Linea d'ombra - anno X - n. 71 - maggio 1992

CONFRONTI Di fronte a questo, Penna ha preso una decisione primordiale, su cui neppure insiste: la decisione di non ubbidire. Ma chi potrebbe trovare la forza demoniaca di non obbedire alla storia sapendo che cos'è la storia? Solo chi deve assolutamente ubbidire a qualcos'altro, può disubbidire come lui. Si direbbe che Penna non voglia neppure sapere a che cosa disubbidisce. Il suo è un problema elementare: l'alternarsi di momenti alti e momenti bassi dell'energia vitale, con le sue ierofanie della pienezza e della perdita. C'è una classicità naturale•di Penna che consiste in questo: il corpo e la vita del corpo sono tutto ciò che Penna sa e conosce dell'anima e dello spirito. La poesia di Penna è l'anima termometrica di un corpo che si aggira in un mondo socialmente vivo, fino all'icasticità del quadretto, dell'idillio realistico, e nello stesso tempo storicamente immobile. Il mondo sociale è percepibile: è la forma fisica determinata dai nostri oggetti d'amore. Il mondo storico invece è solo pensabile: richiede non un sistema percettivo, ma un sistema morale e ideologico. Questo secondo sistema, cioè una parte della coscienza a cui, per economia vitale, Penna ha rinunciato, è ciò che ci rende riconoscibili e accettabili dai nostri contemporanei. È la forma culturale che la storia dà ai desideri e alle esigenze del corpo. Un sistema percettivo orientato dalla sola vita del corpo, dalla sola vita del desiderio, è di per sé qualcosa di misterioso e di mostruoso. Per questo Penna non ha bisogno di fare nessun gesto trasgressivo. Gli basta spogliare la vita dei codici che la rendono moralmente accettabile e comprensibile, gli basta stare altrove per disubbidire. In ogni sua poesia, Penna istituisce questo altrove, questa seconda realtà, piena ed esente dalla realtà storica: una realtà di ore, stagioni e corpi, una natura sovranamente splendente, la sola divinità percepibile (pura percepibilità), a cui si può solo ubbidire. È l'umiltà e l'inflessibilità di questa ubbidienza, credo, che accendeva tanto l'ammirazione moralistica e para-cristiana che Pasolini aveva per Penna. Pasolini sentiva nella condizione di Penna la sola forma di santità che forse gli sarebbe stata accessibile: una fedeltà all'eros perfetta fino al martirio. Diviso fra due mondi, due piani di realtà, però, non solo Pasolini ammirava e venerava il vagabondo e l'eremita dell'eros, l'abitante di un solo mondo estraneo a questo mondo. La diversità assoluta di Penna ·inquietava Pasolirii (almeno nella pagine di Passione e ideologia). Così, nelle sue sottilizzazioni analitiche, ho l'impressione che Pasolini, ~pie_gandoPenna, si sforzasse di attirarlo almeno un po' nei propri problemi di coscienza, nel proprio tormentato moralismo di ragazzo con gli occhiali: bravo a scuola, volenteroso, che vuole sfidare e vincere moralisticamente contro i moralisti, che vuole processare i giudici, che vuole sgominare gli avvocati con la sua superiore retorica di poeta. Di qui l'ipotesi critica centrale di Pasolini, quella di un Penna eufemistico, che sublima e nasconde. Ipotesi utile per demolire l'idea di una candida felicità di Penna. Ma che sembra essere solo il rovesciamento critico di un luogo comune. Quello che c'è di misterioso in Penna è il linguaggio della nuda vita (cioè vita senza storia) sentita come una assoluta presenza reale, la sola cosa di cui si può parlare e vivere. • Credo che il coraggio di Penna, naturalissimo nella sua diversità culturale e mai rinnegato, sia stato semplicemente quello di credere la gioia sempre realmente possibile. E quindi casuale, transitoria. Un dono che può essere dato e tolto. Che può apparire e scomparire dall'orizzonte del corpo e del mondo (il corpo: solo e unico mondo). La sua è stata non solo una poesia 16 ma anche una vita senza difese, neppure le difese letterarie che la poesia può offrire a un poeta. In Penna non c'è un tempo e un luogo della poesia in quanto tale, distinta e separabile dalla vita. Nel suo modo di scrivere non c'è il tempo del comporre: come se i versi si fossero composti da sé, mentalmente e fisicamente altrove, prima (anche soltanto poco prima) di essere messi sulla pagina. Irrompono o si posano sulla pagina. Per questo la sua metrica e il suo povero apparato di figure hanno sempre un certo sapore (una forza) di casualità. Sono un dono inerente all'esperienza di quanto viene detto: un sovrappiù di grazia regalata dal caso, e non di elaborazione. Anche il dolore che il poeta subisce non ha nessuna ragione accettabile. È gratuito come la gioia. I momenti freddi e grigi della vita arrivano come una condanna, una punizione senza colpa. Penna di rifiuta di dare dignità morale e razionale alla sofferenza, alla pena, al dolore. O meglio, lascia loro la dignità sovrana di qualcosa di inspiegabile e ingiustificabile. A volte, semplicemente, siamo nelle mani di un "dio cattivo". Fra dolore e gioia c'è un'altalena naturale. È questa la sola legge che Penna riconosce: una legge assoluta, senza interferenza con altre leggi, da cui non c'è riparo né scampo. L'energia intermittente delle poesie di Penna, la loro perfezione affidata al caso, sono solo il risultato di questa sua fede sconfinata nella legge che stabilisce oscuramente e luminosamente l'alternarsi del buio e della luce, freddo e caldo, energia e atonia. Le altre forme della forza, il potere e la resistenza, Penna le ignora. Nel potere e nella resistenza c'è una determinazione morale. Mentre l'energia è la forma naturale della forza: è la forza vitale spogliata di ogni progetto della volontà. Le sole leggi che Penna vede reali sono leggi di natura. Il che vuol dire, anche, che tutte le altre, le leggi umane, sono irreali. La mostruosa diversità di Penna consiste in questo: nel suo sospingere tutta la storia, con un solo gesto, oltre l'orizzonte della vera realtà, nel suo sentirla irreale con la forza di una certezza fisica. Se le sole leggi accettabili sono le leggi naturali, è proprio perché sono inspiegabili e non sono umane. Qui è quella speciale forma di santità erotica e poetica che Pasolini ammirava e contro cui, anche, lottava, carico di moralismo storico (o storicistico) com'era. Costituzionalmente non-cristiano, Penna con pochi versi, con una sola quartina, annulla venti secoli di cristianesimo e di storia occidentale. L'enormità di ciò che realizza con testi minimi ha in effetti qualcosa di divino, cioè di mostruoso. È una elementare rivelazione dell'essere: Il mare è tutto azzurro. Il mare è tutto calmo. Nel cuore è quasi un urlo di gioia. È tutto calmo. Oppure è il crollo ilare della legge provocato dal!' onanismo di un bambino: Forse l'ispirazione è solo un urlo confuso. Ma entro le colonne della legge, ridendo si masturba ogni fanciullo. Brevi strofe, sole nel vuoto, lievi e potenti, da fare spavento o da mandare in estasi Nietzsche. Niente altro che essere nella gioia d'amore o fuori, in attesa di un avvento del solo dio, Eros. Alta estate notturna. Le tue finestre colme di vita famigliare. li mio silenzio entro il buio fogliame. Forse quella realizzata dalla poesia di Penna è la sola rinascita

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