namente i rischi di chiusura mentale (approvazione della pena di morte), xenofobia e perfino razzismo (Mc Carthy era un campione della retorica populista), oltre che i limiti per così dire teorici (come inserire piccola produzione e decentramento politico in un'economia moderna?). Ma l'intento principale del1'autore è di muovere una critica estremamente argomentata· alla "nuova classe", laica e (apparentemente) tollerante, cosmopolita e scientista, innamorata della tecnologia e del sapere degli esperti, sprezzante e ipercritica ("il criticismo, privo di un senso dei propri limiti, riduce presto il mondo in cenere"). Una "classe" corteggiata da destra e da sinistra, e i cui confini non sempre vengono·qui tracciati con nettezza (diciamo ceti intellettuali-professionali), ma il cui atteggiamento di base tende a sfociare in cinismo e sussiegosa estraneità al resto della società, alle questioni che assillano quotidianamente milioni di americani, al loro bisogno, per quanto ingenuo e confuso, di una "vita buona". L'insieme dei ragionamenti di Lasch, benché radicato in un preciso contesto culturale e politico, non è privo di interesse per il nostro paese, anche se probabilmente necessita di qualche "traduzione". Innanzitutto bisogna dire che questo libro potrebbe piacere molto a Comunione e Liberazione (e perfino a qualche leghista ...) proprio in ragione del suo schierarsi dalla parte dell'uomo comune, dell'americano medio, di quella grande America dimenticata e schernita da tutti (politici, intellettuali, giornalisti), di quelli che insomma lavorano duro, vivono con decenza, pagano le tasse, non violano la legge ed educano i figli a non dire bugie, a non imbrogliare il prossimo e a rispettare gli anziani (diciamo un misto di working class e lower middle class: l'area inunensa del lavoro dipendente, ma anche piccoli proprietari e semioccupati). Ora, non ho sufficiente conoscenza delle cose americane per sapere se davvero questo strato così esteso (e insieme sfuggente) di popolazione, corrisponde alla tendenziosa descrizione del libro (se insomma è vero che non ha alcuna rappresentanza politico-istituzionale né diritto di parola). Certo la "mossa" di Lasch è assolutamente spiazzante: individuare cioè una possibile "resistenza" (alla civiltà dei consumi e dei media) non nella sinistra radicale, negli emarginati o nelle frange politicizzate, ma proprio nel cuore della più impresentabile Middle America. Forse la sua è una generosa proiezione idealizzante (ma, d'altra parte, di quelle classi medie esistono solo immagini caricaturali), forse non è vero che la maggior parte degli americani, che certo non vive in zone residenziali, antepone la solidarietà alla mobilità sociale, o coltiva l'ideale di una buona società (più che smaniare l'accesso a qualche status professionale); però lo sforzo di Lasch, di nobilitare il senso comune di questi ceti popolari, oggi quasi "invjsib.ili", trovando salde radici culturali 28 CONFRONTI nella migliore e più democratica tradizione populista, appare più che legittimo. Nello scetticismo.sul progresso, nel rifiuto di utopie lontane e di cieli futuri, nell'aspettarsi dalla vita non più di quanto essa può offrire, si nasconde per Lasch una "dissidenza" ben sup_eriorealverboso radicalismo degli studenti. Inoltre la lower middle class, proprio perché fortemente esposta alla tentazione del risentimento, ha capito meglio di altri gruppi sociali il valore di una disciplina spirituale contro di esso. Certo nell'economia generale del libro le critiche alla sinistra risultano molto più frequenti e consistenti di quelle alla destra, ma questo si spiega con l'autobiografia intellettuale di Lasch, con il fatto che è appartenuto alla sinistra e che ha condiviso (e continua a condividere, seppure problema-ticamente) alcune delle sue aspirazioni. L'autore, già seguace di Dwight Macdonald, formatosi poi sui vari Goodman, Wright, Mills, Marcuse, Brown, Galbraith (ma anche sui classici del marxismo); nonché cresciuto politicamente con l'opposizione alla guerra in Vietnam, ha avuto nel corso deglj anni Sessanta un profondo ripensamento, che coincide tra l'altro con la sua esperienza di padre e il confronto con le teorie pedagogiche progressiste: ripensamento che diventerà presa di coscienza degli errori fatali della sinistra (la irresponsabile esaltazione del declino di ogni autorità, la denuncia unilaterale della famiglia come luogo di oppressione - per poi consegnare i bambini a media ed esperti-, l'arroganza di liberal e studenti radicali, ansiosi di convincere l'uomo comune che i suoi ideali sono arretrati e ridicoli), ma che non perde mai di vista il legame con la tradizione stessa della sinistra; e anzi Lasch si distacca soprattutto dal Partito democratico e dalla nuova sinistra, troppo inconsapevolmente complice della società che vuole abbattere, per auspicare invece una sorta di ritorno alle origini del socialismo. E comunque per lo studioso americano sia destra che sinistra non riescono ad uscire, nemmeno conosciti-vamente, dai confini angusti dell'industria culturale: si occupano solo dei ceti emergenti e non guardano al resto (sconfinato) dell'America. La critica principale a Marx, in verità mai faziosa, si appunta su due aspetti: l'appello assolutamente irrealistico ad una solidarietà indiscriminata (la "comunità internazionale dei lavoratori"), mentre lealtà e solidarietà crescono solo in piccoli gruppi; e l'ammirazione per il capitalismo stesso (tappa necessaria), che tra l'altro portò Marx a disprezzare i movimenti socialisti colpevoli di guardare all'indietro. Ma dove le critiche di Lasch si fanno più originali e acuminate è quando si riferiscono agli scritti di Adorno e Horkheimer sulla famiglia, al loro carattere elitario e paradossalmente normativo: ovvero apologia implicita delle famiglie illuminate delle classi professionali e pericolosa identificazione della salute mentale stessa con una posizione · politica approvata (appunto quella liberale). Se Lasch stigmatizza il democratico Hart, che in nome del "progresso" propose tasse pesanti su tabacco, birra e superalcoolici (tradizionali consolazioni della classe operaia), non risparmia parole durissime contro Reagan e la nuova destra, che ha strumentalizzato populismo e valori tradizionali (il desiderio di ordine e disciplina), per avallare politiche "progressiste", che distruggevano questi valori (crescita economica incontrollata, individua-lismo ruggente, competizione priva di regole). Ma soprattutto destra e sinistra, secondo Lasch, non mostrano alcuna vera alterità al sistema attuale: la prima intende mantenere i nostri standard di vita a spese dell' intero globo, la seconda vorrebbe estendere questi standard al resto del mondo, con conseguente catastrofe ecologica (appunto: assenza di qualsiasi senso del limite). Accennavo all'inizio ad alcune possibili convergenze con l'ultimo Pasolini, quello degli "scritti corsari" (che, naturalmente non è mai citato: l'unico italiano onnipresente nel testo è Machiavelli, accanto a fugaci apparizioni di Prezzolini, Gramsci e Mussolini). Proviamo ora ·ad elencarle, ricordando anche le diversità e la distanza culturale: 1)Il "nemico" è il consumismo e il sistema di informazione molto più che il capitalismo, che è solo incarnazione contingente di una mentalità ad esso preesistente. Per Pasolini l'edonismo consumista costituiva la "rivoluzione di destra" degli anni Settanta (e la televisione il principale strumento di potere), mentre Lasch confessa che negli anni Sessanta l'unica possibile autodifesa consisteva nel cancellare abbonamenti a giornali e periodici e spegnere il televisore. 2) Il senso di un legame molto forte con la tradizione, con il meglio della tradizione. Lasch dichiara di essere stato molto attratto da quei pensatori che nel marxismo assorbivano elementi "conservatori", come Williams e Thompson (la continuità storica, l'attaccamento a legami personali, il bisogno di provare gioia nel proprio lavoro, etc.). 3) Difesa della "povertà" (o austerità) e avversione al superfluo: Pasolini diceva che una vita fatta di beni superflui diventa a sua volta superflua. 4) Una denuncia puntigliosa del carattere omologante e sempre più appiattito delle nostre esistenze, dipendenti, secondo Lasch, da una serie di "droghe" (le notizie serali, il bisogno continuo di entertainment, di novità ed eccitazione). 5) Diffidenza istintiva per studenti estremisti e affini, e per molte delle espressioni culturali della nuova sinistra: Lasch parla di uno "stile", fatto di enfasi su creatività e autorealizzazione, di educazione permissiva, rifiuto di relazioni personali troppo vincolanti, etc. (insomma tutta la sua nota diagnosi a proposito del narcisismo sociale).
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==