho tentato di sfuggire alla mia condizione di negro in un paese come questo. Mi spaventava, la odiavo con tutte le mie forze. Ma più tardi ho scoperto che tale condizione era tutto ciò che possedevo e che era necessario trasformarne gli svantaggi in vantaggi, e ancor dopo ho fatto un'altra scoperta, a cui credo anche oggi: essere negro in questo paese rappresenta un vantaggio enorme per uno scrittore, non professionalmente, è logico, ma personalmente. C'è un vecchio proverbio che mi ha colpito al Foto di Bruce Davidson !Alabama 1965) tempo in cui vivevo in Francia: "Se volete sapere che cosa capita in una casa chiedetelo alla serva". In questa casa, in questa repubblica la condizione della serva era toccata a me: noi, negri, avevamo lavato panni, e servito da bere e osservato i bianchi nell'intimità delle loro giornate per trecento anni. Se non come persona, come scrittore ero profondamente determinato da quello che mio padre e mia madre e le loro madri e i loro padri avevano fatto nel!' oscuro passato, e che altro avevan fatto se non prendersi cura dei bianchi, e dei loro figli? Così sono giunto a scoprire che il mio passato di negro non era un limite, ma una ricchezza straordinaria. I critici americani sostengono in genere che gli scrittori negri non possono far altro che scrivere di ciò che conoscono, cioè dei negri. Quest'affermazione è sbagliata: perché i negri conoscono anche i bianchi. Sono, anzi, le uniche persone al mondo che conoscano e capiscano gli americani. Così come in Via col vento Mamrnie è l'unica persona al mondo che capisca e ami Rossella O'Hara. Qual è la sua posizione rispetto alla tradizione della narrati va americana? e rispetto agli scrittori negri, Richard Wright, per . ? esempro. Mi riesce difficile rispondere perché non mi sento legato a nessuna scuola in particolare. Posso dire che i romanzieri che mi hanno influenzato di piu sono Dickens, Proust, Dostoevskij, e, tra gli americani, Henry James. Mi pare che James sia l'unico che abbia capito il carattere americano, la sua capacità d'impegno e i1suo distacco. Molti scrittori americani sono sentimentali, James non lo è mai. Quanto a Richard Wright, lo conobbi nel '44 e mi apparve allora come il più grande scrittore americano, il primo che avesse rotto l'incubo, che l'avesse espresso in parole. Ora mi sento legato a lui semplicemente da un debito intellettuale e letterario - perché egli ha detto qualcosa di nuovo, di mai detto prima - lo stesso debito, in fondo, che mi lega a Bessie Smith, alla sua formidabile capacità di servirsi di piccole cose, di ritagli di vecchia musica per farne cose grandi. Mi sembra di dover spiegare, a questo punto, che tutto ciò che ho scoperto l'ho scoperto attraverso il sangue: io mi fido sempre piu dei miei sentimenti che delle mie opinioni. Tradizione, storia, cultura sono parole astratte se ci si dimentica che non significano altro che cose, cose fatte da centinaia di persone, persone responsabili verso qualcosa e specialmente persone che seppero raccontare gli avvenimenti a cui assistettero. Questa è, per me, tradizione, questa è storia. Quando scrissi Gridaloforte vivevo in uno chalet, in Svizzera, ed ero ammalato; ma ricordo che avevo con me dischi di Bessie Smith e di Louis Armstrong; e l'ascoltare questa musica mi aiutò nello sforzo di far rivivere la mia adolescenza perduta. Ma, tornando a Richard Wright, egli fu il primo a dimostrarmi che potevo diventare uno scrittore proprio perché lui stesso lo era diventato: che poi dovessi liberarmi dalla sua influenza per cercare la mia strada era fatale. Fino a che punto il suo primo romanzo è autobiografico? Relativamente. Io ho avuto un'educazione profondamente religiosa e mio padre era predicatore, come nel romanzo, ma la parte centrale è inventata. lo stesso, dai quattordici ai diciassette anni, quando me ne andai da casa, ho fatto il predicatore in una chiesa pentecostale, ricordo di esser salito tante volte sul pulpito.

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