Foto di Bruce Dovidson (Brooklyn 1965). Personalmente credo che l'individuo debba saper trovare la propria strada nella società, nell'interesse di questa, ma credo anche che abbia la responsabilità di proteggere se stesso dal pericolo della sopraffazione. In altre parole credo nella supremazia dell'individuo, esercitata in una condizione di equilibrio instabile. Nel romanzo ho calcato il tono per dar forza drammatica alla situazione. Accetta, allora, la definizione di "personalista" che in The Literary Situation Malcolm Cowley ha usato parlando di lei, di Nelson Algren e di Saul Bellow? L'accetto in questo senso: che la società può schiacciare l'individuo, ma l'individuo ha sempre, a mio avviso, il modo di difendersi. Non vedo come questa definizione si possa applicare a Nelson Algren, benché ami i suoi libri. Questo spostamento di interessi dalla società alla persona mi sembra un tratto caratteristico del romanza americano contemporaneo. Quali ne sono, secondo lei, le cause? Penso che si tratti, anzitutto, di una reazione agli eccessi del romanzo proletario degli anni '30, una reazione che nasce da un maggior rispetto per i valori individuali, per i doveri e i diritti degli individui. Il temadell'isolamentodell'individuo, acuì oggi tornano scrittori come Saul Bellow o Norman Mailer, è vecchio quanto la letteratura americana. È il grande tema di Fitzgerald in Il Grande Gatsby e di Hemingway. Gli eroi di Hemingway esprimevano uno stato d'animo diffuso, ma limitato alla coscienza individuale. Oggi si tratta di un fenomeno generale. La nostra società è frammentaria, la delusione che risale al patto nazi-sovietico del '39 e poi la guerra fredda hanno lasciato negli americani un'amarezza profonda. Pure dobbiamo ricordare che la democrazia americana è sempre stata definita come una collettività di individui, e gli scrittori della nostra INCONTRI/ELLISON più autentica tradizione, Hawthorne, Melville, Twain, James, hanno sempre insistito sul tema dell'isolamento. Paradossalmente questa insistenza sui valori individuali si è sempre risolta a favore di una società più sana. Il vero pericolo da cui dobbiamo guardarci è il potere di sopraffazione della massa sull'individuo, la rinuncia alle proprie opinioni. Questo pericolo è implicito sia nel comunismo che nel conformismo. Ma sono l'incapacità, il fallimento del singolo nel difendere la propria unicità che aprono la via al conformismo. Io penso che nell'America d'oggi, malgrado il trionfo dei massmedia, l'uomo abbia ancora la possibilità di essere se stesso; il difficile è che ne abbia la forza. L'americano contemporaneo deve affrontare la solitudine sociale con lo stesso coraggio con cui il pioniere affrontava la solitudine del Far West. Egli è portato naturalmente a rifiutare l'eterogeneità dell'ambiente in cui vive: l'America è la terra delle diversità, omogenea solo per quanto riguarda i principi morali che informano la nostra condotta. In questo senso siamo ancora un paese in divenire e il grande problema dello scrittore è di rappresentare le esperienze che hanno un vero significato per la sua coscienza e non quelle che non conosce profondamente solo perché qualche critico benintenzionato lo persuade che soltanto alcuni tipi di esperienza si prestano a essere tradotti in letteratura.Un esempio di questo tentativo di persuasione si è avuto da parte di alcuni critici autorevoli, che hanno dimostrato come soltanto il romanzo di costume sia vero romanzo. Molti scrittori devono imparare per prima cosa a essere se stessi. Quali scrittori hanno avuto più influenza su di lei? Il suo romanza sembra vicino ad alcune esperienze europee, come il simbolismo e l'espressionismo. Penso di aver risentito in ugual misura l'influenza di Twain, di Melville, di Hemingway, del folklore dei negri americani, di Dostoevskij, di Malraux. Non ho subito l'influenza di Kafka, né 35
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