CO.NFRO.NJJ segno dell'osmosi, dello scambio e dell'assenza di confini: l'autore, Anatolij Kim, è un russo d'origine coreana nato nel Kazachstan nel 1939, l'andamento è un miscuglio di romanzo e di fiaba e nella trama si realizzano continui passaggi dal mondo animale a quello umano, dal sogno più onnipotente alla concretezza più circostanziata. E' una rivincita liberatoria del gruppo d'amici di cui si raccontano le vicende: bocciati all'esame della deprimente realtà, sanno dispiegare, in vita e dopo, il loro genio artistico fondendosi col grande respiro cosmico che accomuna ogni essere al di là, appunto, di qualsiasi barriera di tempo e di spazio. Assai lirico e immaginoso il linguaggio, con i ruvidi scatti del vissuto sovietico e gli slarghi meditativi dell'anima orientale. Al realismo fatto amabilmente lievitare dalla fantasia si richiama anche L'ombrello giapponese di Viktoria Tokareva (La Tartaruga, pp.188, lire 28.000), apprezzata autrice di sceneggiature cinematografiche e racconti, nata nel 1937 nella città che era Leningrado e ora si chiama nuovamente San Pietroburgo. Ma qui l'elemento sorprendente o surreale, ben più raro, è appena una lieve devianza, come i gatti parlanti di Bisogno di compagnia, o il protagonista .del racconto che .dà il titolo alla raccolta, che s'invola con l'ombrello appena acquistato e dàll'àlto veae che nella solita lunga fila di compratori i ruoli si sono invertiti e le cose stanno scegliendo le persone. Il tema centrale è piuttosto quello della solitudine, in un clima di illusioni che si spengono, nella cechoviana età critica della prima maturità, oppure sulla soglia di una sconsolata vecchiaia. "In Unione Sovietica ci sono dieci milioni di persone sole. Si possono riempire due città di Mosca" dice l'anziana Varvara che, spinta a rammentare il passato da un presunto terremoto che colpisce solo il suo appartamento, prende a vivere con sé una rivale d'amore di gioventù. L'impiegata zitella Klava trova invece una insostituibile compagnia in un galletto comprato al mercato libero, ma poi non mangiato perché tanto striminzito da sembrare infermo. La sua amica Zinaida odia il genero, ma quando prova a vivere da sola sente il vuoto lasciato addirittura da quell'odio e torna dalla figlia, riprendendo così felicemente a lamentarsi. E il traduttore Mazaev perde il lavoro perché è incapace di dire di no quando gli chiedono un favore, foss'anche quello di ammazzare qualcuno. La Tokareva (che ha dei tratti in comune con la sua più giovane concittadina, Tat'jana Tolstaja, pubblicata un paio d'anni fa nella stessa collana) ci dà un'immagine convincente dell'imputridimento brezneviano e il racconto forse più riuscito è Cattivo umore, dove una baruffa con la guardarobiera di un ospedale pediatrico rivela a una colta giovane madre lo scarabocchio ripetitivo e insensato della propria esistenza: "A dire il vero, non c'era dove andare. E se ci fosse stato, non e' era cosa mettersi. La moda cambia di continuo e, per seguirla, bisogna dedicarvi tutta la vita. Ma anche se si sapesse cosa indossare e dove andare, sarebbe comunque una noia". Anche Il quinto angolo (Einaudi, pp.204, lire 22.000, a cura di Anna Raffetto) dell'ebreo ucraino Izrail' Metter, nato aChar' kov nel 1909, è un ritratto dell'URSS, riferito all'epoca buia dello stalinismo. Dà un'immagine terribile del potere e delle forme d'oppressione che è capace di instaurare, tanto più convincente perché pacata, indiretta, fatta di cose concrete e non d'invettive. Nel romanzo (scritto nel 1967, ma pubblicato solo nel 1989) trovano spazio il conflitto mondiale, la fame, le persecuzioni, i delitti, l'amicizia e i tradimenti, i fastidi quotidiani, la sopravvivenza nonostante ogni rovescio. L'inesistente "quinto angolo" è quello che gli aguzzini fanno cercare dai prigionieri nella stanza della tortura. Ma è anche una sorta di problema metafisico che accompagna l'autore e il suo alter ego Borja, protagonista del libro. Per entrambi "la memoria del sentimento è più forte della memoria della storia", e infatti la narrazione poggia interamente sulla vicenda personale dell'anziano professore Borja che un giorno comincia a ricevere da Samarcanda le lettere di Zinaida, compagna di un suo amico d'altri tempi, Sasa, morto a Kiev nel primo anno di guerra. Questa corrispondenza attiva il ricordo del suo lungo e contrastato amore per Katja, una ricca giovane cui aveva dato lezioni e che aveva poi fuggito e inseguito per mezzo continente, morta infine in un gulag. Il brivido dubbioso della commozione recuperata raggrinzisce in desolazione quando, recatosi infine a Samarcanda per far visita a quella testimone della sua epopea passionale privata, trova ad aspettarlo una vecchia sciatta, aggrappata in modo ridicolo a un episodio remoto reso maniacalmente sproporzionato. In lei può specchiarsi, comprendendo che il passato è morto e la sua tomba introvabile. Ma nel lettore vive il trasporto con cui è magnificamente narrata questa storia d'amore. Va poi ricordata almeno una delle iniziative per il centenario della nascita di Michail Bulgakov ( 1891-1940), l' indimenticabile autore de Il Maestro e Margherita e tanti altri capolavori narrativi e teatrali, e cioè la pubblicazione di due diari, risalenti alla prima metà degli anni '20 e rimasti sepolti da allora negli archivi del KGB, nel volume Mosca, la città del Maestro. Diari inediti di Michail Bulgakov (Biblioteca del Vascello, pp.109, lire 30.000). Sono semplici e vivide note da cui emerge la figura di un uomo che trova nel sentimento religioso e nella letteratura la forza per attraversare un'epoca durissima, tra le pressanti difficoltà economiche e l'incertezza sui propri risultati creativi, mentre già lo incalza la censura che terrà a lungo inedite le sue opere. A ogni pagina s'avverte inoltre il suo profondo attaccamento per la città di Mosca, dove arrivò poverissimo nel 1921 per restarvi fino alla morte. Azzeccata è pertanto l'affettuosa rievocazione dei luoghi bulgakoviani fatta dalle curatrici, Daniela Di Sora e Lucetta Negarville. Si apprende, tra l'altro, che per un caso del tutto fortuito la pietra tombale di Bulgakov è la stessa che era servita molto tempo prima per Gogol'. L'accostamento pare degnissimo. La fidanzata del pittore Concludiamo con l'omaggio a una donna straordinaria, il cui volto ci è noto dai quadri del grande pittore ch'ebbeJa fortuna di averla come compagna. Bella Rosenfeld Chagall scrisse in yiddish i propri ricordi d'infanzia tra il 1935 e il 1944, anno della sua precoce scomparsa. Se ne può avere un assaggio nel volumetto Diario sentimentale (Stampa Alternativa, pp.59, lire 10.000, con 13 disegni di Mare Chagall), tratto dall'edizione francese, a cura dalla figlia Ida, intitolata Le luci accese. In queste pagine delicatissime rivive la comunità ebraica di Vitebsk, nella Russia Bianca (dove l'autrice nacque nel 1895), il ponte sulla Ovina, i fiori, le letture della giovinetta, i rituali familiari, le passeggiate e i primi incontri con Mare, quello strambo artista dal nome simile a un carillon e incapace di star fermo. È la stessa atmosfera gioiosa e lirica del secondo periodo russo di Chagall, come notano i traduttori Federica Ghiselli e Riccardo Mazzoni. Tra i due innamorati si crea una rara simbiosi d'emozioni capaci di smentire la legge di gravità. Così la testa di Bella "gira, vola via attraverso la finestra, raggiunge la nuvola, la sua nuvola", come in tante aeree tele nate dai loro voli. Fa piacere ricordare quegli anni come li visse, con passionale e liberante illusione, Chagall: incaricato di decorare Vitebsk per il primo anniversario della rivoluzione d'ottobre, fece librare sulla città sagome dai colori intensissimi fluttuanti alla brezza: angeli, galli, ciuchi per portare l'arte nelle strade. Fu scandalo tra i funzionari di partito, si capisce: Chagall lasciò la Russia nel 1922, con Bella e le "luci accese" dei suoi ricordi. 19
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